MAZZELLA, Scipione
– Nacque a Napoli (secondo Pedio, a Procida) intorno alla metà del XVI secolo.
Scrittore e storico, il M. iniziò a pubblicare alla metà degli anni Ottanta. Le sue vicende biografiche non sono note; solo attraverso le sue opere, e in particolare le dediche preposte al testo, si possono dedurre alcune informazioni sulla cerchia delle sue frequentazioni e sui suoi interessi intellettuali.
Il M. ricevette attestati di solidarietà, tra cui le lodi di B. Telesio, F. Giordano, C. Vitignano e G.A. Summonte. Si trovò però a subire ripetuti attacchi da parte di Tommaso Costo, che nei Ragionamenti intorno alla Descrizzione del Regno di Napoli e all’Antichità di Pozzuolo di Scipione Mazzella… (Napoli, Stigliola, 1595) reputò l’opera del M. superficiale e frutto di plagi. Egli citò in giudizio Costo e il processo fu celebrato avanti il Sacro Regio Consiglio di Napoli (la cui documentazione è perduta); nel maggio 1596 Costo fu inoltre processato anche dalla Curia napoletana. La proibizione delle due opere di Costo Il Fuggilozio e le Vite di tutti i pontefici si unì a quella, sollecitata dal M., per il «Ragionamento […] quale libro è libello infamatorio» (Amabile, p. 23). Vincenzo Quattromani, vicario della sede apostolica di Napoli, dispose il sequestro di quei libri e il 12 maggio 1596 il provvedimento fu notificato ai librai della città. Nel 1604, tuttavia, Costo ottenne la revisione del processo.
L’animosità di Costo e la conflittualità verso le opere del M. nascevano nell’ambito dei letterati al servizio di famiglie aristocratiche e, soprattutto, in quello del mercato editoriale napoletano. Qui la concorrenza si andava probabilmente accentuando tra autori di generi con potenzialità di consumo più alte, come quello delle guide e delle descrizioni di Napoli e del Regno. In merito all’opera del M. su Pozzuoli, attaccata da Costo, può farlo pensare, tra l’altro, la serie delle apprezzabili incisioni inserite per illustrare i luoghi più suggestivi da visitare.
Dai dedicatari delle opere del M. si possono ricavare accenni agli ambienti da lui frequentati o ai quali egli guardava con favore e talora con profonda ammirazione.
Fu amico e sodale di Fabio Giordano, giureconsulto, e di Telesio, cui il M. riserva degli epigrammi nella Descrittione del Regno di Napoli. Fu in contatto con l’ambiente letterario e intellettuale di Cosenza, come dimostra la dedica della parte relativa alla provincia di Calabria Citra nella Descrittione, datata 6 maggio 1595. Il destinatario è Giovanni Maria Bernaudo, esponente di una delle famiglie nobili della città calabrese, letterato egli stesso e soprattutto – nelle parole del M. – «sí amatore et affettionato delle persone, che sono intendenti delle lettere, che molti letterati à gara si sforzano di celebrare le sue degne virtù e gli onorati suoi meriti» (Descrittione, Napoli 1601, pagine fuori numerazione tra le pp. 132 s.). Anche il M. esalta il valore civico delle imprese culturali di Bernaudo, che riconosce essere «mio signore di molti anni» (ibid.), suggerendo l’esistenza di un rapporto diretto tra i due. Nella dedica della parte scritta sulla provincia di Principato Citra, indirizzata l’8 genn. 1594 ad Antonio Nava, barone di Cangiano e di Carpino, sembra invece prevalere l’ammirazione per il destinatario più che la consuetudine. Il M. formula infatti un omaggio all’ambiente del collezionismo e ai circoli intellettuali ed eruditi, di cui Nava era esempio, oltre che esponente ideale di quella nobiltà prediletta che coltivava virtuosamente le lettere e le armi.
Dalla dedica del Sito et antichità della città di Pozzuolo (Napoli 1606) a G.A. Caracciolo, principe di Santo Buono e marchese di Bucchianico, si apprende del prolungato soggiorno del M. a Pozzuoli, dove si dedicò alla scrittura storica e letteraria, e delle circostanze di composizione dell’opera. La località doveva essere piuttosto attraente, poiché dopo la costruzione della bella residenza del viceré don Pedro de Toledo, dopo il terremoto del 1538, secondo il M. «molti Signori Napoletani tirati da una generosità grande di gloria vi edificarono nobili e magnifici edificii» (p. 11).
