SCENOGRAFIA
Parola di derivazione greca (σκηνή = scena; γραϕία = pittura) che sta ad indicare tutti quegli accorgimenti destinati a dare l'illusione dell'ambiente nel quale si svolge l'azione drammatica. Al pittore Agatharchos di Samo, vissuto ad Atene e fiorito intorno al 465 a. C. Vitruvio attribuisce il primo tentativo di una vera e propria S. destinata ad animare la rappresentazione dell'Orestiade eschilea (Vitr., De arch., vii, praef., 11); questa prospettiva scenica sulla quale Agatharchos stesso avrebbe scritto un commentarium (forse un trattato Περὶ σκηνῆς) avrebbe dato ai filosofi Anassagora e Democrito lo spunto di scrivere sulla prospettiva. La scena dipinta da Agatharchos doveva rendere con l'illusione della profondità alcune costruzioni che realmente erano rappresentate su di un piano, assai probabilmente su pìnakes lignei; almeno questo appare dal passo di Vitruvio, nel quale si spiega che Anassagora e Democrito scrissero sul modo come occorra delineare i raggi che vanno dai nostri occhi agli oggetti per rendere effettive le rappresentazioni degli edifici ora arretrati ed ora avanzati sui diversi piani. Per quanto alcuni studiosi siano ancora esitanti ad ammetterla in età eschilea, il passo vitruviano è un'eloquente dimostrazione dell'esistenza di una prospettiva scenica già a quel tempo; sarà stata una prospettiva a semplici linee, ma il principio che poi fu svolto matematicamente da Anassagora e dalla aktinographìa (cioè rappresentazione lineare dei raggi) di Democrito è quanto mai esplicito. Ad Apollodoros di Atene, pittore fiorito nella seconda metà del V sec. a. C. detto skiagràphos e skenogràphos, risale il merito di avere dato alla prospettiva di Agatharchos l'illusione di una maggiore realtà con chiaroscuro e colore (Plin., Nat. hist., xxxv, 60); un altro scenografo forse fu Kleisthenes di Eretria fiorito verso la metà del IV sec. a. C. e padre del filosofo Menedemo (Diog. Laert., ii, 18, 1).
In sostanza, quattro possono considerarsi gli sfondi della scena classica nella tragedia: a) il tempio, con colonne sopraelevate su varî gradini e decorazione plastica sui frontoni, mentre sui lati erano costruzioni varie come il recinto del santuario o il bosco sacro; b) il palazzo, con la porta reale al centro, tra le porte del gineceo e degli ospiti ai lati; c) la tenda militare con un portico anteriore e costruzioni provvisorie ai lati (l'Aiace di Sofocle); d) paesaggio marino (nel Filottete ad esempio) o di campagna (Edipo a Colono, Elettra, Ciclope). Questi sfondi erano su pannelli o scorrevoli o applicati sulla scena stessa; ma, data la loro mutevole lunghezza che li rendeva di difficile uso, sembra che anche i Greci conoscessero il sistema di dividere i pannelli in due metà perfettamente combacianti, come nella scaena ductilis che si conosce nel teatro romano.
