SCIO (Chio, Χιος; A. T., 90)
Isola del Mare Egeo, formante insieme con le piccole isole Oinoũsai, Psará e Antípsara, una delle provincie della Grecia. Ha 826,7 kmq. di superficie ed è separata dalla penisola di Eritre nell'Asia Minore da uno stretto di 7,5 miglia, disseminato di scogli. I calcari mesozoici occupano la maggior parte dell'isola, mentre le Oinoũsai a nord presentano scisti più antichi. La parte NO., il Monte Sant'Elia (ant. Πελινναῖον), il territorio dell'attuale Kardàmyla e la periferia settentrionale della città hanno ardesie paleozoiche insieme con arenarie e calcari. Terreni alluvionali si trovano a nord e a sud della città presso Bolissós. La parte nord dell'isola, detta Apanomeriá, è montagnosa e coperta di foreste. Ivi sorge il monte più alto dell'isola, il Sant'Elia (1260 m.). Quindi la catena, che attraversa longitudinalmente tutta l'isola, si abbassa sensibilmente per rialzarsi nella parte mediana col Monte Próbatos (873 m., ant. Αἴπος) e per riabbassarsi ancora, terminando al Capo Mástikon (ant. ϕάναι). Dalla catena si staccano varî contrafforti che separano valli bene coltivate. La parte sud, detta appunto Mastichóchōra dall'omonimo promontorio, è un vero e proprio giardino ricco d'olivi, aranci e palme da datteri e dove cresce inoltre il lentisco, da cui si trae il liquore aromatico caratteristico di Scio, detto mastica. Le coste sono poco frastagliate, sì che l'isola non è ricca di porti; nella parte NO. ne è addirittura priva. Il clima è temperato, con piogge molto abbondanti d'inverno e rarissime d'estate. I pochi fiumi hanno quindi un regime torrenziale d'inverno e sono quasi asciutti nella stagione calda. Non essendoci sistemazione dei bacini montani, essi portano talora abbondanti alluvioni al piano. Il Barbasíon ad esempio, ha insabbiato il porto dell'antica città. L'isola, chiamata nell'antichità Pitiusa (Πιτιοῦσα) dal grande numero di foreste di pini, oggi ne è pressoché priva. Si sono salvate solo quelle che coprono la parte settentrionale (mezzo milione di alberi) e centrale (100.000 alberi), oltre alcune altre minori. Dai pini di Scio si estrae ottima resina. Le condizioni dell'agricoltura sono floride, poiché sono sottoposti a coltivazione 48.000 ettari di terreno, contro 33.000 ettari di terreno boscoso e 52.000 ettari di terre incolte o non coltivabili. I principali prodotti sono uva, cotone, olio, olive, agrumi, mandorle, fichi secchi, carrube, ortaggi, patate, lentischi, cereali e tabacco. L'allevamento del bestiame è sufficiente ai bisogni dell'isola. Esso concerne bovini (5000 capi), ovini (30.000 capi), suini (2000 capi), equini, conigli e pollame. L'industria si esercita specialmente sulle pelli prodotte nell'isola o acquistate in Turchia. Essa si svolge in 25 fabbriche. Scio ha miniere di antimonio, litantrace, ferro, piombo, stagno e lignite; importa carbone, pelli, tessuti, legna e grano ed esporta pelli lavorate, olio, frutta fresca e in conserva, minerali d'antimonio e marmi colorati. Amministrativamente Scio è divisa in due comuni; Scio città e territorio, e Brontádos (δῆμος Βροντάδων). Porti di lieve importanza sono: Kardámyla, Bolissós, Kalamōtḗ, Nenḗta. Scio ha 130 km. di strade e ha comunicazioni cablografiche per mezzo di linee inglesi e nazionali.
Monumenti. - Scio possiede nella chiesa dell'antico convento chiamato "Néa Moní" (situato quasi al centro dell'isola) una delle più celebri fra le decorazioni bizantine a musaico del sec. XI, benché molto guasta dal terremoto del 1881. La decorazione fu concepita secondo i principî e nello stile nuovo, che poi trovò la sua espressione migliore a Dafni. Il ciclo iconografico ha carattere teologico e liturgico, non narrativo, e più che raccontare i particolari dell'esistenza terrestre del Salvatore, tende ad evocarne i principali misteri. Per disegno e per colorito, i musaici sono pieni di grandezza, semplicità ed eleganza.
