SCIENZA
(XXXI, p. 154)
Storia della scienza. - La storia della s. è una disciplina che sta vivendo un momento di grande vitalità ed espansione. In Italia, come in altri paesi e in particolare nel mondo anglosassone, gli storici della s. hanno dato vita a programmi di ricerca di grande respiro, che hanno trovato concreta espressione in centinaia di monografie, contributi a riviste specializzate, edizioni critiche delle opere, dei manoscritti e degli epistolari di grandi scienziati del passato recente e remoto. Attualmente si possono annoverare più di trecento tra riviste, bollettini e newsletters dedicati ai vari aspetti e interessi disciplinari della storia della scienza, della medicina, della tecnologia e degli strumenti scientifici (Weindling 1990, p. 189). In molti paesi sono attive società di storia della s., e sono anche numerose le organizzazioni che raccolgono studiosi di specifiche discipline; l'insegnamento della storia della s. è entrato a far parte di molti curricoli universitari, mentre a livello delle scuole secondarie elementi di storia della s. affiancano sempre più frequentemente la trattazione di tematiche filosofiche, storiche e scientifiche.
Nonostante la vitalità, e anzi, forse proprio a ragione dell'interesse suscitato dagli studi di storia della s. degli ultimi anni in ampi settori della ricerca storica, della sociologia, della filosofia o della storia della cultura, è difficile offrire una definizione univoca ed esaustiva dell'espressione ''storia della scienza''. Al pari di altri termini che denotano ampi settori di ricerca storica (come ''storia della filosofia'' o ''storia economica''), ''storia della scienza'' sta a indicare una famiglia di imprese di ricostruzione del passato caratterizzata da profonde differenze metodologiche e da diverse e spesso incompatibili priorità concettuali. La storia della s. si presenta oggi come un settore disciplinare percorso da forti tensioni metodologiche, in cui si dibattono i meriti rispettivi di concezioni diverse del lavoro storico, si accolgono sollecitazioni provenienti da altri settori della ricerca storica, sociologica e filosofica, si propongono nuove definizioni del lavoro scientifico che dovrebbero, a detta dei loro sostenitori, suggerire interpretazioni radicalmente nuove dello sviluppo della s. occidentale. Un attento esame delle monografie e delle pubblicazioni periodiche apparse nel corso dell'ultimo decennio, rivela elementi di forte novità all'interno dell'ambito disciplinare: appaiono nettamente in declino, come vedremo più dettagliatamente, le ricostruzioni storiche orientate da forti modelli epistemologici, non si discute praticamente più dei criteri di demarcazione tra fattori ''interni'' e fattori ''esterni'' del mutamento scientifico − un dibattito che fu al centro degli interessi dei cultori di storia della s. tra gli anni Venti e gli anni Settanta (Rossi 1980; Shapin 1992) −, mentre sono sempre più frequenti gli studi che accolgono le istanze metodologiche della sociologia della s., dei gender studies e del femminismo radicale, dell'antropologia culturale e dell'etnografia, della storia del libro e della lettura, degli studi di retorica e della storiografia post-moderna.
La crescita istituzionale e culturale della disciplina ha prodotto diversi tentativi di riflessione sui mutamenti sopravvenuti. Per valutazioni critiche diverse, ma coincidenti nel sottolineare la molteplicità di approcci alla disciplina, si rinvia il lettore alle opere citate in bibliografia di P.T. Durbin (1980), P. Corsi e P. Weindling (1983; trad. it., 1990), W.F. Bynum, E.J. Browne e R. Porter (1983; trad. it., 1988), H. Kragh (1987; trad. it., 1990), R.C. Olby, G.N. Cantor, J.R.R. Christie e M.J.S. Hodge (1990).
Storia della scienza e filosofia della scienza. - Il tentativo di ricostruire le vicende di una determinata disciplina scientifica, per segnare i progressi compiuti, per legittimare con il richiamo a una illustre tradizione il lavoro di un singolo scienziato, o viceversa per sottolineare la portata innovativa di nuove teorie o pratiche scientifiche, ha accompagnato lo sviluppo della scienza occidentale. Gli storici della matematica, per es., fanno risalire la loro disciplina a Eudemo di Rodi, un allievo di Aristotele che compose una storia della geometria e dell'astronomia, andata poi perduta (Jayawardene 1990, p. 189). Nella tradizione greco-latina, in quella musulmana e fino a tutto il Rinascimento, la raccolta di notizie erudite su precedenti osservazioni, teorie, o sui contributi di singoli autori a un determinato campo di ricerche, ornava le introduzioni a opere di astronomia e di fisica, di botanica e di medicina. La dossografia, in altre parole, era parte costituente del lavoro scientifico, come lo fu, per molti secoli, la riflessione sui classici del pensiero scientifico-filosofico greco ed ellenistico (Schmitt 1990, pp. 130-59; Laudan 1993).
Fu solo a partire dalla cosiddetta ''rivoluzione scientifica'' del 17° secolo, e dalle interpretazioni che ne vennero elaborate nell'età dei lumi, che la storia della s., e in particolare, se non esclusivamente, la storia delle discipline fisico-matematiche, assunse un significato paradigmatico per la riflessione sulla storia del progresso del pensiero umano in generale (Cohen 1976). Per complesse ragioni di ordine sociale e culturale, ben illustrate da una lunga tradizione di studi di storia della filosofia, della s. e della cultura moderna, la stagione aperta dalle novità celesti annunciate da Galileo e culminata con la pubblicazione dei Principia di Newton pose le basi per un rinnovamento del sapere in generale e della filosofia in particolare. Ai risultati delle s. fisico-matematiche, secondo questa interpretazione, spettava il titolo di verità universali e necessarie, contro l'arbitrarietà delle concezioni metafisiche e teologiche tradizionali. Alla riflessione filosofica era allora assegnato il compito di enunciare i principi generali di ordine gnoseologico che resero possibile il processo di accumulazione delle conoscenze; alla storia della s. quello di illustrare le tappe più significative di questo processo (Laudan 1993).
Un progetto organico di storia filosofica della s. venne formulato per la prima volta nei circoli illuministici francesi intorno alla metà del 18° secolo. Ispirandosi a E. Condillac e a J. Locke, R.-J. Turgot (1750) e J.-B. d'Alembert (1751) cercavano di ricostruire la storia naturale dello sviluppo della mente umana, stabilendo a priori le tappe della ''generazione metafisica di tutte le nostre conoscenze'' (d'Alembert 1751, in Galluzzi 1989, p. 417). Lo sviluppo storico delle conoscenze non seguiva tuttavia l'ordine logico, in quanto l'attività umana subiva i condizionamenti dei bisogni momentanei, e doveva superare le resistenze delle superstizioni e della metafisica: ciò comportava la necessità del ricorso alla storia, per verificare i modi e i tempi con cui l'ordine logico si era esplicitato. L'attenzione dello storico-filosofo si concentrava soprattutto sulle scienze fisico-matematiche: la geometria, l'astronomia e la meccanica, nel loro sviluppo storico, illustravano meglio di ogni altra impresa conoscitiva il progressivo maturare delle facoltà umane.
Alle tesi dei philosophes faceva riferimento J.-E. Montucla, che pubblicava nel 1758 la sua Histoire des mathématiques, un'opera che esercitò notevole influenza per tutta la prima metà del secolo successivo grazie anche alla poderosa erudizione dispiegata nella trattazione. Il modello di histoire raisonnée propugnato dai philosophes ispirò, tra le altre, la storia dell'astronomia di P.S. Laplace (1796), quella di A. Smith, che pure dissentiva da d'Alembert sulla valutazione del ruolo dell'immaginazione nel progresso delle conoscenze (Smith 1795) e le storie dell'elettricità e della visione di J. Priestley (1767, 1772 e McEvoy 1979). Non mancarono imprese storiografiche che si contrapponevano al modello di storia ragionata dell'Encyclopédie, come l'Histoire de l'astronomie ancienne di J.S. Bailly (1775; v. anche 1787, 1779-82), o l'Histoire de l'astronomie di J.-B.J. Delambre (1817-27). In ogni caso, il dibattito sulla storia razionale delle s. proposta dagli illuministi, e il contrapporsi di storie ispirate a modelli filosofici alternativi, fecero della storia della s. un elemento centrale nella riflessione sui processi di modernizzazione culturale e sul concetto di progresso tra Settecento e Ottocento.
Nel corso del 19° secolo, le storie filosofiche della s. conobbero un notevole impulso a opera di scienziati impegnati nella definizione del metodo e delle implicazioni filosofiche della s. moderna, nel contesto sia di un'opera aggressiva di secolarizzazione della filosofia e della cultura, sia, viceversa, di una difesa di valori religiosi tradizionali contro gli assunti del positivismo e dei suoi epigoni (Whewell 1837; Paul 1979; Fisch e Schaffer 1991). Notevole fu l'influenza esercitata dal Cours de philosophie positive di A. Comte (1830-42) nel dibattito filosofico sulla s., e nell'orientare l'opera di molti scienziati-storici. Secondo una semplice quanto fortunata ricostruzione dello sviluppo dell'intelletto umano, Comte dichiarava che ogni impresa conoscitiva era destinata a passare attraverso tre fasi fondamentali: la teologica, la metafisica e la positiva. Solo nella fase positiva l'uomo rinunciava al sogno di indagare le ''cause'' animistiche, teologiche o metafisiche dei fenomeni, e aveva compreso che l'unica possibilità per favorire il progresso cumulativo delle conoscenze era lo studio delle leggi che connettono i fenomeni naturali osservati od oggetto di esperimento. Nel corso della storia occidentale, le matematiche pure e applicate (per es. l'astronomia e la meccanica) avevano raggiunto per prime la fase positiva del loro sviluppo, mentre altre discipline, come le s. sociali, erano ancora invischiate nei difetti propri delle fasi precedenti: Comte rivendicava appunto come fine della propria impresa la fondazione delle s. sociali su solide basi positive.