Talora era naturalmente necessario un sollecito cambiamento di scena: così doveva ad esempio avvenire nella trilogia della Medea, del Filottete e del Ditti di Euripide, nella quale l'azione centrale esigeva un paesaggio marino e la prima e l'ultima parte il palazzo reale; così era per il dramma satiresco che chiudeva la trilogia. Per un rapido cambiamento di scena si inserivano ai lati i περίακτοι la cui origine cronologica è peraltro incerta; si trattava di due prismi triangolari (cfr. Vitr., v, 6, 3, itinera versurarum; cfr. Poll., Onom., iv, 126; Vitr., v, 6, 8) girevoli sul loro asse, che avevano una scena diversa dipinta su ogni pannello. Se i due perìaktoi giravano contemporaneamente, la scena era totalmente cambiata: così nelle Eumenidi di Eschilo il luogo dell'azione passa dal santuario di Delfi ad Atene. Se poi il solo perìaktos di destra era girato, voleva dire che soltanto una scena mutava il luogo dell'azione: tale è il caso della tenda di Aiace nell'omonima tragedia sofoclea dove una scena si svolgeva in un bosco, dell'Elettra di Sofocle, in cui la scena si svolgeva a Micene ma si doveva vedere Argo, dell'Elena di Euripide col palazzo reale ed il Nilo in lontananza. In generale sui pannelli dei perìaktoi erano rappresentati paesaggi, fiumi, il mare. Com'è noto, da destra entravano, attraverso le pàrodoi, che erano gli accessi laterali, i personaggi che venivano dalla città e quindi dall'interno del paese, da sinistra invece quelli che arrivavano dalla campagna e dall'esterno; ed è molto probabile che i perìaktoi fossero appunto dipinti in relazione a questi accessi laterali.
Quanto alle scene per le commedie, si sono potuti stabilire alcuni fatti essenziali: anzitutto, che non esistono dislivelli tra orchestra e scena e quindi che gli attori giungono addirittura a contatto del pubblico, che non c'era scena stabile ma elementi costruiti che dovevano raffigurare contemporaneamente località assai disparate tra di loro: l'azione che si svolge in un determinato settore (ad esempio casa di Eracle e palude dell'Acheronte o città infera nelle Rane di Aristofane) ignora l'esistenza degli altri elementi scenici, pur visibili anch'essi dagli spettatori. Ma non esiste, in sostanza, una costruzione omogenea che veramente costituisca la scena fissa della commedia antica. Tuttavia, dai numerosi ed abbastanza precisi accenni topografici delle cinque commedie di Aristofane rappresentate nel Leneo, cioè nel recinto vicino al colle della Pnice in Atene, si ricava l'idea di un edificio scenico complesso che nulla ha da fare con quello tragico, come hanno voluto alcuni studiosi, e che variava da commedia a commedia ed era costituito da elementi mobili.
Per molti studiosi la parte centrale della parete di fondo della scena era preceduta da un portico a colonne che prendeva il nome di πρόϑυρον; il termine, usato da Omero (Odyss., iv, 20; vii, 3), da Platone (Prot., 314 c; Symp., 175 a), da Pindaro (Pyth., iii, 78), Erodoto (iii, 35), Tucidide (vi, 27) ecc. sembra anche che sia testimoniato da alcuni passi di autori teatrali, e specialmente da Eschilo (Coeph., 966), Euripide (Alc., 98-102; Troad., 194; Hypsyp., 30-34; Kresph. = Hygin., Fab., 137; Iph. Taur., 1159; Ion, 38, 510), Aristofane (Vesp., 800-804) che in realtà altro non dicono se non questo: che la facciata della scena era fornita di un colonnato, senza però parlare di una specie di vestibolo a colonne; ma la quantità di testimonianze che si possono trarre dalle rappresentazioni figurative sui vasi, specialmente dell'Italia meridionale, dove il tema essenziale della scena si svolge entro un'edicola a quattro o a sei colonne non dimostra effettivamente che il pròthyron sia esistito sempre nella scena usuale tragica. Infatti lo stesso pròthyron dei vasi che sembrano abbastanza vicini al teatro, più che altro perché gli eroi di quelle rappresentazioni sono tragici (Ifigenia, Medea, Neottolemo, Oreste, Licurgo, ecc.) si trova anche nei vasi dove sono rappresentate scene della vita nell'Ade che hanno esclusivamente significato funerario. Sicché l'esistenza di un portico antistante alla parete di fondo della scena non è una regola assoluta, come alcuni studiosi di antichità teatrali hanno voluto sostenere.