Il M. fu dedito anche all’attività editoriale. Nel 1594 dedicò all’eletto del Popolo Giovan Battista Crispo la ristampa dell’opuscolo Magistratuum Regni Neapolis qualiter cum antiquis Romanorum conveniant compendiolum di Scipione Capece (1544). L’edizione curata dal M., stampata dalla tipografia napoletana Stigliola, aveva anche la finalità politica di dirimere la materia dell’autorità degli ufficiali regi. Dal «cultismo antiquario» di Capece, infatti, il M. traeva spunti per la celebrazione della carica dell’eletto del Popolo, basata sull’accostamento con la figura del tribuno della plebe. L’accostamento diveniva possibile in quanto Capece «aveva considerato il baronaggio come l’ultima espressione di una evoluzione storica del senato romano» (Comparato, p. 176). Il rilievo politico della posizione del M., suggellata dalla dedica a Crispo, induce a pensare a legami più profondi da parte sua con gli ambienti del «seggio» popolare. Si deve considerare infatti che, all’epoca della dedica, Crispo era stato scelto da poco per la terza volta come eletto del Popolo, il 6 nov. 1593.
La principale opera del M. è la Descrittione del Regno di Napoli… (Napoli, G.B. Cappello, 1586). L. Giustiniani evidenziò il valore dell’opera per l’ampiezza delle materie trattate, riprendendo e amplificando un parere di G.D. Rogadei, espresso nel 1767, secondo il quale se a ciò il M. avesse abbinato «l’esattezza e la critica», si sarebbe dovuto considerare «il più utile scrittore delle cose di questo Regno». F. Soria, nel 1781, rese invece un tributo agli sforzi dell’autore, contribuendo a giudicare i suoi come i meritevoli errori di chi aveva aperto una nuova strada nel genere delle guide di Napoli e del Regno.
L’impianto generale e molte delle singole sezioni dell’opera denotano il rilevante sforzo di fornire un valido apporto conoscitivo del Regno di Napoli nel suo insieme, alla fine del XVI secolo. Infatti la Descrittione può essere considerata il risultato più cospicuo di un genere affermatosi nel Mezzogiorno spagnolo dal XVI secolo e sviluppatosi specialmente nel XVII. Si possono citare in proposito i nomi di B. Di Falco, G. Tarcagnota e G.B. Del Tufo. Il primo si cimentò con la riscoperta dei luoghi antichi nel suo Antichità di Napoli e del suo amenissimo distretto (Napoli, J.P. Suganappo, 1549; 1° ed. 1535); interesse perseguito dallo stesso M. nel Sito et antichità di Pozzuoli. Il secondo e il terzo descrivono la capitale, rispettivamente, in Del sito et lodi della città di Napoli (Napoli, G.M. Scotto, 1566) e nel Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli (1588, ma rimasto inedito fino al 1959).
Che la Descrittione del M. rappresenti uno sviluppo significativo di questo genere è provato dalle sue caratteristiche, dalla struttura e dai contenuti. Essa infatti va oltre la finalità celebrativa e prende sistematicamente in considerazione, al di là della capitale, il Regno di Napoli nel suo complesso. Ma la stessa fortuna che premiò l’opera dimostra che si trattò certamente di un approdo e di un punto di svolta. Il libro fu tradotto in inglese da Sanfon Lennard e pubblicato a Londra nel 1654, con una integrazione di James Howell, scrittore particolarmente attento alle vicende napoletane, come dimostra A history of the late revolutions in the Kingdom of Naples (London 1652). Secondo Pedio (p. 95), molti dei dati utilizzati nella descrizione della Napoli del primo Seicento, attribuita a G.C. Capaccio (Napoli descritta ne’ principi del secolo XVII da G.C. Capaccio, a cura di B. Capasso, in Arch. stor. per le provincie napoletane, VII [1882], pp. 69-103, 531-554, 776-797), sono ricavati proprio dall’opera del Mazzella.