L'influenza di Comte sulla storia della s. non può essere valutata solo tramite le opere dei suoi discepoli più illustri, come il chimico M. Berthelot (1888, 1890). In effetti, anche se il positivismo comtiano non divenne mai una componente dominante del pensiero filosofico francese ed europeo, diversi elementi del suo insegnamento vennero incorporati negli approcci alla filosofia e alla storia della s. di molti pensatori. La s. moderna si era sviluppata contro le tradizioni metafisiche e teologiche (Draper 1875, White 1896), non ambiva a conoscere le ''cause'' dei fenomeni − un atteggiamento tipico del pensiero prescientifico − e si limitava a esprimere nel linguaggio rigoroso della matematica la regolarità delle leggi che governano i fenomeni naturali. Pur con accenti diversi, l'importante panoramica della storia della meccanica di E. Mach (1883; D'Elia 1971) e La science et l'hypothèse (1906) di H. Poincaré concordavano nel sostenere che il linguaggio della s. era libero da concezioni teologiche e filosofiche, limitandosi a registrare, tramite lo strumento matematico, le regolarità fenomeniche. Mach non negava che illustri scienziati del passato potessero essere stati influenzati dalle proprie concezioni teologiche o filosofiche, cui erano debitori per la formulazione di alcune ipotesi scientifiche. Tuttavia, si trattava di aspetti irrilevanti per il progresso cumulativo delle conoscenze naturali, interessanti solo dal punto di vista della psicologia individuale (Mach 1883, p. 450). Le concezioni della s. e della sua storia elaborate da Mach e da Poincaré vennero riprese da P. Duhem ne La théorie physique, son objet, sa structure (1906), con la significativa differenza che lo scienziato francese concludeva la sua opera sottolineando che la scelta delle ipotesi di partenza nel lavoro scientifico poteva e di fatto era stata determinata da fattori extra-scientifici. La s. occidentale doveva molto, a suo avviso, ai dibattiti sull'aristotelismo interni alla teologia cristiana. Fervente cattolico e ultranazionalista, Duhem sostenne che la s. moderna era nata il 7 marzo 1277, quando E. Tempier, vescovo di Parigi, condannò le tesi aristoteliche sulla finitezza del mondo e la negazione del vuoto, aprendo così la strada alla formulazione di nuove ipotesi sulla natura, che avrebbero dato i propri frutti nei secoli successivi. Duhem dedicò gli ultimi anni della sua vita alla stesura di un'opera ambiziosa, completata postuma, Le système du monde (1913-51), volta a sottolineare gli elementi di continuità tra il pensiero naturalistico tardo-medievale e la nuova scienza del 17° secolo. A partire dagli anni Cinquanta, la tesi ''continuista'' di Duhem è stata ripresa, con accenti e sottolineature diverse, dallo storico oxoniense A.C. Crombie (1952).
Con le opere di Mach e di Duhem, si chiude una fase importante nei rapporti tra filosofia e storia della s., caratterizzata dall'intervento diretto di scienziati-filosofi nel lavoro di ricostruzione della s. del passato (Laudan 1969). Il rinnovamento dell'indagine filosofica proposto da B. Russell e da A.N. Whitehead nei Principia Mathematica, che ridefiniva le priorità e i criteri di legittimità della ricerca filosofica nei termini del primato della logica formale, e lo sviluppo della corrente di filosofia neopositivistica a opera di esponenti di rilievo del Circolo di Vienna quali R. Carnap o il primo L. Wittgenstein, sancivano l'allontanamento della filosofia della s. dalla storia della s., proprio nel volgere di decenni che, come vedremo più avanti, segnarono un ulteriore, notevole sviluppo di quest'ultima disciplina sia a livello istituzionale sia a livello metodologico (Hesse 1980; Wood 1990). L'attenzione dei filosofi della s. che si ispiravano ai dettati metodologici del Circolo di Vienna (la cui influenza, anche a ragione della diaspora dovuta all'oppressione nazista e agli eventi bellici, si estese rapidamente al mondo anglosassone) si concentrò sulla definizione della struttura della spiegazione scientifica e lo status logico delle leggi scientifiche. Oggetto della ricerca filosofica divenivano dunque le proposizioni scientifiche, in particolar modo quelle altamente formalizzate della fisica contemporanea, analizzabili in termini di proprietà logiche. L'International encyclopedia of unified sciences, che fu pubblicata a partire dal 1938 sotto la direzione di O. Neurath (un altro esponente del Circolo di Vienna emigrato negli Stati Uniti), esprimeva la fiducia che l'analisi delle teorie scientifiche condotta secondo i dettati dell'empirismo logico avrebbe potuto portare all'unificazione di tutte le s.: le complesse vicende del passato avevano poco senso in questo contesto (Losee 19802).
A partire dalla fine degli anni Cinquanta, e fino a tutti gli anni Ottanta, il processo di revisione e in molti casi di abbandono delle prospettive e delle priorità di ricerca dell'empirismo logico ha animato il dibattito interno alla filosofia della scienza. Le idee dell'ultimo Wittgenstein (McGuinness 1982), le proposte di filosofi quali S. Toulmin (1953, 1977), N.R. Hanson (1958, 1971), J. Agassi (1963, 1964) o L. Laudan (1977), P. Feyerabend (1965, 1975; Iliffe 1992), di K. Popper (Schilpp 1974) e dei suoi epigoni (primo tra tutti I. Lakatos, 1970), hanno favorito una rivalutazione, almeno a livello teorico, dell'utilità della storia della s. per l'indagine epistemologica (Suppe 1974). Per non parlare dell'influenza esercitata da The structure of scientific revolutions di T. Kuhn (1962) sia in ambito filosofico, sia negli studi di sociologia della s. (Oldroyd 1986; Hodge e Cantor 1990; v. oltre). Tuttavia i dibattiti interni alla filosofia della s. post-empirista non hanno praticamente lasciato tracce sugli studi di storia della s. In un saggio sui rapporti tra storia e filosofia della s., Laudan lamentava che "leggendo la letteratura corrente in storia della scienza, non ci si accorgerebbe quasi dell'esistenza di Thomas Khun quale teorico della scienza" (Laudan 1990, p. 49). E continuava: "I filosofi della scienza, o almeno molti di loro, sono oramai convinti che la storia e la filosofia della scienza hanno senso solo se portate avanti di concerto. Al contrario, l'opinione prevalente tra gli storici della scienza è che le proposte di matrimonio del corteggiatore filosofo debbano essere sommariamente respinte" (Laudan 1990, p. 50).
La pluralità di proposte epistemologiche attualmente discusse dai filosofi della s. rivela la complessità del compito di fornire una descrizione accurata e perspicua dei meccanismi logici e degli apparati linguistici, delle dimensioni psicologiche e sociali che entrano a far parte del processo di costruzione e trasmissione di teorie e ''discorsi'' scientifici. È inoltre emersa con forza crescente la convinzione che sarebbe quanto meno fuorviante attribuire a tali controverse definizioni di s. l'autorità di prescrizioni: è in effetti difficile sostenere, per es., che modelli epistemologici sufficienti a render conto di aspetti particolari del discorso scientifico nelle discipline fisico-matematiche, possano costituire utili elementi d'indagine se applicati alle s. della vita, della terra o della società. Infine, come avremo modo di rilevare più avanti, il fenomeno ''scienza'', se esaminato dal punto di vista storico, non può certo essere descritto solo in termini di teorie o statuti di verificazione e falsificazione: la s. moderna si presenta infatti come un fenomeno economico, politico, istituzionale, etico e sociale di notevole complessità.
Storie delle scienze: metodi e pionieri a confronto. - Nel corso dei primi tre decenni del 20° secolo, la storia della s. assunse le sue prime forme di istituzionalizzazione, sia a livello nazionale sia internazionale, a opera soprattutto di scienziati-storici che si rifacevano al pensiero positivista. Lo stesso Comte aveva sostenuto nel 1832 una sfortunata battaglia istituzionale per creare una cattedra di storia della s. presso il Collège de France, una proposta ripresa nel 1863 dal suo discepolo E. Littré. La cattedra ''d'histoire générale des sciences'' venne finalmente istituita nel 1892, per essere poi abolita nel 1923 (Paul 1976). All'insegnamento di Comte si rifaceva anche G. Sarton, che fondava nel 1913 la rivista Isis, in seguito organo ufficiale della History of Science Society statunitense, riunita per la prima volta nel 1924, e oggi la più numerosa e attiva (Sarton 1927-48, 1952; Stimson 1962; Thackray 1980; Bucciantini 1987). L'invasione tedesca del Belgio spinse Sarton a emigrare negli Stati Uniti; non senza difficoltà, approdò a Harvard, dove pose le basi per l'istituzione del primo dipartimento di Storia della s. in America (Thackray e Merton 1972). L'esempio di Sarton fu seguito in Italia da A. Mieli, che nel 1919 dava alle stampe il primo numero dell'Archivio di storia della scienza (v. oltre). Nel 1926 veniva creata la prima cattedra inglese di storia della s., presso l'University College di Londra (Thackray 1980; Rossi 1980). A livello internazionale, un importante stimolo a stabilire rapporti organici tra storici della s. venne nel 1900, in occasione dell'esposizione universale di Parigi. Si tenne allora un Congresso di storia comparata, che ospitò, grazie all'impegno dello storico e filosofo positivista P. Tannery (1912-50), una sezione di storia della scienza. Fu tuttavia solo con il Congresso di scienze storiche organizzato a Oslo nel 1928 che si giunse alla creazione di un Comitato internazionale di storia delle scienze, che in seguito diede vita all'Académie internationale d'histoire des sciences (Abbri 1990).
