SCHIATTA
– Famiglia mercantile lucchese, fiorita tra il XIII e il XV secolo, discendente da uno Schiatta di Dono vissuto nella prima metà del Duecento.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla storiografia, non hanno nulla a che fare con gli Schiatta discendenti da Schiatta di Dono, e costituiscono a tutti gli effetti un’altra casata, semplicemente omonima, i discendenti di un Nello Schiatta residente nel 1337 nella località suburbana di Carignano e successivamente inurbatosi: Betto e Gaspare. Del resto, Schiatta era un nome proprio piuttosto diffuso a Lucca nel XIII e XIV secolo, e va anzi aggiunto che furono attivi nella città toscana altri personaggi ancora, anche di discreto rilievo economico e sociale, indicati con il patronimico Schiacte, ‘di Schiatta’, che non sono tuttavia riconducibili a nessuna delle due famiglie principali.
Schiatta di Dono ebbe tre figli, Disfacciato, Orlando e Rabbito, e l’ascesa economica e sociale della famiglia fu legata in particolare alle attività commerciali di Disfacciato e dei figli di Orlando (Ubaldo, detto anche Ubalduccio o Balduccio, e Gherardo, detto anche Gadduccio). Essi risultano attivi all’interno di una compagnia attestata dagli anni Settanta del XIII secolo con la ragione sociale «apotheca filiorum Schiacti».
Pur avendo indubbiamente una base famigliare, la società comprendeva anche mercanti estranei, come Puccio Ronzini, appartenente a una famiglia nobile lucchese, socio e agente a Genova, e Scorcialupo Iacobi.
La società doveva essere una delle più dinamiche del panorama cittadino, poiché risulta attiva non solo a Genova e alle fiere della Champagne, i poli principali del commercio lucchese, ma anche ad Acri, in Terrasanta. A Genova i lucchesi si procuravano la seta greggia per la produzione dei tessuti per i quali erano celebri in Europa; uscito dalle botteghe cittadine, il prodotto finito veniva commercializzato Oltralpe (nella seconda metà del Duecento principalmente attraverso le fiere della Champagne). Anche gli Schiatta si occupavano della vendita e forse anche della produzione dei tessuti di seta, ma trattavano anche panni francesi e delle Fiandre, acquistati alle fiere.
Nei primi anni del Trecento, forse a causa di dissensi interni – confermati del resto dal contenzioso riguardante l’eredità di Disfacciato, risolto solo nel 1315 con un complesso lodo arbitrale – gli Schiatta appaiono invece divisi tra due diverse compagnie commerciali.
La più attestata nelle fonti lucchesi era guidata da Gherardo di Orlando Schiatta, e comprendeva i figli Bartolomeo e Simuccio, i nipoti Lando (Orlando) e Coluccio, figli del fratello Ubaldo, e un altro Coluccio figlio di Schiattuccio di Disfacciato. L’altra compagnia era composta dai tre figli di Rabbito di Schiatta di Dono, Bito (Rabbito), Ciato (Disfacciato) e Dino, e dai loro nipoti, ovvero i cinque figli superstiti del prolifico Disfacciato di Schiatta di Dono, dominus Vanni miles, Bito, Gadduccio, Valleriano e Guccio (il sesto fratello, Schiattuccio, era già defunto nel 1300).
Entrambe le società si occupavano – come la maggior parte delle aziende lucchesi – principalmente dell’esportazione dei drappi serici, ma la società dei figli di Rabbito e di Disfacciato era particolarmente attiva a Parigi. La compagnia di Gherardo Schiatta fallì nel corso del 1308: essa rimase vittima della congiuntura negativa che nella seconda metà del primo decennio del Trecento causò un’ondata di fallimenti tra le società lucchesi. Non si hanno più notizie nemmeno dell’altra compagnia Schiatta. Vanni Schiatta tuttavia negli anni successivi è attestato a Parigi, dove probabilmente si era trasferito più o meno stabilmente.