Tra i motivi di interesse dell’opera del M. figura l’attenzione rivolta alle élites urbane, per la prima volta oggetto di un’ampia ricognizione e presentate come uno degli elementi strutturali e distintivi della geografia sociale e politica del Regno. La materia era comunque delicata, come dimostra l’accusa rivolta al M. da G.L. Gualtieri di non avere incluso la sua famiglia tra quelle nobili aquilane e di avere tra queste inserito invece «non poche famiglie plebee». Per questo motivo fu istruito un processo dal Sacro Regio Consiglio, su istanza dell’esponente della famiglia esclusa (cfr. Toppi). Nell’edizione del 1601, il M. replicò citando una fede della città dell’Aquila, del 5 giugno 1586, che elencava le famiglie iscritte alla nobiltà cittadina, senza comprendere la famiglia Gualtieri (Descrittione, Napoli 1601, p. 255). La difesa dell’autore, fondata sull’uso rigoroso della documentazione, ravvisabile anche in altri passi, contribuisce a evidenziare i meriti della sua opera anche sul piano metodologico.
La Descrittione del Regno di Napoli è suddivisa in due libri. Il secondo figura nell’edizione ampliata e aggiornata del 1601 (Napoli, G.B. Cappello, ma ancora con il frontespizio della Stamperia Stigliola a Porta Reale, del 1597; ed. anast. Bologna 1981). Nel primo si snoda la descrizione delle dodici province del Regno: Terra di Lavoro, Principato Citra, Principato Ultra, Basilicata, Calabria Citra, Calabria Ultra, Terra d’Otranto, Terra di Bari, Abruzzo Citra, Abruzzo Ultra, Contado di Molise e Capitanata. Per ciascuna di esse l’autore fornisce un elenco con i nomi delle città e delle Terre, le Comunità di minori dimensioni, e dei castelli, corredato del numero dei fuochi. Vi sono comprese anche le «terre di dominio», ossia i centri demaniali, regi, e le imposizioni fiscali pagate da ciascun fuoco alla Regia Corte. I castelli e le torri di difesa elencati rappresentano dati di un primo quadro geografico delle strutture difensive del Regno, approfondito nel secondo libro. In questo, come del resto in altri passaggi, il M. fornisce al lettore dati estremamente aggiornati, dichiarando che è «da sapere anco come per ordine della Maestà Cattolica vi sono cominciate molt’altre Torri, le quali per non esserno ancora finite, non l’habbiamo poste» (ibid., p. 83). Il primo libro si conclude con la lista delle «Città e Terre franche in perpetuo delli pagamenti fiscali», cui seguono le «Terre che pagano per conventione» e quelle «franche a tempo».
Il secondo libro si apre con una breve premessa che ne illustra sinteticamente gli argomenti. Vi sono forniti alcuni dati fondamentali, come la popolazione del Regno in base alla numerazione del 1595: 483.468 fuochi, pari a poco più di 2 milioni di anime, a esclusione di Napoli e dei suoi casali, esenti dalla numerazione effettuata per fini fiscali in virtù dei loro privilegi, sanciti specialmente all’inizio del regno aragonese. Le entrate ordinarie della Corona sono calcolate in tre milioni di scudi, senza comprendere il donativo, ovvero le contribuzioni straordinarie accordate dal Regno alla Corona per particolari necessità, soprattutto di carattere militare. Il M. puntualizza però che il donativo «è già ridotto in entrata ordinaria» (ibid., p. 324). Seguono quindi i numeri dell’aristocrazia e i dati dell’organizzazione della difesa del Regno: quantità, qualità e distribuzione delle truppe sul territorio e della flotta; ma anche i sistemi di reclutamento, come i fanti selezionati dagli eletti delle Comunità. La premessa si chiude con l’accenno alla natura e alle qualità delle genti. Fanno seguito nutrite e particolareggiate liste che spiegano che cosa fosse il Regno di Napoli alla fine del XVI secolo, dal duplice punto di vista della Corona e dei suoi abitanti: viene descritto come un patrimonio della prima, l’oggetto dell’esercizio della sovranità, ma anche come l’ambito in cui i sudditi esercitavano concretamente la loro fedeltà al monarca, come dimostra l’attenzione riservata ai donativi accordati alla Corona spagnola, meticolosamente documentati dal 1507 al 1595.