Alcune imprese editoriali di grande respiro, dedicate alla riedizione di classici della s., contribuirono alla diffusione dell'interesse per la storia della scienza. Nel 1889 il fisico e filosofo tedesco W. Ostwald pubblicava a Lipsia il primo di circa 250 volumi della collana Klassiker der Exacten Naturwissenschaften. Il suo esempio venne seguito nel 1910 da K. Sudhoff con i Klassiker der Medizin. Sudhoff, il cui insegnamento ebbe un'importanza fondamentale nello sviluppo della storia della medicina, grazie anche ad allievi quali W. Pagel, H. Sigerist e O. Temkin (emigrati in Inghilterra il primo, negli Stati Uniti gli altri due) era stato tra i fondatori della Deutsche Gesellschaft für Geschichte der Medizin, aveva costituito nel 1905 un importante Istituto per la storia della medicina a Lipsia e nel 1908 aveva dato vita alla rivista Archiv für Geschichte der Medizin, poi nota come Sudhoff Archiv.
Già dai primi anni del 20° secolo, la storia della s. si presenta come un ambito di studi su cui convergono contributi da diverse prospettive della ricerca filosofica, sociologica e storica, segnato da forti tensioni a livello del dibattito sui criteri di demarcazione della disciplina. Esamineremo qui di seguito alcuni dei principali orientamenti che hanno caratterizzato la storia della s. sino agli anni Settanta.
Filosofia e storia della scienza. - La s. occidentale iniziò nel corso del 19° secolo un forte processo di istituzionalizzazione e specializzazione disciplinare, anche se, come abbiamo già osservato, furono soprattutto i dibattiti sulle s. fisico-matematiche ad attirare l'attenzione degli ambienti filosofici. Nei decenni a cavallo tra il 19° e il 20° secolo, ai dibattiti sull'etere, sull'elettromagnetismo e, a partire dal primo decennio del 20° secolo, ai grandi rivolgimenti concettuali e teorici all'interno della fisica e della chimica si volsero filosofi estranei o dichiaratamente contrari al positivismo o al convenzionalismo alla Mach o alla Poincaré. Le riflessioni sulla s. in ambito tedesco, per quanto di grande interesse, non lasciarono tracce immediate nel dibattito sulla storia della s. (a eccezione della ripresa da parte di A. Koyré di elementi della riflessione fenomenologica), mentre in ambito francese l'incontro tra tradizioni di pensiero idealistico e la riflessione sulla storia e la filosofia della s. esercitò un influsso rilevante e duraturo.
Per quel che concerne l'ambiente tedesco, basti ricordare l'interesse per la s. moderna, e in particolare per la teoria della relatività di Einstein e i primi sviluppi della meccanica quantistica al centro della revisione critica del kantismo operata da E. Cassirer. Per il filosofo di Marburgo, la s. moderna, e la storia del pensiero scientifico, inteso esclusivamente come succedersi di teorie, costituiscono il terreno privilegiato del lavoro filosofico (Cassirer 1906-20; Rossi 1980, p. 389). E. Husserl, dalla prima opera dedicata alla Philosophie der Arithmetik (1891) sino a Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie (1935) applicava i principi della fenomenologia alla discussione dei rivolgimenti concettuali della logica matematica e della fisica moderna, insistendo anche sui pericoli di un'eccessiva esaltazione del metodo e dei risultati delle s. per l'etica. Alcuni spunti della critica husserliana alla s. moderna vennero ripresi da M. Heidegger, che svolse riflessioni allarmate sull'influenza nefasta della tecnologia per la coscienza dell'uomo moderno, una posizione che accoglie oggi vasti consensi nella critica post-moderna dell'apparato scientifico-industriale contemporaneo.
In ambito francese, esponenti del pensiero idealistico sottolineavano l'inadeguatezza del positivismo e del convenzionalismo a render conto dei mutamenti e delle rivoluzioni concettuali delle s. fisico-matematiche a partire dagli ultimi decenni del 19° secolo. L. Brunschwicg scrisse di storia della matematica e della fisica, due discipline che svelavano la capacità dell'intelletto umano di costruire potenti strutture concettuali (Corsi 1990, p. 14). L'''idealismo critico'' proposto da Brunschwicg considerava le teorie scientifiche come materia prima in grado di svelare al filosofo i procedimenti della creatività umana. La storia della s. faceva dunque risaltare i processi di mutamento concettuale che hanno caratterizzato lo sviluppo della s. moderna, uno sviluppo per nulla lineare, né determinato dal mero progressivo affinamento di convenzioni matematico-linguistiche, come volevano gli epigoni del positivismo (Brunschwicg 1912, 1922; Rossi 1980, p. 389). Anche E. Meyerson (1908, 1927), sodale di Brunschwicg e di Koyré (in qualità di curatore finanziario degli interessi della comunità ebraica parigina, si prodigò per alleviare l'esilio in Francia di molti intellettuali che fuggivano il fascismo e il nazismo, tra cui l'italiano A. Mieli), riteneva che la storia della s. costituisse un laboratorio di eccezionale importanza per il filosofo (Koyré 1939; La Lumia 1966; Redondi 1978). Nel volgere degli stessi anni, A. Rey (1907, 1927) − che insieme a Mieli e alla storica della chimica e della cristallografia H. Metzger (1923, 1935; v. AA.VV. 1988) collaborò alla costituzione di un Centre international d'histoire des sciences presso il Centre international de synthèse di Parigi − considerava la storia della s. come il rivelarsi storico delle epistemologie. La riflessione epistemologica di G. Bachelard, che riprendeva e rielaborava i temi della critica anti-positivistica presenti in Brunschwicg, Meyerson e Rey, ha esercitato una durevole influenza sulla storiografia della s. di lingua francese. Bachelard rivendicava il primato del filosofo sullo scienziato, cui rimproverava di non saper valutare le profonde conseguenze filosofiche dei rivolgimenti nelle s. fisiche e chimiche dei primi decenni del secolo. Le sue incursioni, peraltro altamente selettive, nella storia della s. miravano a evidenziare i momenti di discontinuità, di ''rottura epistemologica'' che caratterizzavano il susseguirsi di teorie scientifiche (Roger 1984). La sua tesi di dottorato (1927) si concentrava sugli sviluppi della terminologia del 19° secolo, mettendo in risalto come il perfezionarsi delle tecniche di misurazione, lungi dall'indicare un processo di lineare e cumulativo perfezionamento tecnico, rivelasse invece profondi rivolgimenti concettuali ed epistemologici. In opere successive, Bachelard ha affrontato uno studio sistematico delle modalità del conoscere scientifico, sottolineando gli ''ostacoli epistemologici'' − vere e proprie categorie gnoseologiche del profondo, analizzabili in termini psicoanalitici − che hanno rallentato e rallentano i progressi delle conoscenze scientifiche (Bachelard 1938; Dagognet 1965; Lecourt 1969; Gaukroger 1976; Redondi 1978). Il primato delle considerazioni di ordine epistemologico nel lavoro dello storico della s. ha caratterizzato e caratterizza tutt'oggi buona parte della produzione storiografica in ambito francese (Roger 1984). Grazie ai lavori di G. Canguilhem (1952, 1955, 1968) e soprattutto di M. Foucault (1966, 1969, 1971, 1976), che hanno ripreso e ampliato diversi temi dell'epistemologia bachelardiana, nel corso degli ultimi due decenni l'influenza del pensatore francese si è estesa anche al mondo anglosassone (Smith 1982; Tiles 1984; Sheridan 1980; Gutting 1989; Miller 1993; Delaporte 1994).
Una posizione particolare occupa nel contesto francese, e nel panorama della storiografia della s. internazionale tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, l'opera di A. Koyré. Allievo di Husserl, trasferitosi dalla Russia in Germania e poi in Francia nel 1912, Koyré passò dagli iniziali interessi per la logica matematica allo studio del pensiero religioso e filosofico (Zambelli 1967 e 1993; Redondi 1986 e 1987). Prese parte alle discussioni sulla s. che animavano il circolo di Brunschwicg, Meyerson e Rey; al pari di questi concentrò la propria attenzione sugli aspetti teorici dello sviluppo della s. moderna, che definiva come un sinuoso e problematico ''itinerarium mentis in veritatem'', e mise in luce i limiti dell'approccio positivista e continuista alla storia della s. (Galluzzi 1994). La s. era per lui essenzialmente teoria, come più volte ebbe a sottolineare opponendosi alle interpretazioni sociologiche o di impronta marxista della nascita della scienza moderna (Koyré 1963, pp. 856-57). I bisogni sociali, gli sviluppi tecnologici, e persino il perfezionamento degli strumenti scientifici (visti come pure reificazioni di teorie) non esercitarono a suo vedere alcuna influenza sul progresso delle s., fino al punto che il telescopio di Galileo non trova posto nella sua storia dell'astronomia da Copernico a Borelli (Koyré 1961; Taton 1965). Gli stessi esperimenti di Galileo, affermava, altro non erano che ''esperimenti mentali'' dedotti dalle considerazioni geometrico-archimedee che costituivano il fulcro delle sue ricerche sul moto, una posizione che ha suscitato più di una risposta nell'ambito della storiografia galileiana (Galluzzi 1994). Convinto dell'unità del pensiero umano in ogni sua manifestazione, il metodo di ''analisi concettuale'' che mise all'opera partiva dal presupposto che la storia della s. non potesse prescindere dai contesti culturali, quello filosofico e teologico in particolare, in cui si erano prodotte decisive innovazioni scientifiche. Mostrò per es. che un'analisi del platonismo rinascimentale o della filosofia neoplatonica del filosofo cantabrigense Henry More era essenziale per comprendere l'opera di Galileo e di Newton (Koyré 1939-40, 1965). Rifugiatosi nel corso della seconda guerra mondiale a New York, dove svolse attività di ricerca e di insegnamento presso l'Ecole libre des hautes études, Koyré divenne nel 1955 membro dell'Institute for Advanced Studies di Princeton; collaborò con studiosi quali I.B. Cohen, e la sua influenza venne riconosciuta da storici statunitensi quali M. Clagett, C.C. Gillispie, H. Guerlac, T.S. Kuhn, J. Murdoch e, in Inghilterra, da A.R. Hall. Nel corso degli ultimi due decenni, il prevalere di nuove interpretazioni di stampo sociologico della rivoluzione scientifica del 17° secolo, settore privilegiato delle sue ricerche, ha messo in ombra il lavoro di Koyré, soprattutto presso le nuove leve della storia della scienza anglo-americana (Schuster 1990; Galluzzi 1994).
