SCHIAVO di Bari
SCHIAVO di Bari. – Vissuto nel secolo XIII, la sua esistenza è certificata da testimonianze plurime, ma nulla si sa della sua famiglia.
Al suo nome si lega il racconto di Novellino X, dove Schiavo viene chiamato a comporre, con «bella sentenza», la controversia tra «uno borghese» e «uno pellegrino». Nel libro IX della sua Rhetorica novissima (II, 21, anno 1235) Buoncompagno da Signa ricorda uno «Sclavo quidem Barensis» come «ingeniosus in idiomate materno transumptor» e ne menziona una «cantione» nella quale l’autore avrebbe paragonato a una nave un’amica salvata da un «postribulum» (Bertoni, 1939, p. 314). Anche Giacomino da Verona nelle sue Lodi della Vergine (secolo XIII) menziona come autore di «diti» uno «Sclavo da Bar» ricordato assieme a un altro giullare di nome Osmondo da Verona (Mussafia, 1864, p. 194). Si tratterà probabilmente dello stesso personaggio citato da Francesco da Barberino nel Reggimento e costumi di donna (I, VI, 23) dove pare alludere a un suo plazer perduto: «E però credo che disse lo Schiavo: “Piacemi in donna bellezza che dura”» (Bertoni, 1939, p. 314).
Una rilevante testimonianza documentaria riconducibile a Schiavo fu scoperta da Francesco Babudri nel 1936: si tratta di un’epigrafe murata all’esterno della Trulla, ossia dell’antico battistero, della cattedrale di Bari datata alla seconda metà del secolo XIII. Il testo, costituito da due esametri leonini, recita: «hec loca contigua leti in tempore leta / sunt tua silvester sclavo delapse poeta».
Una prima interpretazione intende «Sclavo» come nominativo e traduce «Questi luoghi sono tuoi o Silvestro Sclavo poeta (qui) sepolto» (Mastrorilli, 1939, p. 274). Più attendibile mi pare la seconda proposta che, in accordo con la documentazione di archivio coeva, legge «Sclavo» come un ablativo e intende «Questi luoghi sono tuoi, o Silvestro, discendente del poeta Schiavo» (Babudri, 1943, p. 191). In un caso e nell’altro si avrebbe comunque parziale conferma di quanto già riportato nelle altre fonti.
A uno Schiavo di Bari viene esplicitamente attribuito il celebre serventese Al nome di Dio è buono incominciare, circolante con il titolo di Dottrina o Proverbi dello Schiavo di Bari o ancora come Ammaestramenti dati per Salomone, di cui si conosce anche una redazione in lingua latina opera di Iacopo da Benevento.
Il testo è un serventese caudato con strofe di tre endecasillabi chiusi da un quaternario. Si tratta della classica rassegna di precetti morali che elenca dettami di buona condotta, invitando a non recare offesa, evitare le liti, il gioco d’azzardo, le cattive compagnie. Si raccomanda la moderazione nel parlare e nel vestire, la modestia quando si è invitati ai convivi, la condotta onesta nella «mercanzia». Tra le auctoritates si fa esplicitamente il nome di «Salamone», paradigmatica figura di saggio, da cui è stata tratta in qualche caso anche l’intitolazione alternativa.
Il più antico testimone del serventese è un memoriale bolognese del 1306 (Archivio di Stato di Bologna, Archivio notarile, quaderno 11 di inquisizioni), testimone parziale perché ne trasmette unicamente le prime due strofe (Pellegrini, 1890, p. 162; Rime due e trecentesche, 2005, p. 194), mentre il testo si offre altrove con estensione variabile dalle 58 alle 77 quartine (Zibaldone da Canal, 1967, p. XXV), e 77 sono quelle edite da Zambrini sulla base del manoscritto di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, XLIII, 27. In assenza di un’edizione critica basata su tutti i testimoni noti pare difficile effettuare rilievi linguistici decisivi; si può solo affermare che i manoscritti più antichi suggeriscono una collocazione geografica del testo nell’ambito della cultura veneta trecentesca. Se così fosse, dal momento che una quartina trova patente riscontro in alcuni versi della canzone Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro da Messina trasmessa unicamente dalle carte del filologo cinquecentesco Giovanni Maria Barbieri, si avrebbe un’ulteriore prova della circolazione della poesia siciliana in area veneta per vie esterne rispetto al trattato cinquecentesco del filologo modenese (Coluccia, 2014, p. 22).
Comunque stiano le cose le ricerche più recenti suggeriscono prudentemente di tenere distinti lo Schiavo poeta e giullare cui fanno riferimento le fonti citate e i cui testi non sono pervenuti, dal serventese che gli viene attribuito. Una conferma indiretta giungerebbe anche da un gliommero di Pietro Iacopo De Iennaro che, pur menzionando uno «schiavo de Bare», fa riferimento a un aneddoto che non trova alcun aggancio nel serventese (p. 22 nota 17).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Archivio notarile, quaderno 11 di inquisizioni; Bologna, Biblioteca dei reverendi canonici di San Salvatore, ms. 396; Biblioteca universitaria, mss. 158 e 2650; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. XLIII 27; New Haven Yale University Library, ms. 327; Padova, Biblioteca Antoniana, 227 scaffale XI.