Dopo le entrate, è la volta del «notamento» dei fiumi, laghi, paludi, fonti, bagni, miniere, monti e selve. Lo sviluppo degli argomenti presentati nella premessa prosegue con i castelli e le fortezze, con il numero dei soldati di guardia e la loro retribuzione. L’attenzione per ciò che è di pertinenza della Corona è ancora palese nella nota dei vescovati e dei benefici di giuspatronato regio. L’illustrazione della sovranità occupa gran parte del secondo libro, in cui si trova il catalogo dei conti e dei duchi di Calabria e di tutti i re, dai Normanni fino agli Asburgo. Viene poi specificato l’assetto istituzionale della sovranità assunto con la conquista spagnola, attraverso le liste dei viceré, aggiornata al 1599 con don Fernando Ruiz de Castro conte di Lemos e con l’elenco dei 38 reggenti di cancelleria, cioè gli ufficiali più importanti del Consiglio collaterale, la principale magistratura di governo del Regno che affiancava il viceré.
Seguono l’elenco di «tutti i signori titolati» e il «Teatro delle famiglie nobili di seggio napoletane»; che si profilano come due capitoli di un abbozzo di trattato sulla nobiltà, celebrata come il vero pilastro del Regno, garante della sua fedeltà al sovrano. Alla fine del secondo libro il M. inserisce anche la lista delle «Famiglie Illustrissime, Illustri e Nobili napoletane fuor de Seggi», altra importante componente della nobiltà della capitale, ma esclusa dal governo urbano riservato alle famiglie ascritte ai seggi. Il M. giustifica la brevità dell’esposizione riservata alla nobiltà fuori seggio, precisando che «Qui si saranno solo nominate dette Famiglie, riserbandomi à ragionar poscia di ciascuna à pieno in un’opera particolare chiamata Teatro della nobiltà Napolitana» (ibid., p. fuori numerazione dopo p. 790). Non si hanno però notizie di questa opera, evidentemente non realizzata.
La Descrittione considera diffusamente i quadri ambientali del Regno, per mezzo di note sintetiche ma puntuali. La rassegna delle risorse lascia emergere interessanti informazioni sui paesaggi agrari, ma anche dati antropologici, come i costumi e le attitudini dei regnicoli nelle varie province.
Muto (2001, p. 418), oltre a richiamare il successo editoriale e a sottolinearne la ricchezza come fonte storica, afferma che «non interessa tanto la qualità e la veridicità delle informazioni ma il senso delle differenze che l’autore intende offrire al lettore, l’immagine della diversità ed il modo con cui la si rappresenta». Ciò vale per le risorse naturali, la qualità dei suoli, ma anche per la «natura e qualità delle genti» delle diverse province. Per ognuna di esse, secondo Muto, «l’autore si sforza di rappresentare una sorta di individualità antropologica, giocando su un certo numero di variabili» quali i profili somatici, i comportamenti, i modi di vestire e di parlare o le attitudini militari e proprio attraverso questi elementi «fa emergere sottilmente, ma con nettezza, la distinzione tra cittadini e rustici, tra nobili e plebei» (ibid., pp. 420 s.).
Il M. assegna molta importanza anche agli spazi sacri; delinea una essenziale ma sistematica geografia dei corpi santi, della presenza di reliquie, dei principali santuari, che naturalmente concorrono alla maggiore o minore importanza dei luoghi. L’altro cospicuo gruppo di voci, quelle dedicate alle città e alle comunità del Regno, rivela l’interesse del M. per le gerarchie urbane. In tal senso, per classificare le città egli fornisce elementi di tipo storico, politico, demografico, sociale, economico e istituzionale. Il primato della capitale è rapidamente ma efficacemente delineato. Non manca, infine, un riferimento al profilo privilegiato delle città oltre a quello della capitale, il caso di maggiore concentrazione di privilegi fiscali e giurisdizionali del Regno.
Dopo la Descrittione, il M. pubblicò Sito et antichità della città di Pozzuolo e del suo amenissimo distretto (Napoli, O. Salviani, 1591), agile ma puntuale guida ai luoghi presi in esame, in cui unì l’interesse antiquario e quello naturalistico. L’apparato iconografico della prima edizione fu arricchito con una «grande carta di Pozzuoli fuori testo ripiegata» in quella del 1606, dove compare anche un apparato di statue ritrovate a Cuma.