Storia della filosofia e storia della scienza. - Le tesi privilegiate dalla storia filosofica della s. di stampo positivistico e convenzionalistico, che vedevano nella rivoluzione dell'astronomia e della fisica del 17° secolo gli inizi di un processo di crescita cumulativa delle conoscenze, vennero confutate sin dagli inizi del 20° secolo sia da storici della filosofia sia da storici dell'età moderna. Il filosofo statunitense E.A. Burtt pubblicava nel 1924 un'opera dal titolo provocatorio, The metaphysical foundations of modern physical science. Pur concedendo ai positivisti che il rinnovamento delle s. fisico-matematiche operatosi con la rivoluzione scientifica costituiva "la conquista più straordinaria dei tempi moderni" (p. 95), Burtt sottolineava il ruolo fondamentale avuto dalle concezioni filosofiche e teologiche del tempo nella formulazione di nuove ipotesi scientifiche, molte delle quali erano in forte contrasto con l'esperienza del senso comune, come l'ipotesi eliocentrica copernicana. Pose in risalto i legami di Newton con il circolo neoplatonico di Cambridge (pp. 202-36) e illustrò le concezioni animistiche e mistiche di Keplero, che tuttavia giudicava come ''rozze superstizioni'' (p. 60). L'opera non esercitò grande influenza sulla storia della s. americana o europea, e fu severamente criticata da filosofi della s. quali W.E. Strong o P. Frank (Burtt 1943).
Un interesse per la storia della s. emerse negli Stati Uniti nel circolo di studiosi riuniti nel 1922 da G. Boas e A.O. Lovejoy nell'History of Ideas Club. Lovejoy pubblicava nel 1936 The great chain of being, letto da generazioni di studenti in tutto il mondo, e fondava nel 1940 l'altrettanto fortunato Journal for the History of Ideas. Gli studiosi che si riconoscevano nel programma di ricerca delineato da Lovejoy, riconobbero molti punti di contatto con l'analisi concettuale di Koyré, anche se lo storico francese non avrebbe condiviso molti dei concetti base della metodologia del collega statunitense, soprattutto il suo insistere sulla tesi di una esistenza di ''idee'' comuni a diverse epoche e civiltà, che sarebbe compito dello storico evidenziare.
Per un'esaustiva discussione dei fondamenti e della fortuna del movimento di ''storia delle idee'', v. idee, Storia delle, in questa Appendice. Basti osservare in questa sede che il Journal of the History of Ideas ha spesso ospitato saggi che si discostavano dalle concezioni originarie di Lovejoy e si avvicinavano maggiormente alla tradizione di studi di storia della filosofia e della s. praticata in Italia, Francia e Germania: molto più simili, in altre parole, all'analisi concettuale di Koyré (Wiener e Noland 1957). All'insegnamento di Lovejoy si rifaceva, anche se non esclusivamente, M.H. Nicolson, cui si deve un innovativo Science and imagination (Rossi 1980, p. 391). Un contributo merita in particolare di essere citato tra gli esempi dei tentativi pionieristici di riportare la storia della s. all'interno di tematiche più generali di storia della cultura, rifiutando di accettare la s. e la filosofia della s. di oggi come guide privilegiate se non esclusive per lo studio della s. del passato. The origins of modern science 1300-1800 di H. Butterfield apparve nel 1949, e fu salutato da Koyré come uno dei migliori studi di carattere generale sulla nascita della s. moderna (Rossi 1964). Butterfield polemizzava sia con Sarton, criticandone l'infondata ricerca dei ''precursori'' della scienza moderna, sia con i sostenitori di un approccio sociologico o marxista alla storia della scienza. Di notevole rilievo, e per molti decenni inascoltata, la critica ai colleghi storici della cultura e della civiltà moderna, che trascuravano o ignoravano del tutto il ruolo della s. nella società occidentale. In ultima analisi, tuttavia, Butterfield accettava alcuni punti fondamentali delle posizioni che criticava. Per es., prestava scarsa attenzione a movimenti scientifici o filosofici non inquadrabili nei termini di una visione progressiva delle conoscenze scientifiche, e accettava la tesi continuista di Duhem, affermando che il 1277 era effettivamente stato l'anno in cui un tabù religioso operò a favore della libertà delle ipotesi scientifiche (p. 9). Ben più articolati e influenti sono stati gli studi di F. Yates sui rapporti tra cultura filosofica, ermetismo e scienza nell'Europa moderna (1964, 1972). Tra i contributi che hanno esaminato il ruolo delle concezioni della natura nella cultura del passato va ricordato infine il lavoro dello storico inglese K. Thomas (1971, 1983).
Marxismo e storia della scienza. - "Sono personalità straordinariamente vigorose. Considero la loro partecipazione come veramente sensazionale... L'irruzione di un gruppo compatto di delegati sovietici nel Congresso, che fanno continuamente riferimento al marxismo come a un vangelo, e attaccano il capitalismo, è forse un evento di importanza storica" (Welch 1931). Così si esprimeva W. Welch, fondatore dell'istituto di Storia della medicina della Johns Hopkins University, commentando nel suo diario le giornate di fine giugno e dei primi di luglio del 1931 dedicate al secondo Congresso internazionale di storia della scienza tenutosi a Londra. I delegati sovietici si erano presentati portando con loro un volumetto che conteneva 13 comunicazioni, dal titolo Science at the cross roads: subito esaurita, ma nota attraverso riedizioni di alcuni dei saggi, per circa un quarantennio l'opera sarà al centro di intensi dibattiti tra gli storici della scienza. Il volume raccoglieva i primi risultati delle ricerche condotte presso l'Istituto di storia della scienza e della tecnica costituito nel 1921 presso l'Accademia delle scienze di Mosca, di cui Bucharin, che guidava il gruppo a Londra, era divenuto presidente nel 1930 (Graham 1973). Il saggio che più fece impressione − e che più circolò − fu quello di B. Hessen, Social and economic roots of Newton's Principia. "L'origine di tutte le idee senza eccezione − scriveva Hessen − va ricercata nello stato delle forze materiali di produzione" (1931, pp. 151-52).
Fu soprattutto in Inghilterra (Werskey 1978) e negli Stati Uniti (oltre ovviamente ai paesi del blocco sovietico e nella Repubblica popolare cinese, Thackray 1980, p. 14) che l'impatto della storia della s. marxista alla Hessen raccolse maggiori consensi. J.C. Crowther, autore tra l'altro di saggi popolari sulla s. inglese (1935), contribuì alla diffusione delle nuove idee, mentre il cristallografo e storico J.B. Bernal si impegnò in opere di largo respiro sugli sviluppi della fisica moderna e sui rapporti tra s. e industria (Bernal 1953, 1954; Gowing 1990). L'antichista B. Farrington scrisse su Francis Bacon filosofo della società industriale (1947); il sociologo marxista E. Zilsel, che dalla Germania si era trasferito negli Stati Uniti, dedicava studi al contributo della cultura degli artigiani allo sviluppo della s. moderna (Zilsel 1942; Keller 1950); D. Struick, un matematico olandese emigrato negli Stati Uniti esaminò i rapporti tra scienza e bisogni economici negli Stati Uniti (1948); S.F. Mason pubblicava nel 1953 una History of the sciences che godette di notevole fortuna. In ambito tedesco, sono da ricordare gli studi di F. Borkenau (1934).
Il più prestigioso rappresentante dell'approccio alla storia della s. ispirato al marxismo è J. Needham, uno dei più attivi delegati al congresso di Londra del 1931. Embriologo di fama internazionale, storico della sua disciplina, influenzato dalla dottrina sociale della corrente filocattolica anglicana, Needham condivideva l'idea di Bernal che la s. moderna rappresentava un valore universale di civiltà. Nel 1954 usciva il primo volume della monumentale Science and civilization in China (1954-84), opera che intendeva affrontare il problema dei rapporti tra tecnologia, s. e società tramite l'analisi dello sviluppo delle conoscenze e delle pratiche tecnologiche nella storia cinese. A eccezione dell'opera di Needham, dopo gli anni Settanta l'approccio marxista alla storia della s. veniva esaurendo la propria forza innovativa, sia per il prevalere di un atteggiamento critico nei confronti delle certezze del passato all'interno dello stesso pensiero marxista, sia per il declino delle prospettive politiche e ideologiche che avevano suscitato larghi consensi nei due decenni precedenti la seconda guerra mondiale, e negli anni della guerra fredda (Teich e Young 1973; Young 1990). L'attenzione per il rapporto tra produzione scientifica e situazione economica, politiche industriali e governative, per le radici o le funzioni ideologiche di determinate teorie scientifiche è entrata a far parte degli interessi di storici della s. estranei se non opposti al marxismo. Infine, molte priorità di ricerca indicate dalla storiografia marxista sono state riprese da storici che si ispiravano alla grande tradizione del pensiero sociologico tedesco e anglo-americano, pronta ad accettare un dialogo col marxismo, ma non ad accettarne in toto le indicazioni metodologiche.