Le tracce monumentali dei perìaktoi, consistenti in fori per pali lignei di notevole diametro si ritrovano di fatto in teatri sicuramente ellenistici come Pergamo ed Elide. Non è tuttavia esclusa l'esistenza di perìaktoi nel teatro di Dioniso in Atene, mentre qualche studioso sostiene che nelle Eumenidi eschilee (cambiamento della statua di Apollo in quella di Atena) e nell'Aiace di Sofocle erano pure usati. Ma in generale si preferisce attribuire l'origine di questo meccanismo all'età ellenistica e specialmente ai teatri greco-asiatici. Altri meccanismi destinati al mutamento di "quinte" per introdurre nuovi effetti nella scena erano, secondo Polluce, l'ἡμικύκλιον, una specie di corpo semicircolare inserito in uno dei ϑυρώματα (v. oltre) situato nell'orchestra (ma non si capisce bene perché) e lo στροϕεῖον, anche esso collocato nei ϑυρώματα ed usato per apparizioni di mitici legislatori, re, eroi eponimi, da un lato nel loro aspetto divino e dall'altro in quello umano; esisteva anche l'ἡμιστροϕεῖον (Poll., Onom., iv, 127) il cui uso resta però enigmatico.
Un altro importante meccanismo teatrale destinato ad accrescere gli effetti scenografici è quello dell'ἐκκύκλημα (Poll., Onom., iv, 128). Veramente la parola così com'è non si trova prima del II sec. a. C. mentre in due commedie di Aristofane, gli Acarnesi (vv. 407 ss.) e le Tesmoforiazuse, (vv. 95-96) appaiono i verbi ἐκκυκλεῖν e εἰσκυκλεῖν. Nel 274 a. C. in un iscrizione di Delo (C.I.G., xi, 2, 199, linee 94-95) si ricordano degli ἔξωστρα, cioè delle specie di balconate connesse con la parte superiore della scena ed identificate dai lessicografi con l'ἐκκύκληνα (Poll., Onom., iv, 127, 129; Hesych., s. v. ἔξωστρα). Attraverso un esame dettagliato delle fonti antiche si possono raccogliere diverse sfumature di significato per questo termine: per Polluce l'èxostra era una piattaforma piuttosto alta sostenuta da travi lignee ed essa stessa in legno (Onom., iv, 128; Schol. Aristoph., Acharn., 408), talora su ruote, che appariva in un apertura del fondo della scena (Schol. Aesch., Coeph., 973) spinta in avanti (parep. Aristoph., Thesmoph., 276) e girante su se stessa (Schol. Aristoph., Ran., 184 e argum.), che svelava un interno o almeno portava oggetti e persone verso l'esterno (Poll., loc. cit.; Clem. Alex., Protrept., ii, 12 e Schol. Aristoph., Ach., 408) ed era adoperata per apparizioni divine e talora identificata con la μηχανή. Un palco girevole su ruote, dunque, che appariva entro un'apertura della scaenae frons a livello del piano su cui avveniva la recitazione, ovvero al primo piano come sembra di poter comprendere dal passo citato degli Acarnesi; in generale o si rivelava l'interno di una scena ovvero si manifestavano le azioni nascoste compiute dentro la casa. Per tale motivo gli studiosi moderni hanno spesso creduto di distinguere due tipi di ekköklema, uno che spingeva fuori attraverso una larga apertura ciò che si voleva improvvisamente rivelare al pubblico, come divinità ed eroi, l'altro che ruotando su se stesso apriva un interno di casa dove erano accaduti eventi terribili, ad esempio scene di strage. Tracce di meccanismi ruotanti si sono rinvenute su lastre marmoree nel teatro di Eretria nell'isola di Eubea all'altezza del logèion al di sopra del proscenio del teatro più tardo; ma sembra che il meccanismo debba attribuirsi non al primo teatro della fine del V sec. a. C. ma a quello ellenistico. Nel teatro di Efeso si sono trovate le tracce di larghi thyròmata attraverso i quali dovevano apparire le divinità o gli eroi spinti sull'ekköklema; questo sistema doveva pure essere usato nella commedia per le apparizioni soprannaturali (come attestano i passi aristofanei citati), ma nessun documento ci prova che l'ekköklema fosse un meccanismo usato nel teatro dei tragici classici nel V sec. a. C., ed è probabile che gli scolî alle tragedie siano stati influenzati da quello che fu un espediente tecnico del teatro ellenistico.
