scetticismo
L’atteggiamento del dubbio
Secondo le dottrine scettiche non esiste un criterio sicuro per distinguere il vero dal falso e il bene dal male e, dunque, il dubbio è una condizione insuperabile per l’uomo. Accanto a questo scetticismo, che è stato definito dottrinale, esiste uno scetticismo metodico, per il quale il dubbio non è un punto d’arrivo definitivo, ma un mezzo ulteriore nella ricerca della verità
Lo scetticismo come dottrina risale al filosofo greco Pirrone e alla sua scuola, fiorita tra il 4° e il 3° secolo a.C., le cui tematiche furono poi riprese da Arcesilao e da Carneade (3° e 2° secolo a.C.) e infine da Enesidemo e da Sesto Empirico tra il 1° secolo a.C. e il 2° d.C.
Pirrone metteva in rilievo le contraddizioni tra ciò che si percepisce e i concetti in cui ci si imbatte quando si vuole definire una verità unitaria e costante. Constatata l’impossibilità di una certezza non illusoria, da questo deduceva quale deve essere l’atteggiamento del saggio scettico: sospensione del giudizio (epochè), rinuncia a esprimere opinioni definitive (afasìa), indifferenza di fronte alle varie alternative perché tutte si equivalgono (adiaforìa), imperturbabilità (ataraxìa). Queste sono le sole cose che possono dare all’uomo la felicità, e quindi realizzare il fine della ricerca filosofica.
Un tale tipo di atteggiamento, fondato sull’assenza di un criterio obiettivo di distinzione del bene e del male, accentua al massimo la relatività e la personalizzazione della scelta morale, che viene intesa come una via individuale alla saggezza. Il saggio scettico, in questo modo, si contrappone alla maggioranza degli uomini che seguono norme alle quali attribuiscono un valore universale e assoluto. Egli, inoltre, si distacca dalla massa per un atteggiamento di disprezzo anticonformista che lo avvicina al cinismo.
Le dottrine scettiche erano assai diffuse e vitali in epoca romana tra le classi colte, fino ai tempi di Agostino d’Ippona (4° secolo d.C.), il quale si impegnò a discuterle e a confutarle.
I grandi sconvolgimenti dell’età rinascimentale, dalla scoperta del Nuovo Mondo – e quindi di popoli con diversi costumi e credenze religiose – alle grandi polemiche e lotte religiose – in primo luogo la divisione della cristianità in varie chiese, ciascuna delle quali si presentava come depositaria della vera fede –, insieme alla riscoperta di molti testi antichi, tra cui le opere di Sesto Empirico, portarono nel Cinquecento al maturarsi di un orientamento scettico.
Protagonista di questa nuova stagione dello scetticismo fu Michel de Montaigne. Utilizzando sia le personali esperienze, sia la considerazione dei modi di vita diversi da popolo a popolo, sia la critica degli strumenti di conoscenza, Montaigne sottolinea la relatività di tutte le tradizionali scale di valori etici e religiosi. La radicale diversità riscontrata fa escludere la possibilità di ammettere valori perenni, identici tra i vari popoli; lo stesso concetto di barbarie è del tutto relativo, perché siamo noi a giudicare barbaro quello che non rientra nei nostri schemi e abitudini: è la più radicale critica di un certo tipo di antropocentrismo, quello che trasforma le proprie idee e i propri costumi in regole universali e assolute e che viene additato come fondamento del peggiore dogmatismo.
Proprio in risposta alle obiezioni avanzate dagli scettici, Cartesio (nel 17° secolo) introduce il dubbio metodico. Egli porta alle estreme conseguenze la condizione del dubbio e la ribalta in una certezza: dubito di tutto, anche della mia stessa esistenza, ma ho la certezza di dubitare, quindi esisto come mente che dubita («dubito, ergo sum»).
Mentre dunque lo scetticismo antico si era concluso negando la possibilità di ogni verità, lo scetticismo moderno assume posizioni meno rigide, presentandosi piuttosto come affermazione della soggettività di ogni conoscenza.
Anche un grande filosofo settecentesco si proclama scettico: David Hume. La sua affermazione di scetticismo non conduce, però, all’abbandono e alla rinuncia, bensì alla consapevolezza dei limiti della ragione umana; diventa quindi un richiamo alla concretezza della realtà e all’esigenza di una verifica costante, soprattutto in campo scientifico. Implica anche il riconoscimento del ruolo che, nell’attività conoscitiva, giocano gli istinti, le passioni e le abitudini, cioè tutti gli elementi extrarazionali di cui è fatta la natura umana.