Sociologi e storici della scienza. - L'idea di studiare il fenomeno s. dalla parte dei produttori delle conoscenze, e non dei prodotti finali (le teorie o gli esperimenti), non risale certo − o solo − all'applicazione dei modelli interpretativi delle origini della società moderna elaborati negli studi seminali di sociologi quali M. Weber, R.H. Tawney o E. Troeltsch. Nel 1873 il botanico A. de Candolle aveva pubblicato una idiosincratica Histoire des sciences et des savants depuis deux siècles in cui sosteneva che la maggior parte dei protagonisti della nuova s. apparteneva alle classes moyennes, e che rappresentò comunque il primo tentativo di valutazione quantitativa della professione scientifica. La prima valutazione quantitativa e qualitativa di grande respiro di una comunità scientifica venne intrapresa nel 1936 dal sociologo statunitense R.K. Merton in un saggio dal titolo Puritanism, pietism and science, seguito nel 1938 dal fondamentale Science, technology and society in seventeenth century England (v. anche 1957 e 1973). Il successo dell'opera di Merton, e le polemiche che suscitò tra gli storici della s., hanno messo in ombra tentativi precedenti o coevi di indagare il complesso di motivazioni sociali e teologiche che nell'Inghilterra del 17° secolo aveva indirizzato allo studio della natura un numero considerevole di intellettuali (Parker 1914; Stimson 1935; Clark 1937). Il saggio di Merton si caratterizzava tuttavia per la sofisticata analisi statistica e prosopografica volta ad approfondire le tesi weberiane sul nesso tra protestantesimo e nascita della società capitalistica. Merton concludeva il suo studio postulando un legame causale diretto tra la visione puritana del posto dell'uomo nella natura e dell'operare divino, e l'estendersi dell'indagine scientifica e dell'istruzione nell'Inghilterra del 17° secolo.
L'approccio sociologico alla storia della s. non fece molti proseliti nei due decenni che seguirono la seconda guerra mondiale. Agli occhi di diversi storici anglo-americani e francesi, le indagini alla Merton si avvicinavano troppo all'impostazione marxista. A.R. Hall dedicava la sua dissertazione di dottorato, Ballistics in the seventeenth century England (1948; Hall 1952), a una confutazione delle tesi marxiste, sostenendo che lo sviluppo della balistica poco ebbe a che vedere con le pratiche degli artiglieri: come per Koyré, anche per lo storico inglese la s. era essenzialmente teoria. In un saggio del 1963, Hall ripercorreva le fasi del dibattito sulle tesi di Merton, rivendicava la superiorità dell'approccio concettuale alla storia della s. e accusava i sociologi di prestare scarsa attenzione ai contenuti specifici dei lavori scientifici. Il Congresso di storia della scienza tenutosi a Oxford nel 1961 (Crombie 1963) fu animato da un acceso dibattito sul ruolo rispettivo dei fattori esterni (di ordine sociologico, economico, teologico o ideologico) e dei fattori interni (lo sviluppo concettuale delle teorie) nella valutazione delle origini della s. moderna. Tra i presenti, sia pure con accenti diversi, Koyré e Hall sottolinearono l'irrilevanza dei fattori esterni, mentre Needham legava lo sviluppo (o l'assenza) di imprese scientifiche alle condizioni culturali e sociali di una determinata civiltà in determinate epoche. Significativo fu l'intervento dello storico della chimica H. Guerlac che, pur apprezzando il valore euristico dell'approccio concettuale, osservava che "fare una arbitraria distinzione tra idee ed esperienza e trattare le idee come se avessero una loro vita totalmente indipendente, separata dalla realtà, è errato" (1963, p. 811). Sino a tutti gli anni Settanta, la difesa (implicita o esplicita) di una storia della s. come susseguirsi di teorie caratterizzò buona parte della produzione storiografica. Non mancavano tuttavia ragguardevoli eccezioni. Per es., in un saggio del 1945, e in monografie su Paracelso (1958), Harvey (1967) e van Helmont (1982), W. Pagel, l'allievo di Sudhoff emigrato in Inghilterra, difendeva una visione della storia della s. come libera da condizionanti ipoteche metodologiche (spesso dettate da un'anacronistica trasposizione nel passato di concezioni moderne della s.), che impedivano di cogliere la complessità dei quadri di riferimento in cui operavano gli scienziati del passato. Anzi, la stessa definizione di ''scienziato'' doveva essere ampliata per includere figure di pensatori del tutto estranei alle moderne concezioni di s. (Rossi 1980).
Un'importante quanto originale rivalutazione del ruolo dei fattori sociologici nei processi scientifici fu elaborata da T.S. Kuhn, fisico e storico della s., nel suo The structure of scientific revolutions (1962; v. anche 1963 e 1971). Kuhn si ispirava più alla critica del continuismo elaborata in ambito francese (Brunschwicg, Meyerson, Metzger, Koyré) che non alle tesi di Merton; la sua attenzione, inoltre, si concentrava sulle dinamiche della crescita scientifica, in contrapposizione alle tesi dell'empirismo logico. La sua fortunata distinzione tra s. ''normale'' − che si apprende sui libri di testo, e caratterizza il lavoro quotidiano di scienziati che aderiscono a uno stesso ''paradigma'' − e periodi di crisi che portano all'affermazione di un nuovo paradigma e all'affermarsi di una nuova fase di s. ''normale'', assegnava a fattori descrivibili in termini sociologici un ruolo di grande rilievo. Lo scienziato che aderisce a un determinato paradigma è sempre in grado di estenderne l'applicabilità anche a fenomeni che, a detta dei sostenitori di un paradigma rivale, dovrebbero costringerlo a cambiare idea. Dunque, le ragioni del mutamento scientifico non risiedono in astratte e improbabili procedure di falsificazione, quanto in dinamiche interne alla comunità scientifica. Come vedremo, l'opera di Kuhn ha dato nuovo impulso alla sociologia della s., anche se lo stesso Kuhn si è mostrato critico verso alcune riformulazioni delle sue tesi, soprattutto da parte della scuola di sociologia della s. di Edimburgo (Barnes 1982; Wood 1990; Hodge e Cantor 1990, pp. 848-50).
Scienza e stato. - È interessante constatare come proprio nei decenni in cui molti protagonisti della storia della s. negavano l'esistenza di rapporti significativi tra imprese scientifiche e bisogni economici, ideologie o interessi industriali, la s. subiva mutamenti organizzativi di grande portata. Se la figura dello scienziato, nei libri di storia come nell'immaginario pubblico, restava legata allo stereotipo del solitario contemplatore delle verità della natura, negli anni della seconda guerra mondiale e nei decenni della guerra fredda diversi settori della ricerca allacciavano rapporti sempre più stretti col potere politico, la grande industria, gli apparati militari. Il progetto Manhattan, che portò alla costruzione della bomba atomica, il tentativo di T.D. Lysenko di dominare le scienze biologiche in Unione Sovietica presentando una versione del lamarckismo come sicuro supporto del materialismo dialettico, la corsa agli armamenti e alla conquista dello spazio, la crescita degli investimenti in ricerca nei paesi più sviluppati, sino a raggiungere percentuali rilevanti dei prodotti nazionali, e il conseguente aumento vertiginoso degli addetti alla ricerca, segnavano agli occhi di molti la fine di una storia della s. chiusa nei consolanti recinti dell'analisi concettuale. Il rimprovero rivolto da Butterfield agli storici, di trascurare il ruolo della s. nella costruzione della società moderna occidentale, si rivelava quanto mai fondato. A partire dalla fine degli anni Cinquanta, una serie di studi, in prevalenza angloamericani, cercava di chiarire i rapporti tra s. e apparati statali nel corso della seconda guerra mondiale, e lo sviluppo della big science nel periodo postbellico (Gilpin 1962; Gowing 1964; Greenberg 1967; Jungk 1956; Kramish 1959; Scheinmann 1965; Zuckermann 1966). Alcuni storici si volsero a studiare lo sviluppo dei rapporti tra s., industria e stato a partire dal 19° secolo. Cardwell (1957) esaminava l'organizzazione della s. nell'Inghilterra vittoriana, mentre Dupree (1957) ricostruiva la storia non lineare dei rapporti tra scienziati e governo federale negli Stati Uniti. De Solla Price proponeva di fondare una nuova disciplina, la ''scienza della scienza'', per rendere conto delle trasformazioni della big science (1963). C.P. Snow, noto per aver lanciato un allarmato avvertimento sul separarsi delle ''due culture'', quella scientifica e quella umanistica, aveva sollevato importanti domande sulle conseguenze per la s. della committenza statale (1961). Lo studio dei rapporti tra s. e stato costituisce oggi un settore di studi in grande sviluppo, che spazia dalle ricerche sul ruolo dello scienziato quale consigliere governativo (Zuckermann 1980; Golden 1980; Trenn 1983; Heilbron 1988), all'analisi delle politiche professionali di alcuni ambiti disciplinari particolarmente dipendenti da grandi stanziamenti statali o addirittura sovranazionali (Kevles 1978; Hermann e altri 1987-90; Gowing 1990; Krige 1995; Krige e Pestre 1995). Di notevole importanza è anche lo studio di C.C. Gillispie sull'organizzazione delle scienze nell'ancien régime francese (1980).
Nuove proposte e nuove discipline. - Storia e sociologia della scienza. La tradizione di studi inaugurata da Merton ha conosciuto due diversi sviluppi a partire dagli anni Settanta, soprattutto nella storiografia anglosassone e, recentemente, francese (Bowker e Latour 1987; Freudenthal 1990). Da un lato si è avuta una ricca produzione di lavori volti a ricostruire, più che la storia di singole teorie, la composizione e le dinamiche interne a gruppi consistenti di scienziati attivi in un determinato periodo storico. Così, per es., C. Webster (1975) ha descritto in dettaglio le varie correnti di pensiero teologico, sociale e scientifico puritano e anglicano che nei decenni della rivoluzione puritana hanno dato vita a una considerevole espansione delle attività scientifiche; J. Morrell e A. Thackray (1980) hanno esaminato le strategie culturali e sociali messe in atto dai ''gentiluomini della scienza'' che fondarono nel 1831 la British Association for the Advancement of Science; M. Rudwick (1985) ha posto in relazione le complesse interazioni sociali e professionali che caratterizzarono il dibattito sul sistema devoniano nei circoli geologici inglesi di metà Ottocento. Sono anche emerse direzioni di ricerca volte a sottolineare i rapporti tra scienziati e patroni alle origini della s. moderna, che tendono in alcuni casi a porre in secondo piano la valutazione dei contenuti delle ricerche offerte al principe o al committente.
