Schermo
Lo s. è il luogo dell'attualizzazione dell'opera cinematografica, la finestra sull'universo delle immagini. Per questo in film come The purple rose of Cairo (1985; La rosa purpurea del Cairo) di Woody Allen ma anche nel suo lontano antecedente Zakovannaja fil′moj (1918, Incatenata dal film) di Nikandr V. Turkin, su scenario di Vladimir V. Majakovskij, rappresenta la porta metaforica, il tramite tra reale e immaginario, tra la vita vissuta e quella ricreata dal film. La sua importanza apparve evidente sin dagli albori del cinema quando le opere venivano proiettate su un semplice telo di stoffa bianca. Oggi si studiano i modi per aumentare la quantità di energia luminosa restituita alla sala, che giunge allo spettatore rimanendo in un cono ristretto per non disperdere nello spazio la forza suggestiva che emana dalla pellicola. Nel suo ruolo di catena che lega il soggetto all'oggetto, per metonimia lo s. si conferma simbolo dell'intera arte cinematografica.
Lo s. cinematografico può essere costituito da qualsiasi superficie bianca o color neutro chiaro dove vengano proiettate le immagini. Più tecnicamente è una superficie artefatta con particolari caratteristiche di riflettenza o traslucidità. La gradevolezza dell'immagine sullo s. qualifica la proiezione e tutto il suo sistema operativo. La luminanza viene misurata con un flussometro a riflessione sullo s. illuminato dal proiettore a otturatore fermo e deve essere uniforme su tutta la superficie dello s. stesso; può essere misurata anche derivandola dal flusso espresso in lumen del fascio di luce. Controllando invece direttamente l'illuminamento al centro si ottiene la luce incidente misurata in lux. In entrambi i casi, per avere l'illuminamento effettivo della proiezione come appare allo spettatore bisogna rapportare l'intensità ottenuta al guadagno luminoso dello schermo. Sono importanti la luce inviata dal proiettore, la lampada relativa e la cabina di proiezione. Si considera ottimale una luminanza centrale di 55 candele al metro quadrato con una perdita massima del 25% di luce ai bordi (entro una distanza dai lati del 5% della larghezza del quadro). Gli s. di proiezione sono per lo più costituiti da un unico pezzo, senza cioè suture intermedie, di materiale sintetico bianco opaco non infiammabile e antimuffa e in grado di trasmettere il suono; quest'ultima proprietà, ottenibile anche praticando sullo s. fori minutissimi, è necessaria quando dei riproduttori sonori sono celati dietro lo s. stesso. Per ottenere una brillanza maggiore gli s. sono perlinati, cioè cosparsi di microscopiche sfere di vetro. Per ridurre l'affaticamento visuale dello spettatore e per aumentarne la concentrazione sulle immagini, lo s. deve essere l'unica sorgente luminosa presente in sala di proiezione. Quando le dimensioni dello s. sono grandi è necessario che questo sia ricurvo lungo l'asse orizzontale perché le immagini vengano percepite con un effetto di volume; la corda dell'arco di curvatura non deve essere superiore alla differenza tra la distanza del punto nodale anteriore dell'obiettivo e la periferia estrema del quadro. In particolare negli s. panoramici si utilizza una superficie cilindrica con rapporto tra base e altezza sino a tre, in grado di contenere pienamente le immagini di tutti i formati panoramici, dal Cinemascope (rapporto larghezza su altezza di 2,35) al Cinerama (sistema ottenuto dalla proiezione contemporanea per giustapposizione sull'asse orizzontale di tre filmati ripresi sincronicamente). La forma cilindrica determina una maggiore percezione di profondità delle immagini creando un effetto stereoscopico e di rilievo. Il formato panoramico suscita un'importante risposta fisiologica: osservato da una distanza opportuna, lo s. rettangolare è percepito parzialmente da ciascuno degli occhi; l'immagine completa viene ricostruita dal cervello creando così una sensazione di spazialità. La profondità delle immagini si accentua creando un effetto analogo alla stereofonia in acustica musicale. L'immagine di grande ampiezza angolare, rispetto alla posizione dello spettatore, per essere percepita nella sua totalità richiede una continua dinamica ottica e cerebrale che aumenta la fruizione dell'opera e attrae nel suo interno chi la vede con maggiore partecipazione. Un caso particolare, usato soltanto per documentari a effetto, è quello degli s. circolari, in cui lo spettatore è al centro di uno s. cilindrico chiuso sui 360° dell'orizzonte e quindi non è più in grado di abbracciare con lo sguardo tutte le immagini, come avviene nella realtà in cui si osserva soltanto ciò che è nel campo visivo. Lo s. deve possedere notevoli qualità di riflettenza senza eccessiva diffusione onde evitare la perdita d'incisione dell'immagine; deve essere ortogonale sia all'asse di proiezione sia alla linea di visibilità dello spettatore (la linea che congiunge la base dello s. agli occhi di chi guarda) per evitare deformazioni trapezoidali delle immagini.
La superficie del cinescopio su cui si formano le immagini televisive è per estensione denominata anch'essa 'schermo'. Questo s. però ha un rapporto fisso tra i lati e non variabile come quello delle immagini cinematografiche. La ragione è storica e ha origine sul finire degli anni Trenta del 20° sec. negli Stati Uniti quando, prima di iniziare le trasmissioni televisive pubbliche, si decisero le norme tecniche, molte delle quali sono rimaste in vigore a lungo. Gli standard definiti furono numerosi; tra essi: la banda di frequenze, il numero di linee per s., il ritmo di ripetizione delle immagini, le dimensioni dell'unità minima d'immagine (il pixel) ecc. Tra questi fu molto importante definire il formato relativo dell'immagine, cioè il rapporto tra l'altezza e la larghezza del rettangolo dello schermo. Ragioni d'ordine tecnico ed economico indussero ad assumere la larghezza dell'immagine come i 4/3 dell'altezza. Tale formato, ancora in vigore, era allora quello cinematografico più comune, anche se già venivano prodotte pellicole nel formato rettangolare, più marcato, con rapporto di 16/9. La ragione della scelta era dovuta al fatto che con un tale formato, quasi quadrato, si potevano impiegare tubi elettronici cilindrici a s. circolare sui quali l'immagine proiettata è quasi un quadrato inscritto nel cerchio del cinescopio. Un fattore economico fu il costo delle scenografie. Una scenografia quadrata, come quella di un piccolo teatro, è più economica di una scenografia panoramica, propria di un teatro d'opera. I primi studi di posa televisivi erano di dimensioni molto ridotte analogamente a quelli cinematografici delle origini, alla fine dell'Ottocento. Per riempire lo s. per tanti anni i film, anche quelli in formato più ampio, furono pertanto proiettati in televisione riproducendone soltanto la parte d'immagine con formato 4/3, detto riquadrato, privando lo spettatore televisivo delle due parti laterali dell'opera. Come se si leggessero le poesie saltando la prima e l'ultima sillaba di ogni verso. Per il rispetto dovuto alle opere d'arte, si è poi sacrificata la dimensione delle immagini facendo entrare tutto il formato originale, rimpicciolendolo, nello s. televisivo e quindi lasciando sopra e sotto due bande nere prive d'immagini. Le bande vuote sono più o meno ampie in funzione del formato cinematografico, che non è costante, ma va dal vecchio 4/3 ai 16/9, al Cinemascope, al 70 mm sino al Cinerama.