F. Zambrini, Dottrina dello S. di Bari, secondo la lezione di tre testi antichi a penna, Bologna 1862; A. Mussafia, Monumenti antichi di dialetti italiani, in Sitzungsberichte der Kaiserliche Akademie der Wissenschaften, 1864, vol. 46, p. 194; V. Forcella, Catalogo dei manoscritti riguardanti la storia di Roma, che si conservano nelle biblioteche di Padova pubbliche e private, Verona 1885, p. 93; G. Ferraro, Questo sie lo Dito de savio Salomone, in Il Propugnatore, n.s., XIX (1886), pp. 263-270; G. Mazzoni, Un frammento del detto dello Schiavo da Bari, in Rivista critica della letteratura italiana, V (1888), coll. 125 s.; F. Pellegrini, Rime inedite dei secoli XIII e XIV tratte dai libri dell’Archivio notarile di Bologna, in Il Propugnatore, n.s., III (1890), pp. 52 s.; Id., recensione a C. Pini, Studio..., in Giornale storico della letteratura italiana, 1893, vol. 22, p. 401; C. Pini, Studio intorno al sirventese italiano, Lecco 1893, p. 44; L. Frati, Di alcuni testi di lingua appartenuti a Celso Cittadini, in Rivista delle Biblioteche, III (1900), pp. 158 s.; P. Rajna, Lo S. di Bari, in Biblioteca delle Scuole italiane, s. 3, X (1904), p. 6; E. Re, Lo S. di B. e la novella da lui intitolata nel Novellino, in Bullettino della Società filologica romana, n.s., 1912, vol. 3, pp. 2-15; N. Tammassia, Lo S. di B., in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1922-1923, vol. 82, p. 707; C.H. Haskins, Latin literature under Frederick II, in Speculum, III (1928), pp. 129-151; F. Babudri, Nota sul poeta duecentesco Sclavo di Bari, in Gazzetta del Mezzogiorno, XV (1936), p. 4; G. Bertoni, Il Duecento, Milano 1939, pp. 314, 334 s.; A. Mastrorilli, Lo S. di B., in Archivum Romanicum, 1939, vol. 23, pp. 272-277; G.P. Scardin, Le laude non jacoponiche dei manoscritti marciani, in La Bibliofilia, XLI (1939), p. 87; F. Babudri, Sul nome del rimatore trecentesco S. di Bari, in Japigia, XIII (1943), pp. 190-194; Id., La figura del rimatore barese Schiavo nell’ambiente sociale e letterario duecentesco di Puglia e d’Italia, Bari 1954; G. Folena, Rassegna bibliografica, in La rassegna della letteratura italiana, LIX (1955), pp. 104 s.; F. Babudri, Jacopo da Benevento e S. da Bari, in Archivio storico pugliese, 1958, vol. 11, pp. 88-107; Poeti del Duecento, II, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960, p. 812; V. Bigazzi, I «Proverbia» pseudoiacoponici, in Studi di filologia italiana, 1963, vol. 21, pp. 7 s.; E. Pasquini, Il codice di Filippo Scarlatti, ibid., 1964, vol. 22, pp. 385, 456 s.; Zibaldone da Canal, a cura di A. Stussi, Venezia 1967, pp. XXIV s., 101-108; M. Sansone, La Puglia letteraria, in Puglia, Milano 1968, p. 366; E. Pasquini, La letteratura didattica e allegorica, in La letteratura italiana. Storia e testi, I, 2, Il Duecento, Bari 1970, pp. 11-13; G. Parenti, Un gliommero di P.J. de Jennaro: «eo non agio figli né fittigli», in Studi di filologia italiana, 1978, vol. 36, pp. 351 s.; A. Stussi, Filologia veneta, in Scritti linguistici in onore di Giovan Battista Pellegrini, I, Pisa 1983, p. 346; M. dell’Aquila, Puglia, Brescia 1986, pp. 20, 73-75; C. Bologna, La letteratura dell’Italia settentrionale nel Duecento, in Letteratura italiana Einaudi. Storia e geografia, I, L’età medievale, Torino 1987, p. 184; F. Tateo - R. Girardi - P. Sisto, Cultura di scuola e di corte, in Storia di Bari. Dalla conquista normanna al ducato sforzesco, Bari 1990, pp. 526-530; Commedie latine del XII e XIII secolo, a cura di F. Bertini, Genova 1998, p. 431; Rime due e trecentesche tratte dall’Archivio di Stato di Bologna, a cura di S. Orlando, Bologna 2005, p. 194; M. Lecco, Il Serventese del Dio d’Amore e il suo contesto letterario e editoriale, in Cuadernos de filología italiana, XIV (2007), pp. 88-90; A. Pucci, Cantari della Reina d’Oriente, a cura di A. Motta - W. Robins, Bologna 2007, pp. XXXVI s.; L’Aventuroso ciciliano attribuito a Bosone da Gubbio: un “centone” di volgarizzamenti due-trecenteschi, a cura di C. Lorenzi, Pisa 2010, p. 118; R. Coluccia, L’edizione dei «Poeti della Scuola siciliana». Questioni vecchie e nuove, in Studi di filologia italiana (Gli Accademici per Rosanna Bettarini), 2014, vol. 72, pp. 11-36 (in partic. pp. 20-22).