Non sono rimaste testimonianze di un impegno politico degli Schiatta negli ultimi decenni del Duecento, ma è probabile che ciò sia dovuto alla dispersione pressoché totale della documentazione pubblica lucchese per questa fase. Essi presentano infatti una fisionomia sociale quasi identica a quella del gruppo di famiglie mercantili lucchesi – Onesti, Rapondi, Mordecastelli, Sartori, Martini, Carincioni e altre ancora – che furono in quei decenni protagoniste di brillanti ascese economiche e costituirono l’élite dirigente del Comune di Popolo dagli anni Sessanta agli anni Novanta, per poi avvicinarsi, anche nello stile di vita, alla militia, la nobiltà cavalleresca cittadina.
Queste famiglie aderirono poi, per la quasi totalità, alla fazione dei guelfi bianchi, che abbandonarono la città in seguito agli scontri del 1301 e al prevalere dei guelfi neri, e infine confluirono nella lista dei casastici et potentes, i magnati lucchesi, inserita nello statuto del Comune redatto dal regime nero nel 1308.
Pur in assenza di attestazioni dirette, ci sono molti indizi che suggeriscono che gli Schiatta abbiano seguito questa parabola tipica. Come si è accennato, un figlio di Disfacciato, Vanni, è indicato nelle fonti come miles, cavaliere, e il suo nome è accompagnato dal titolo di dominus, riservato a Lucca, in questa fase, ai giudici e appunto ai cavalieri addobbati. Il perseguimento della dignità cavalleresca, celebrata con la fastosa e assai dispendiosa cerimonia dell’addobbamento, è un segno inequivocabile della volontà di nobilitazione, attraverso l’imitazione degli stili di vita e l’adozione degli status symbol dell’aristocrazia cittadina, un elemento che accomuna gli Schiatta alle altre famiglie mercantili sopra citate. Ad alcune di queste famiglie, del resto, essi erano anche imparentati: Dino di Rabbito aveva sposato la figlia del giudice Francesco Onesti, Guccio di Disfacciato aveva sposato la figlia di Lando Sartori, mentre Vanni aveva sposato una Malagallia. Non stupisce quindi che un Coluccio Schiatta compaia tra gli esuli bianchi rifugiatisi a Pisa dopo l’affermazione della parte nera nel 1301.
È sorprendente invece, e al momento non spiegabile in modo convincente, l’assenza degli Schiatta dalla lista dei casastici et potentes compilata dal regime nero nel 1308, nella quale compaiono tutte le famiglie ora citate, con le quali essi erano imparentati; inoltre, il fatto che Vanni Schiatta fosse insignito della dignità cavalleresca non poteva essere visto di buon occhio dal regime nero ultrapopolare.
Gli Schiatta occuparono poi uffici di rilievo negli anni della signoria di Castruccio Castracani (1316-28), circostanza che conferma una probabile vicinanza, negli anni precedenti, alla fazione bianca. Membri della famiglia continuarono a sedere nell’anzianato, il collegio di vertice del Comune di Lucca, anche negli anni Trenta: Lando di Ubaldo (ancora attivo nel commercio internazionale almeno per tutti gli anni Venti) fu anziano nel 1330, 1331 e 1334, Simone di Gherardo nel 1332 e nel 1334.
L’impegno politico nell’età di Castruccio coinvolse tuttavia soltanto i discendenti di Gherardo e di Ubaldo, non quelli di Disfacciato e Rabbito, che forse si erano radicati in Francia, come fece il dominus Vanni. Questo, per altro, potrebbe forse contribuire a spiegare l’assenza degli Schiatta dalla lista dei casastici. Sia i matrimoni ‘compromettenti’ sia il perseguimento della militia riguardarono infatti a quanto pare soprattutto i figli di Disfacciato e Rabbito.
Nei decenni successivi le notizie sugli Schiatta di Dono si fanno davvero scarse. Alla fine del Trecento era attivo a Bruges un Simone Schiatta certamente riconducibile a questa famiglia, la quale tuttavia, allo stato attuale della ricerca, sembra scomparire dalle fonti dall’inizio del Quattrocento.