Dall'altro lato, sviluppi interni al pensiero sociologico, la formulazione di programmi alternativi di ricerca in sociologia della s. e in sociologia della conoscenza (Jordanova 1990), la ripresa all'interno dei science studies di tematiche mutuate dal pensiero economico, dalla critica heideggeriana alle nefaste usurpazioni della tecnologia e della s. moderna (Latour 1991), dalle teorie antropologiche di autori quali M. Douglas (1969, 1970) o C. Geertz (1970; v. anche MacDonald 1990), e la riscoperta delle analisi sulla ''costruzione'' del fatto scientifico da parte di L. Fleck (1935; Cohen e Schnelle 1986 e Biagioli 1991), hanno generato un settore di studi che, al pari della storia della s. tradizionale, è percorso da una grande varietà di proposte metodologiche per una nuova storia della s., anche se manca ancora un'altrettanto rigogliosa produzione storiografica (Jordanova 1990; Barnes 1990; Pinch 1990; Sismondo 1993). Fatte alcune eccezioni, e di grande rilievo (Ben-David 1971 e 1991: v. Mann 1993 e Schott 1993; Shapin e Schaffer 1985; Rudwick 1985), uno spoglio sistematico delle recensioni incluse nella rivista Science Studies (fondata nel 1971, e ribattezzata nel 1975 Social Studies of Science) offre l'impressione del prevalere, all'interno della sociologia della s., del dibattito teorico (accompagnato dal proliferare di nuovi termini tecnici) rispetto alla produzione storica.
L'enorme impatto dei diversi approcci sociologici alla storia della s. a partire dagli anni Settanta ha accompagnato il sorgere di forti preoccupazioni etiche e politiche nei confronti della capacità della s. moderna di modificare (o distruggere) la natura e la stessa specie umana (Jordanova 1990, p. 486). Dal punto di vista della storia della s., occorre sottolineare alcuni aspetti positivi del contributo della sociologia della s. e della conoscenza alla già impegnativa lista di indicazioni metodologiche che lo storico della s. deve tenere presente nel suo lavoro. Il presupposto comune a molti orientamenti della sociologia della s., secondo cui le pratiche e le conoscenze scientifiche si costruiscono tramite complesse negoziazioni tra ricercatori appartenenti alla stessa o a diverse tradizioni disciplinari, ha stimolato analisi di un certo interesse sulla vita di laboratorio (Latour e Woolgar 1979; Collins e Pinch 1982; Latour 1983; Knorr-Cetina 1981; Knorr-Cetina e Mulkay 1983; Lynch 1985; Pinch 1986; per le prospettive di etnometodologia, si veda Pinch 1990).
''Gender studies'' e storia della scienza. A partire dagli anni Settanta, la questione femminile ha assunto un ruolo di grande rilievo nel dibattito politico e culturale. Negli Stati Uniti, il paese in cui la discussione è stata più accesa, si è assistito alla creazione di centinaia di dipartimenti universitari di women studies, al fiorire di riviste specializzate (Gender and History, Genders, Journal of Gender Studies, Gender and Society) e alla crescita d'interesse per una ricostruzione ''al femminile'' della storia della scienza. Per ovvie ragioni di economia, è opportuno suddividere la ricca letteratura sull'argomento in due sezioni principali: gli studi volti a rivendicare i meriti di donne-scienziate nello sviluppo della s. moderna, contro una storiografia accusata di uomo-centrismo; e gli studi che mettono in evidenza il ruolo di immagini sessiste della natura nella costituzione di elementi concettuali fondamentali della scienza.
Per quel che concerne il primo tipo di ricerche, M. Alic (1986) si è soffermata ad analizzare il contributo femminile allo sviluppo di s. quali la botanica, la storia naturale e le s. sperimentali. M. Rossiter (1982), una delle migliori storiche del rapporto donna-s., ha esaminato il faticoso e contrastato aprirsi di prospettive di carriera per le donne nella s. americana, che rimane tuttavia, a suo giudizio, fortemente dominata da figure maschili (v. anche Abir-Am e Outram 1987; Schiebinger 1989; Kass-Simon e Farnes 1990; Benjamin 1990). Di particolare interesse sono alcuni studi recenti che illuminano aspetti della concezione della femminilità o dei rapporti tra professionisti uomini e donne nelle dottrine e nella pratica medica (Ehrenreich e English 1979; Showalter 1987; Jordanova 1989; Moscucci 1990). Tra i maggiori rappresentanti del secondo orientamento, va citata C. Merchant (1979), che ha visto nella filosofia naturale meccanicistica, a suo avviso dominante nel 17° secolo, l'imposizione di una visione maschilista della natura (Fox-Keller 1985). E. Fox-Keller (1983) ha ricondotto gli innovativi studi di genetica vegetale del premio Nobel B. McClintock a una particolare forma d'intuizione che i colleghi (maschi) trovavano metodologicamente dubbia (per una critica delle tesi della Fox-Keller, v. Richards e Schuster 1989). L. Jordanova ha proposto un acuto bilancio critico della produzione storiografica e delle premesse metodologiche degli studi femministi di storia della s. (1993; v. anche Tomaselli 1991).
Linguaggio e testi della scienza. Un settore in rapida espansione nella storia della s. degli ultimi anni si concentra da diverse prospettive sul testo scientifico, sia a livello di studi di retorica e di stile, sia delle modalità di diffusione e recezione dell'opera scientifica. L'attenzione si volge non tanto alle teorie o ai contenuti tecnici del lavoro scientifico, quanto alle strategie espositive che riflettono l'intento dell'autore di convincere colleghi, mecenati o il pubblico colto della legittimità e autorevolezza delle proprie proposte. Due raccolte di saggi, The politics and rhetoric of scientific method, a cura di J.A. Schuster e R.R. Yeo (1986) e Persuading science. The art of scientific rhetoric, a cura di M. Pera e W.R. Shea (1991), raccolgono contributi di filosofi e storici della s. volti a illustrare le strategie retoriche impiegate da autori quali G. Galilei e I. Newton, N. Bohr o M. Planck. J.V. Golinski (1990) ha esaminato le complesse matrici filosofiche e sociologiche del recente interesse per il linguaggio della s. tra sociologici della s., della conoscenza ed etnometodologi. Anche gli storici del libro e della lettura stanno aprendo fronti di ricerca sulla storia del testo scientifico nelle sue varie forme (libri, articoli, recensioni, éloges). R. Chartier ha lanciato presso l'Ecole des hautes études di Parigi un ambizioso progetto di storia dei testi scientifici, intesa come studio delle forme di organizzazione del linguaggio e delle pratiche scientifiche, in relazione ad altri aspetti della produzione e diffusione del sapere.
Storia della scienza in Italia. - La storia della s. in Italia ha seguito in parte le vicende istituzionali e metodologiche della disciplina a livello europeo, caratterizzandosi tuttavia per marcate peculiarità nazionali. Le difficoltà nel processo di modernizzazione dello stato e della società italiana a partire dall'unità hanno segnato lo sviluppo incerto della s. nel nostro paese, e di conseguenza del dibattito sul ruolo delle s. nella cultura contemporanea. La crescita di un marcato interesse per la storia della s. nella seconda metà del 19° secolo presso un numero ristretto di scienziati storici della propria disciplina rifletteva in certo modo gli sforzi compiuti dall'amministrazione statale post-unitaria per rinverdire le glorie scientifiche di un passato non troppo distante. Scienziati di fama internazionale furono chiamati a ricoprire cattedre in Italia − si pensi per es. a J. Moleschott o ai fratelli M. e U. Schiff, o al tentativo da parte dell'università di Pisa di acquisire i servigi di L. Pasteur. Sotto l'impulso di Q. Sella, la rinata Accademia dei Lincei ambiva a divenire organismo di promozione della ricerca al pari delle più prestigiose ed efficaci consorelle francesi o inglesi.
In questo clima di speranze e progetti, non mancarono contributi di rilievo alla storia della s., anche se sporadici e dovuti spesso all'iniziativa personale. Dal 1868 al 1887 il principe B. Boncompagni Ludovisi pubblicava il Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche (Cappelletti 1969). G. Schiaparelli redigeva i propri Studi sulla storia dell'astronomia antica (pubblicati postumi tra il 1925 e il 1927), R. Caverni pubblicava la Storia del metodo sperimentale in Italia (1891-1900; Maffioli 1985), A. Favaro preparava la fondamentale edizione delle opere e dei documenti galileiani (1890-1909; Carli e Favaro 1896; Gabrieli 1925), G.B. De Toni intraprendeva ricerche originali su Leonardo (Sabbatani 1924), I. Guareschi scriveva di storia della chimica nei supplementi annuali dell'Enciclopedia di chimica della UTET (Abbri 1990), M. Cermenati si occupava di storia della geologia (1891-93). A livello istituzionale, gli inizi del 20° secolo salutavano la nascita della Commissione Nazionale Vinciana (1905; Galluzzi 1987), della Società italiana per il progresso delle scienze (1907), che nel congresso di Genova del 1912 si dotava di una sezione dedicata alla storia della s., e della Società italiana di storia critica delle scienze mediche e naturali (1907). Agli scienziati-storici si affiancavano gli scienziati-filosofi: uscivano nel 1911 gli scritti di G. Vailati; F. Enriques pubblicava nel 1907 I problemi della scienza, seguiti nel 1912 da Scienza e razionalismo. Nel 1903 il matematico G. Loria proponeva l'inserimento della storia della s. nel curricolo universitario, riprendendo un'analoga proposta di P. Tannery. Loria dirigeva (e finanziava) un Bollettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche (Bucciantini 1986).