Storia. - L'odierna Scio, antica Chio, era abitata da una popolazione ionica preceduta certamente da altra popolazione, affine con tutta probabilità a quella sparsa nell'Asia Minore, che la critica degli antichi assimilava ai Lelegi e ai Pelasgi. La città principale è omonima dell'isola. Chio si ritiene patria degli Omeridi, cioè cantori; ed è probabile che a Chio avesse vita una scuola di aedi, il cui eponimo sarebbe stato Omero.
Chio, come tutte le isole, si mantenne immune dalla soggezione lidica, e da quella persiana, sotto Ciro e Cambise. Anzi Ciro donò a Chio la località di Atarneo posta contro l'Isola di Lesbo in premio di avergli consegnato il ribelle lidio Pactie. Poscia Chio entrò come tutte le altre isole della Ionia nel giro dell'influenza persiana, e il tiranno Stratti governò come satellite del re di Persia, o per meglio dire, del satrapo di Lidia; Chio partecipò poi alla ribellione ionica, ma fu ricuperata dai Persiani dopo la battaglia di Lade. Sappiamo che Chio, come tutte le altre isole della Ionia, uni la sua flotta a quella delle altre isole e città di terraferma greche in servizio del re di Persia al tempo della spedizione di Serse; ma dopo la battaglia di Micale (479 a. C.) passò alla federazione ellenica. Quando gli Ateniesi presero la presidenza della lega che si chiamò delio-attica, in Chio venne fondato un governo democratico. Nel 431 ci fu una rivolta degli aristocratici e gli Ateniesi obbligarono la città a demolire le mura. L'isola si ribellò agli Ateniesi nel 412; la democrazia non fu tuttavia abbattuta definitivamente se non nel 407, quando i democratici furono sopraffatti con l'aiuto prestato agli aristocratici dal navarco spartano Cratesippida. Nel 394 i Chii parteciparono alla coalizione contro Sparta, e si mantennero fedeli all'alleanza ateniese, tanto che entrarono nella seconda lega delica: più tardi si ribellarono insieme con Rodi, Coo e Bisanzio (357); dopo una guerra di più che due anni Chio uscì dalla lega. I Chii sottomessi dal principe Cario Idrieo, successore di Artemisia, ricuperarono dopo due o tre anni la loro indipendenza. Nel 339 insieme con gli Ateniesi offrirono aiuto a Bisanzio contro Filippo. Occupata dal Memnone, generale mercenario greco ai servigi del re di Persia, si liberò e tenne una guarnigione macedonica. Nell'epoca romana Chio aiutò prima il re Attalo di Pergamo contro Filippo V, poscia unì la sua flotta alla romana contro Antioco, e in ultimo la troviamo tra le città greche sollevate contro i Romani, fiduciosa nella vittoria di Mitridate. Ebbe a soffrire della guerra mitridatica e venuta in potere di Silla fu dichiarata città libera della provincia di Asia.
Chio va ricordata soprattutto per essere stata la città che più delle altre ha promosso il lavoro servile, e già nel sesto secolo aveva una popolazione di schiavi molto superiore a quella dei cittadini. L'industria che aveva favorito questa moltiplicazione di schiavi era sorgente a Chio di grandi ricchezze. Seppero i Chii sfruttare la natura calcarea del terreno adatto alla coltivazione della vite, producendo vino di qualità superiore ricercato dappertutto. Oltre a ciò la fabbricazione di stoviglie e d'ogni sorta di mobili fiorì a Chio, tanto che nel sec. V era ritenuta una delle più ricche città della Grecia.
Passata sotto il dominio bizantino, nel sec. XII Scio fu saltuariamente occupata dai Veneziani, e dal principio del secolo XIV appartenne a signori genovesi, dapprima agli Zaccaria (1304-1329); poi, dopo una breve restaurazione del dominio imperiale, a una società di ricchi armatori di Genova (1346-1566), che avevano finanziato la spedizione di riconquista. Questa società per azioni fu chiamata la "Maona" di Scio. Nel 1362 i suoi soci si strinsero in una specie di albergo (v.) e sostituirono ai loro nomi di famiglia quello di Giustiniani, dal nome del palazzo, proprietà comune della società in Genova.