Come sopra accennato, non hanno infatti nulla a che fare con il gruppo familiare dei discendenti di Schiatta di Dono due fratelli, Betto e Gaspare di Nello Schiatta, che negli ultimi decenni del Trecento furono protagonisti di primo piano della scena politica cittadina e dei suoi conflitti. Il padre dei due, Nello di Schiattuccio, viveva nella località di Carignano, alle porte della città, e nel 1337, insieme a un suo vicino, prese a soccida 25 agnelli. Betto e Gaspare furono quindi i veri artefici della fortuna familiare: erano ‘uomini nuovi’ a tutti gli effetti. Betto fu impegnato nel commercio internazionale ad alto livello. Tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del Trecento egli fu attivo in particolare a Bruges e nelle Fiandre, dove commercializzava i drappi di seta prodotti non solo a Lucca, ma anche a Venezia. Nella città lagunare erano infatti presenti mercanti e artigiani lucchesi che vi lavoravano la seta. Betto si faceva inviare i tessuti in particolare dalla bottega veneziana di Giusfredo Cenami. Gaspare sembra avere operato soltanto a Lucca, sempre nell’ambito della produzione dei drappi di seta, ma è assai probabile che per il loro smercio egli si servisse di corrispondenti – prime fra tutte le compagnie fondate dal fratello – sulle principali piazze europee, in particolare a Bruges. La maggiore ‘stanzialità’ di Gaspare spiega probabilmente la frequenza con cui egli giunse all’anzianato negli anni Settanta e Ottanta: fu infatti anziano nel 1373, 1375, 1378, 1380, 1382, 1384, 1388, 1392, 1393, 1398, 1400. Betto fu anziano nel 1379, 1381, 1388, 1389, 1390, 1392. Il numero di anzianati ricoperti insieme dai due fratelli indica che il piccolo gruppo familiare godeva di notevole visibilità politica nella Lucca di fine Trecento.
Nel corso degli anni Ottanta l’élite dirigente lucchese si spaccò in due fazioni contrapposte, l’una facente capo alla famiglia Guinigi, l’altra ai Forteguerra e ai Rapondi. La frattura attraversò anche la famiglia Schiatta, poiché Betto si schierò con la parte dei Forteguerra-Rapondi, Gaspare con quella dei Guinigi. Il 12 maggio 1392, una domenica, le due fazioni si affrontarono in uno scontro violento per le strade della città. I sostenitori dei Guinigi ebbero la meglio e un gruppo di loro, guidato da Lazzaro Guinigi, assaltò il palazzo degli Anziani. Forteguerra Forteguerra, che in quel momento ricopriva la carica di gonfaloniere di Giustizia, accorse insieme a due esponenti di primo piano della sua fazione, Galvano Trenta e, appunto, Betto Schiatta, e altri ‘amici’ in armi, per respingere i nemici. Ma la brigata dei Guinigi entrò nel palazzo; Forteguerra fu ucciso e gettato da una finestra. Betto e Galvano riuscirono a fuggire calandosi dalle finestre posteriori dell’edificio. La fazione dei Guinigi uscì vincitrice dallo scontro, ma il trattamento riservato agli avversari non fu eccessivamente violento. Solo Bartolomeo Forteguerra fu condannato a morte. Sei leader della parte Forteguerra-Rapondi, tra cui Giovanni Rapondi, furono condannati al confino nelle città nelle quali trascorrevano già lunghi soggiorni per i loro affari (Roma, Venezia, Avignone). Altre personalità di spicco della fazione sconfitta, tra cui Betto Schiatta, poterono rimanere in città, ma furono escluse dall’anzianato, dai consigli, e da tutte le cariche politiche di maggior rilievo.
Nel XV secolo sono attestati a Lucca solo i discendenti di Gaspare, che tuttavia non raggiunsero più la visibilità economica e politica dei due figli di Nello di Schiattuccio. Betto di Gaspare, che portava lo stesso nome dello zio, continuò a partecipare alla vita politica cittadina almeno fino agli anni Trenta del Quattrocento. Ancora nel 1478 fra i mercanti lucchesi residenti a Bruges risulta un Gaspare Schiatta, che dovrebbe essere il figlio di Baldassarre, un altro figlio di Gaspare di Nello. Dalla fine del secolo anche di questo gruppo familiare si perdono le tracce.
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