Una persistente tradizione storiografica ha individuato nello scontro tra F. Enriques (fondatore della Società Filosofica Italiana) da un lato, e B. Croce e G. Gentile dall'altro, una battuta d'arresto nello sviluppo di una cultura scientifica moderna nel nostro paese, e dunque di studi di filosofia e di storia della s. all'altezza di quanto avveniva in altri paesi. È stato giustamente osservato che il predominio dell'idealismo va forse considerato più come un sintomo, che come una causa, della scarsa presenza del problema ''scienza'' nella società e nella cultura nazionale (Torrini 1988). Inoltre, le posizioni di alfieri quali Enriques di un riorientamento della ricerca filosofica sulle tematiche scientifiche apparivano arretrate rispetto ad analoghe proposte in ambito francese, tedesco o inglese (Rossi 1982). Studi recenti sugli ambiziosi progetti istituzionali e culturali di figure quali A. Mieli, A. Corsini e lo stesso Enriques o sui lavori di preparazione dell'esposizione universale che doveva tenersi a Roma nel 1942, rivelano il complesso dipanarsi di vicende fortemente condizionate dalle politiche culturali e scientifiche del regime fascista.
L'interesse di Mieli per la storia della s. risaliva a prima della grande guerra, quando, giovane laureato in chimica, seguì i corsi di W. Ostwald a Lipsia (1904-05) e venne fortemente influenzato dalla lettura dell'opera di E. Mach. Trasferitosi a Roma quale assistente di S. Cannizzaro, a partire dal 1912 si dedicò alla storia della s., facendosi promotore di una serie notevole di imprese editoriali e di propaganda a favore della disciplina. Collaboratore di Scientia, della Rivista critica, corrispondente per l'Italia della bibliografia di storia della s. che Sarton pubblicava su Isis, assieme a E. Troilo progettò una collana di classici della s. e della filosofia (1916), pubblicò il primo (e unico) volume della sua Storia generale del pensiero scientifico, caldeggiando l'istituzione di una cattedra di storia della s. a Roma (1916) e dando vita alla collana bibliografica "Gli scienziati italiani" (1919), il cui primo (e, ancora una volta, unico) volume vide la luce nel 1921. Maggiore fortuna ebbe la rivista da lui fondata nel 1919, l'Archivio di storia della scienza, ribattezzata Archeion nel 1927 (Mieli 1950; Babini 1979; Pogliano 1983; Abbri 1990). Le speranze di Mieli di veder fiorire in Italia una storia della s. in grado di competere con gli studi avviati in altri paesi, trovarono fondamento nella riforma scolastica promulgata nel 1923 da Gentile, che prevedeva l'insegnamento di elementi di storia della s. nei licei scientifici, e nelle dichiarate intenzione del nuovo regime di voler esaltare le grandi tradizioni culturali del genio italico. Nel 1923, dalle pagine dell'Archivio, Mieli salutava la costituzione a Firenze, a opera di Corsini e del fisico ed esponente della gerarchia fascista A. Garbasso, di un Gruppo per la tutela del patrimonio scientifico nazionale, e la nascita a Roma dell'Istituto nazionale per la storia delle scienze fisiche e matematiche, organizzato da Enriques e da O.M. Corbino. Mieli invitava i due organismi e l'Istituto storico italiano dell'arte sanitaria (fondato nel 1922 a Roma, e collegato al Museo storico dell'arte sanitaria, istituito nel 1920) a riunirsi in una federazione per esercitare una pressione unitaria sulle autorità governative (Mieli 1923). Tuttavia, ragioni di opportunità politica e istituzionale volsero Mieli a privilegiare l'alleanza con Enriques e l'università di Roma. Se infatti G. Gentile non aveva gradito le pretese di Enriques di dettar legge ai filosofi nel congresso di filosofia del 1911, non era tuttavia contrario ad appoggiare le iniziative dello stesso Enriques volte a stabilire a Roma un centro nazionale per lo studio della storia della scienza. Il 2 maggio 1924 veniva costituita a Napoli la Federazione nazionale delle società ed istituti di storia della scienza, cui aderì lo stesso Gentile, e scienziati quali G. Peano, R. Almagià e A. Garbasso. Fu ben presto chiaro che Enriques, con l'appoggio di Mieli e di Gentile, mirava a fare di Roma e del suo istituto il centro guida per la storia della s. in Italia, suscitando l'apprensione e la diffidenza del gruppo fiorentino. Nel volgere di due-tre anni, nuovi orientamenti di politica economica e industriale all'interno del governo posero in ombra i programmi storico-filosofici di Enriques e Gentile. "Formare una cultura e una coscienza industriale nel popolo italiano" divenne la priorità del regime, e i finanziamenti presero la strada del Consiglio Nazionale delle Ricerche riorganizzato da G. Marconi, mentre si vagheggiava l'istituzione in Italia di uno o più Musei della scienza e della tecnica sul modello del Deutsche Museum di Monaco di Baviera o del Kensington Museum di Londra (Baroncelli e Bucciantini 1990, pp. 30-31).
I dissapori emersi tra il 1923 e il 1927 tra i diversi gruppi operanti nel settore della storia della s., la nuova enfasi sulla cultura scientifico-industriale da parte del regime, e la disillusione per l'inefficacia operativa dimostrata da Enriques ("La Scuola di Roma, nelle mani di Enriques, è cosa non solo magra, ma diretta da persona inadatta allo scopo", in Baroncelli e Bucciantini 1990, p. 31), convinsero Mieli che la sua battaglia era persa. Si trasferì nel 1928 a Parigi, presso il Centre de Synthèse, portando seco la propria biblioteca e la redazione di Archeion. Al Congresso di scienze storiche di Oslo, sempre nel 1928, Mieli fu promotore della costituzione di un Comitato internazionale di storia delle scienze, che decise di tenere a Parigi, l'anno successivo, il primo congresso internazionale della disciplina. Il Comitato diede vita all'Académie internationale d'histoire des sciences, di cui Mieli divenne segretario perpetuo. Nel 1939 la minaccia del nazismo costrinse Mieli a emigrare in Argentina, dove morì nel 1950. Nel 1946, grazie al contributo dell'UNESCO, l'Académie riprese la propria attività; nel 1947 veniva costituita l'International union of the history of science, e Archeion riprendeva le pubblicazioni col titolo di Archives internationales d'histoire des sciences (Abbri 1990).
Le vicende degli anni 1923-28 influenzarono anche i progetti fiorentini. Corsini e soprattutto Garbasso non nascondevano l'ambizione di fare dei cimeli galileiani e della collezione degli strumenti matematici lorenesi il nucleo di un grande museo di storia della s. di livello nazionale. Le preoccupazioni per le analoghe tentazioni egemoniche del gruppo romano spinsero Corsini ad annunciare nel 1925 la fondazione dell'Istituto di storia delle scienze di Firenze, di fatto una stanza concessa dall'università in via degli Alfani che ospitava una biblioteca di un centinaio di volumi, come Mieli non mancava di far rilevare in una nota dell'Archivio (Mieli 1925; Galluzzi 1991). Per imporsi all'attenzione nazionale, Corsini, Garbasso e G. Abetti progettarono una grande esposizione nazionale di strumenti e cimeli scientifici, che presentarono adottando la retorica della celebrazione del genio italico, perfettamente in sintonia con le nuove direttive concernenti la cultura scientifico-industriale. La mostra, inaugurata dal re l'8 maggio 1929, fu un notevole successo, sull'onda del quale l'Istituto ottenne in concessione alcuni locali di Palazzo Castellani (sede attuale del Museo) per ospitare le collezioni e i tanti reperti rimasti in affidamento dopo la chiusura dell'esposizione. L'inaugurazione del Museo nazionale di storia della scienza avvenne il 18 maggio 1930, alla presenza di Mussolini, che aveva già esaltato "l'impresa nuova e stupenda" della mostra fiorentina. Si trattò tuttavia di un successo destinato a raccogliere i suoi frutti solo nel dopoguerra. Il catalogo della mostra, notevolmente ridimensionato rispetto ai progetti iniziali, comparve solo nel 1952. Corsini e Garbasso si trovarono ben presto a fronteggiare altre insidie. Nel 1933 l'ingegnere milanese G. Uccelli annunciava l'intenzione di dar vita a un Museo nazionale della scienza e della tecnica (sarà effettivamente inaugurato nel 1953). Anche il progetto milanese, sia nell'epoca fascista, sia nel dopoguerra, mirava a presentarsi come l'unico centro italiano di studio e divulgazione della tradizione scientifica e tecnica, e non mancarono i tentativi per convincere le autorità centrali a trasferire a Milano le collezioni fiorentine, suscitando la ferma reazione di Corsini (Baroncelli e Bucciantini 1990).
Il regime si mostrò più interessato all'esaltazione del genio scientifico italico tramite celebrazioni di grandi scienziati italiani o del centenario della prima riunione degli scienziati italiani, tenutasi a Pisa nel 1839. Non si lesinarono mezzi per pubblicare nel 1939, a cura della Società italiana per il progresso delle scienze, 7 volumi su Un secolo di progresso scientifico italiano, in cui le virtù risorgimentali trovavano piena espressione nel riscatto dell'italianità operato dal regime fascista. Di stampo nettamente propagandistico era anche l'impostazione della ''Olimpiade della civiltà'', la progettata Esposizione Universale del 1942, in cui largo spazio era dato all'esaltazione del genio scientifico italico (Galluzzi 1987). Non mancarono tuttavia iniziative di ben altro spessore e serietà. Grazie all'interessamento di Gentile, che ne assunse la presidenza, la Commissione nazionale vinciana uscì da due decenni di torpore per avviare l'edizione anastatica e la trascrizione di alcuni importanti manoscritti di Leonardo. Dal 1929 al 1939 venne ristampata l'edizione nazionale delle opere di Galileo curata dal Favaro, e, in occasione del terzo centenario della morte di Galileo, Gentile fondava a Pisa la Domus Galilaeana (1942), di cui assunse la presidenza (Tricarico 1975). Non tutta la produzione italiana di storia e filosofia della s. del periodo fascista rispondeva alle esigenze propagandistiche o accettava la retorica del regime. A. Banfi pubblicava nel 1930 il suo Galileo Galilei e L. Geymonat introduceva le tematiche del neopositivismo con Il problema della conoscenza nel positivismo (1931). G.D. De Santillana cominciava la propria attività di storico negli anni Venti, per emigrare poi negli Stati Uniti; S. Timpanaro scriveva di Leonardo e Galilei da una prospettiva idealistica (1952); M. Timpanaro Cardini (Derenzini 1980) esplorava le origini della s. classica, e V. Ronchi scriveva di storia dell'ottica.