I Giustiniani risiedettero quasi tutti in Scio come mercanti, banchieri, proprietarî, dividendosi le cariche del governo. Il comune di Genova però nominava un podestà in Scio, uno per le due Focee, che pure erano in mano della società, e tre castellani per le cittadelle di Scio e delle due Focee. Scio era una garanzia di sicurezza per le comunicazioni tra Genova e le colonie lontane e controbilanciava la potenza di Venezia nell'arcipelago.
La Maona guadagnava assai per il commercio del mastice di Chio e dell'allume di Focea: l'isola esportava inoltre vini fini, olio, fichi, ecc.; la sua seta era tra le più ricercate e vi erano anche cave di buon marmo e di argilla superiore a quella di Lemno. Il dominio di Scio comprendeva oltre alle due Focee le isole di Samo, Nicaria, Enussa, Santa Panagia.
I signori di Scio presero parte con le loro galee a tutte le lotte dell'Egeo tra Genova e Venezia, e alle lotte contro i Turchi. Se nel 1415 si allearono col sultano contro il principe di Smirne, avendo in compenso, dopo la vittoria, l'autorizzazione di commerciare in tutto l'impero degli Ottomani, pagando però un tributo annuo di 4000 scudi d'oro, accorsero in aiuto di Costantinopoli nella estrema lotta dell'impero greco contro i Turchi. Eroe principale della difesa fu Giovanni Guglielmo Longo dei Giustiniani di Scio. L'isola fu per allora salva dalla conquista turca, perché si acconciò a pagare un tributo annuo di 6000 ducati; ma nel 1455 e nel 1456 due incursioni turche e la minaccia di una terza costrinsero a contribuzioni straordinarie e ad accrescere il tributo annuo sino a 10.000 ducati.
Badando con cura meticolosa a non fare nulla che potesse turbare la pace, e pagando con puntualità il loro tributo, che da diecimila fu portato a 12.000, poi a 14.000 ducati, i maonesi poterono mantenere per oltre un secolo il possesso dell'isola, che con la sola produzione del mastice procurava annualmente un reddito medio di 30.000 ducati. Ma nell'anno 1564 una crisi di produzione impedì alla Maona di pagare il tributo: perciò (1566) una grande flotta turca comparve all'improvviso dinnanzi al porto; s'impadronì a tradimento dei capi della Maona e la colonia si arrese a discrezione.
L'isola di Scio fu teatro d'importanti battaglie navali. Uno scontro avvenne il 30 aprile 1657 tra la flotta veneziana comandata dal Mocenigo e la flotta turca. I Turchi furono sconfitti, e le loro perdite furono di 7 navi, mentre quelle dei Veneziani relativamente lievi. Un'altra battaglia avvenne tra Turchi e Russi il 5 luglio 1770.
N.-D. Fustel de Coulanges, Mémoires sur l'île de Chio, in Archiv des Missions scientif. et litteraires, Parigi 1856, pp. 481-642; K. Krumbacher, Griechische Reise, Berlino 1886, p. 1905; Fr. Teller, Geologische Beobachtungen auf der Insel Chios, in Denkschriften der wiener Akademie, Math. Kl., XL, Vienna 1880, pp. 340-356; H. F. Tozer, The Islands of the Aegean, Oxford 1890, pp. 139-156; A. Iglesias, 'Οδηγὸς τῃς ‛Ελλὰδος, Atene 1927, pp. 464-467. - Storia. - Antichità: G. Busolt, Griech. Geschichte, I, 2ª ed., Gotha 1893, p. 313 segg. e la bibliogr. ivi citata nn. 1 e 2; G. Gilbert, Griechische Statsalterthümer, II, Lipsia 1885, p. 155 seg.; V. Head, Historia numorum, 2ª ed., Oxford 1911, p. 599; H. Collitz, Dialekt-Inschriften, III, 2, p. 703 seg. - Per la geografia, la topografia, i prodotti e le industria, v. Escher, in Pauly Wissowa, Real-Encycl., III, col. 2286 segg. Medioevo ed età moderna: K. Hops, Les Giustiniani, dynastes de Chios: Étude historique, traduit de l'allemand par É Vlasto, Parigi 1888; D. Promis, La Zecca di Scio durante il dominio dei Genovesi, in Memorie Accad. Sc. di Torino, XXIII, 1866; G. Heyd, Storia del commercio del Levante nel Medioevo, in Biblioteca dell'Economista, X, v, Torino 1913. - Sul monastero di Nea Moni, v.: J. Strzygowski, Nea Moni auf Chios, in Byz. Zeitschrift, V (1896), pp. 140-157.