Secondo Fittipaldi, l’opera consente di ricondurre la figura del M. al contesto in cui si va precisando, tra Cinque e Seicento, «la figura di un erudito e/o accademico locale che, talora alternativamente, tende a rivestire i panni o dell’antiquario o dello storico» (p. IX). Insieme con Pietro de Stefano (autore di una Descrittione de i luoghi sacri della città di Napoli, Napoli, R. Amato, 1560), egli considera il M. «un instancabile trascrittore e traduttore di epigrafi», ponendone però in risalto l’attenzione prevalente per i caratteri, più che per l’antichità, nonché per la struttura amministrativa del Regno, come emerge dalla Descrittione. L’interesse del M. per le epigrafi, tuttavia, riguarda anche la sua epoca. Egli trascrive quella collocata per volere del viceré don Pedro de Toledo nella sua nuova residenza di Pozzuoli.
Per quanto concerne i bagni, il M. riferisce le lodi di Plinio per quelli di Baia, ma dimostra attenzione anche per la frequentazione a lui coeva. Il suo interesse per questa materia è dimostrato del resto dall’Opusculum de Balneis Puteolorum Baiarum et Pithecusarum del medico napoletano Giovanni Elisio, di cui curò una nuova edizione (Napoli, O. Salviani, 1591), poi confluita nel Sito et antichità (ed. del 1606).
Del M. è ancora Le vite de’ re di Napoli colle loro effigie dal naturale… (Napoli, G. Cacchi, 1588; ripreso e ampliato in una nuova edizione ibid., G. Bonfadino, 1594-96).
Il M. morì, presumibilmente a Napoli, nei primi anni del XVII secolo.
Fonti e Bibl.: N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato a gli huomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, Napoli 1678, p. 281; G.D. Rogadei, Saggio di un’opera intitolata il Diritto pubblico e politico del Regno di Napoli…, Lucca 1767, p. 56; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, Modena 1779, p. 1475; F. Soria, Memorie storico-critiche degli storici napoletani, Napoli 1781, pp. 404-409; L. Giustiniani, La Biblioteca storica e topografica del Regno di Napoli, Napoli 1793, p. 110; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 214; L. Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli…, Città di Castello 1892, pp. 22 s.; B. Capasso, Catalogo ragionato dei libri, registri e scritture esistenti nella sezione antica o prima serie dell’Archivio municipale di Napoli (1387-1806), II, Napoli 1899, pp. 330 s.; N. Cortese, Cultura e politica a Napoli dal Cinque al Settecento, Napoli 1965, p. 75; T. Pedio, Storia della storiografia del Regno di Napoli, Chiaravalle Centrale 1973, pp. 84-89, 95; V.I. Comparato, Uffici e società a Napoli (1600-1647). Aspetti dell’ideologia del magistrato nell’Età moderna, Firenze 1974, pp. 175 s.; P. Manzi, La tipografia napoletana nel ’500. Annali di Giovanni Giacomo Carlino e di Tarquinio Longo (1593-1620), Firenze 1975, pp. 281 s.; C. Calenda, Introduzione a T. Costo, Il Fuggilozio, Roma 1989, pp. XXII, XXXVI, XXXVIII; G. Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Napoli 1992, p. 108; A. Fittipaldi, Guide e descrizioni di Napoli attraverso alcuni (possibili) percorsi, in Libri per vedere. Le guide storico-artistiche della città di Napoli: fonti, testimonianze del gusto, immagini di una città (catal.), a cura di F. Amirante et al., Napoli 1995, pp. XI, 38; Le cinquecentine napoletane della Biblioteca universitaria di Napoli, a cura di G. Zappella - E. Alone Improta, Roma 1997, pp. 77 s., 134, 328; G. Muto, Capitale e province, in Carlo V, Napoli e il Mediterraneo. Atti del Convegno…, a cura di G. Galasso - A. Musi, Napoli 2001, pp. 418-421; Indice biografico italiano, VII, a cura di T. Nappo, München 2007, p. 2713.