La fine della guerra e del regime fascista offriva un panorama non esaltante per la storia della s. italiana. Le istituzioni avviate negli anni Venti e Trenta sopravvivevano a stento, anche se seppero superare gli antichi dissapori dando vita a iniziative comuni. Nel 1948 il Gruppo italiano di storia della scienza aderì all'International union for the history of science, e nel 1959 l'Istituto e Museo di Storia della scienza di Firenze (diretto da M.L. Righini Bonelli, insignita nel 1976 della Sarton Medal della Società americana di storia della scienza), la Domus Galilaeana (presidente G. Polvani) e il Museo nazionale della Scienza e della Tecnica di Milano (diretto da G. Uccelli) fondarono Physis, una rivista che riprendeva esplicitamente il programma dell'Archeion di Mieli. Il Comitato italiano della International union, presieduto inizialmente da Almagià, poi da Ronchi, e che si valeva dell'infaticabile opera di Righini Bonelli, seppe riallacciare i contatti con esponenti di rilievo della disciplina fuori d'Italia, organizzò l'ottavo Congresso internazionale di storia della scienza (1956) e una serie di convegni di alto livello (Abbri 1990; Galluzzi 1991).
Lo sviluppo della disciplina nel dopoguerra fu caratterizzato da due elementi fondamentali. È da registrare da un lato un vivace dibattito sulla metodologia da seguirsi nella ricostruzione della scienza del passato, in cui si contrapponevano coloro (L. Geymonat, G. Preti, E. Agazzi) che insistevano sul rapporto privilegiato con la filosofia della s. (Torrini 1988), e chi richiamava invece i colleghi al compito di dedicare maggiori energie alla ricostruzione di specifici eventi storici, per sondarne la complessità in termini storicamente adeguati (Rossi 1975). Dall'altro, va sottolineato l'importante contributo della storia della filosofia alla crescita della disciplina, una storia della filosofia, occorre precisare, che si confrontava con correnti di pensiero filosofico europeo (marxismo, fenomenologia, neopositivismo) e si apriva alla considerazione critica del ruolo delle concezioni scientifiche nel dibattito filosofico del passato. Sono da ricordare i fondamentali contributi di E. Garin allo studio del rapporto tra umanesimo e nuova scienza, che rovesciava tenaci preconcetti di stampo positivistico, e i lavori di P. Rossi (Sarton Medal per il 1985), N. Badaloni (1960), P. Casini (1969), T. Gregory (1961, 1964), G. Solinas (1967). Se scarsi furono i contatti con le discipline storiche, a eccezione del contributo di L. Bulferetti su tecnologia e società, i rapporti istituzionali e professionali tra storia della s. e storia della filosofia costituiscono una caratteristica peculiare della disciplina in Italia. Proprio dalla storia della filosofia provenivano molti vincitori del primo concorso a cattedra di storia della s. conclusosi nel 1979 (E. Bellone, V. Cappelletti, P. Galluzzi, C. Maccagni, G. Tabarroni, M. Torrini).
L'affermarsi della storia della s. come disciplina autonoma fu anche favorito da un'intensa attività editoriale, sia a livello di traduzione dei grandi classici della disciplina (molte opere sopra citate hanno avuto un'edizione italiana; v. anche Torrini 1988), sia delle pubblicazioni di opere collettive, spesso orientate da forti opzioni metodologiche. Usciva nel 1970, sotto la direzione di Geymonat, una Storia del pensiero filosofico e scientifico; nel 1980 G. Micheli curava per gli Annali della Storia d'Italia Einaudi un volume su Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal Rinascimento ad oggi che ha suscitato notevoli dibattiti; seguivano poi i volumi curati da E. Agazzi (1984), da P. Rossi (1988), da C. Maccagni e P. Freguglia (1989), da P. Galluzzi (1991). Sono attive in Italia diverse riviste di storia della s., di cui alcune a circolazione internazionale. Oltre alla citata Physis, nel 1976 Righini Bonelli inaugurava la fortunata serie degli Annali dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza, ribattezzata Nuncius nel 1986. Le Archives internationales d'histoire des sciences sono edite a Roma dall'Istituto della Enciclopedia Italiana, mentre la Stazione zoologica di Napoli cura l'edizione della History and Philosophy of the Life Sciences; l'Unione matematica italiana pubblica il Bollettino di storia delle scienze matematiche; saltuaria è la pubblicazione della Rivista di storia della scienza, a cura del Seminario di storia della s. della facoltà di Scienze dell'università La Sapienza di Roma.
Dal dopoguerra ai giorni nostri, il dibattito interno alla storia della s. in Italia ha seguito, spesso con ritardo, le vicende della disciplina a livello internazionale. Si è già accennato alle discussioni tra studiosi che privilegiavano un approccio filosofico-epistemologico, e quelli che sottolineavano la centralità della parola ''storia'' nell'effettivo cimentarsi con la s. del passato. Una forte proposta d'interpretazione della storia della scienza moderna in termini marxistici fu avanzata da L'ape e l'architetto. Paradigmi scientifici e materialismo storico, uscito nel 1976 con una prefazione di M. Cini, cui non ha fatto tuttavia seguito un'adeguata produzione di studi sistematici volti a provare nel concreto della ricerca storica gli assunti metodologici privilegiati. Anche se il prevalere dell'approccio storico-filosofico ha determinato una certa cautela nei confronti delle proposte metodologiche avanzate da diverse componenti della storiografia internazionale della s., va tuttavia osservato che sembrano prevalere nella recente produzione italiana una sorta di eclettismo metodologico e una pronunciata predilezione per accurati lavori di ricerca archivistica sia sulla s. nazionale sia su vicende dello sviluppo della s. moderna in senso lato. Da segnalare il ritorno allo studio della s. italiana, un settore in cui molto resta da fare, anche solo a livello di una catalogazione e tutela di ingenti patrimoni di manoscritti, corrispondenze, collezioni di strumenti e archivi istituzionali che corrono gravi rischi di dispersione se non di distruzione.
A partire dagli anni Ottanta, la disciplina ha notevolmente rafforzato i propri ranghi (sono ormai diverse decine i docenti e i ricercatori universitari che si dedicano alla storia della s., e sono attivi due corsi di dottorato di ricerca). Nel 1983 è stata costituita la Società italiana di storia della scienza, presieduta da P. Rossi, e dal 1993 da C. Maccagni, con lo scopo di raccogliere studiosi che operano in diversi gruppi disciplinari (storici della matematica, della fisica, della chimica, delle s. biologiche, della medicina e della tecnologia). Sarebbe difficile render conto, se pur sommariamente, della notevole produzione italiana in storia della s., per cui si rinvia alla Bibliografia italiana di storia della scienza, che registra annualmente, a partire dal 1982, diverse centinaia di titoli. La collana della Bibliografia (disponibile anche su rete INTERNET) curata dall'Istituto e Museo di Storia della scienza di Firenze, oltre a testimoniare della vivacità della disciplina, sta anche a indicare la sua notevole crescita istituzionale.
La Domus Galilaeana di Pisa, presieduta dal 1970 da V. Cappelletti, ha dato vita a diverse iniziative per promuovere la formazione di nuove leve di storici della scienza, cura la pubblicazione dei Quaderni di storia e critica della scienza e ha avviato nel 1983 una Scuola superiore di storia della scienza. Cappelletti è anche direttore della International school of the history of science presso il centro E. Majorana di Erice (Trapani). G. Pancaldi, docente presso l'università di Bologna, ha avviato, insieme alle università di Uppsala e di California, e recentemente alla Cité des sciences et de l'industrie di Parigi, una Scuola internazionale di storia della scienza che si riunisce ogni due anni.
L'istituzione che nel corso degli ultimi anni ha conosciuto il maggiore sviluppo è senza dubbio l'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze (IMSS). Diretto da P. Galluzzi dal 1981, anno della scomparsa di Righini Bonelli, l'IMSS ha reso concreti molti progetti auspicati da Mieli o da Corsini. Va innanzitutto notata la continuità d'impostazione con le priorità di documentazione e preservazione del patrimonio strumentario e librario indicate da Corsini. Il Museo, notevolmente ampliato e riorganizzato tematicamente, sta completando la catalogazione delle sue collezioni e ha avviato l'applicazione di tecniche informatiche alla museografia (Miniati 1991). Ha organizzato diverse mostre storico-scientifiche, alcune delle quali sono state ospitate in prestigiose sedi museali europee e degli Stati Uniti. La biblioteca dell'Istituto, oggi una delle più importanti a livello internazionale, ha raccolto fondi librari d'interesse storico di diverse istituzioni e di privati. Notevole è anche la produzione di monografie e di edizioni di carteggi raccolti nelle collane "Biblioteca di Nuncius. Studi e Testi" (IMSS 1989-) e "Archivio della corrispondenza degli scienziati italiani" (IMSS 1985-). Nel 1994 è stata inaugurata una "Biblioteca della scienza italiana", di cui sono usciti i primi sei volumi, dedicati all'edizione dei quaderni di lavoro di L. Spallanzani (I giornali delle sperienze e osservazioni). La collana prevede l'uscita di diversi volumi ogni anno. L'IMSS ha esercitato un ruolo attivo nell'organizzazione delle Settimane della cultura scientifica, inaugurate nel 1991 per iniziativa dell'allora ministro dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica A. Ruberti, e ha promosso iniziative di ampio respiro per la tutela del patrimonio scientifico nazionale. Di particolare rilievo è anche l'impulso dato alla crescita dello studio degli strumenti scientifici sia in Italia sia a livello internazionale.
È da registrare infine, a livello nazionale, una crescita significativa dell'interesse per la storia della tecnologia, un ambito di ricerca tradizionalmente trascurato (Rossi e Nacci 1993; Marchis 1994).
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