SCIPIONE Nasica, Publio Cornelio detto Corculum (P. Cornelius P. f. Cn. n. Scipio Nasica)
Console romano nel 162 e 155. Fu edile curule nel 169; nel 168 legato di Paolo Emilio, con 8000 uomini aggirò l'esercito di Perseo prima di Pidna, e nella battaglia qui avvenuta ebbe parte attiva. La descrisse poi in una lettera a Massinissa, e a lui risalgono in gran parte le notizie che ne abbiamo. Eletto console per il 162, dovette dimettersi, perché il cognato Tiberio Gracco, che aveva presieduto l'elezione, dichiarò di avere inavvertitamente trasgredito una legge rituale. Nacque tra le due famiglie così il dissidio, che divenne poi inimicizia aperta (v. scipione nasica, publio, console nel 138). Censore nel 159, combatté con severe misure l'indisciplinata ambizione; mentre l'impianto del primo orologio ad acqua nel Foro di Roma mostra il suo interesse per la meccanica. Rieletto console nel 155 distrusse Delminium, capitale dei Dalmati, e celebrò il trionfo. Famosa fu la lotta con cui, contro Catone il Censore, sostenne che Cartagine non fosse da distruggere: benché durante un'ambasceria del 151 ne avesse visto il rifiorire, affermava che dalla presenza dell'eterna rivale Roma sarebbe stata costretta, con suo vantaggio, a una politica saggia e a mantener vive le proprie virtù. Così, alla notizia della distruzione di Corinto, egli esclamò che i Romani erano in grave pericolo, non avendo più nessuno davanti a cui dovessero temere o vergognarsi. Probabilmente in questa politica contraria all'imperialismo dispotico seguiva idee di filosofi greci: né il dominio diretto né il divide et impera gli sembravano atti ad assicurare la vita dell'impero: forse vagheggiava una politica di concordia fra gli stati più potenti. Difese Cartagine fino all'ultimo, anche quando nel 146 si fu arresa. Fu pontefice massimo nel 150; legato in Grecia nel 149; princeps senatus nel 147 e nel 142.
Lodato da Cicerone (Cato, 14, 50) per lo studium et pontificii et civilis iuris e dall'auctor de viris illustribus (44, 6) come iuris scientiae consultissimus, è probabilmente quello stesso che il giurista Pomponio vuol ricordare in Dig., I, 2, de orig. iur., 2, 37, benché falsamente gli attribuisca il prenome Caio e ancor più falsamente lo identifichi con l'omonimo soprannominato Ottimo, suo padre. Secondo l'aneddoto riferito da Pomponio, abitando il Nasica fuori mano, la cittå gli avrebbe offerto una casa al centro, sulla Via Sacra, affinché più facilmente i cittadini potessero consultarlo. Non abbiamo ricordo di sue opere giuridiche, né di nuove dottrine che per la sua autorità siano prevalse.
E. D. Sanio, Das Fragment des Pomponius "de origine iuris", Lipsia 1867, p. 150 seg.; F. Münzer, Cornelius, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, Stoccarda 1900, col. 1497 segg.; P. Krüger, Geschichte der Quellen und Litteratur des röm. Rechts, 2ª ed., Lipsia 1912, p. 56; H. Peter, Fragmenta historicorum romanorum, 115-117; G. De Sanctis, Storia dei Romani, IV, 1, Torino 1924, p. 320; M. Gelzer, in Philologus, XL (1931), p. 261 segg.