Scipione Emiliano, Publio Cornelio
Generale e uomo politico romano; nato da L. Emilio Paolo verso il 185 a.C., fu adottato da P. Cornelio Scipione, figlio di Scipione Africano Maggiore.
Eletto console sebbene non avesse raggiunto l'età legale, assediò e distrusse Cartagine nel 146 dando fine vittoriosa alla terza guerra punica; nel 133, console per la seconda volta, espugnò Numanzia, capitale dei Celtiberi nella Spagna settentrionale. Ai successi militari si alternarono missioni diplomatiche felicemente condotte; mentre i larghi interessi culturali di S., caratterizzati dall'apertura verso i valori della civiltà greca e greco-ellenistica, pur nella sostanziale fedeltà alla genuina tradizione romana, ne facevano l'animatore di un movimento intellettuale cui aderirono alcuni fra gli spiriti di maggior rilievo del tempo, da Panezio a Polibio a Terenzio a Lucilio a Lelio.
Negli ultimi anni della sua vita S., coinvolto nelle convulsioni sociali legate al nome dei Gracchi, assunse posizioni moderate nella questione agraria e quando morì improvvisamente (129) si diffuse la diceria che fosse rimasto vittima di un delitto politico.
Cicerone, che ammirò altamente S. e lo considerò modello di perfetto statista, lo celebrò nel Somnium Scipionis, l'unica parte del De Republica che fosse nota al Medioevo e a Dante.
Un ricordo incidentale di S. è nel Convivio, a proposito dell'occasione in cui si svolge il dialogo ciceroniano Laelius de amicitia che muove appunto, come dice D., da parole di consolazione di Lelio dette ne la morte di Scipione amico suo (II XII 3).