Un termine generico usato per un meccanismo teatrale tuttavia determinato è quello di μηχανή (Bellerofonte perduto di Euripide, cfr. Aristoph., Pax, 135, 146; Eur., Androm., 1228 ss.; Ion, 1549; Helekt., 1233-37; Rhes., 886-88); si tratta di una specie di gru per personaggi in volo, divini o umani, usata ad esempio da Aristofane nelle Nubi per Socrate e negli Uccelli per Iride. Era composta di corde (Poll., Onom., v, 128) e di uncini (id., iv, 131) per afferrare l'attore (cfr. Aristoph., Pax, 174); non è improbabile che simile alla μηχανή fosse il γέρανος (Poll., Onom., iv, 130) che afferrava il corpo di Memnone per mezzo di Eos.
Un altro accorgimento per apparizioni soprannaturali era il ϑεολογεῖον (Poll., Onom., iv, 130); si trattava di un'impalcatura sulla quale, a detta di Polluce, fanno le loro apparizioni gli dei, come Zeus che tiene sulla bilancia le vite di Achille e Memnone avendo Teti ed Eos ai lati nella Psichostasìa di Eschilo. Sembra ad ogni modo che il theologèion fosse collocato sul tetto della scena e, a differenza della mechanè, avesse carattere piuttosto stabile.
Col III-II sec. a. C. si hanno sul fondo del proscenio ellenistico grandi aperture fra pilastri, che erano chiuse da pannelli dipinti; queste aperture dette ϑυρώματα sono attestate oltre che dalle tracce esistenti nelle rovine di alcune scene teatrali come quelle di Delo, Oropos, Priene, Oiniadai, Efeso, Magnesia, Thasos, Pireo (Zea) ed in una fase del teatro di Atene, anche dalle testimonianze epigrafiche che provano l'uso di questa parola, ad esempio, ad Oropos (I. G., vii, 423). Il Bulle avrebbe trovato una corrispondenza stretta fra le scene a thyròmata e certe rappresentazioni pittoriche ellenistico-romane dove al disopra della scena principale appaiono personaggi secondan affacciati ad una balaustra raffigurati davanti a larghe aperture intramezzate da colonne; tale è il caso della scena di Alcesti e Admeto della Casa del Poeta Tragico di Pompei, di Teti ed Efesto nella regione IX di Pompei, di Ares ed Afrodite nella Casa di Frontone, di Piritoo e dei Centauri nella Casa di Gavio Rufo, di Ifigenia in Tauride nella Casa di Cecilio Giocondo, ecc. Questi confronti, tuttavia, fra il teatro e le scene dipinte, sono stati ampiamente criticati e qualche studioso, come il Pickard-Cambridge, ha giustamente richiamato l'attenzione sulla realtà della prospettiva che non è soltanto nata sulle scene teatrali. Si è notata la presenza piuttosto frequente di tende tese tra colonne o pilastri sullo sfondo di queste pitture, che si riporterebbe all'uso di siparî che parzialmente celavano alcuni sfondi scenici, come sembrerebbe nell'Eracle furente di Euripide (v. 1029) e nelle Vespe e Nubi di Aristofane. Che una parte della scena potesse essere nascosta da una tenda è del resto confermato da una glossa di Esichio e Suda s. v. αὐλαία• τὸ τῆς σκηνῆς παραπέτασμα, e dalla testimonianza interessante di un rilievo di Napoli rappresentante una scena della commedia nuova in cui una parte dello sfondo è appunto occultata da una tenda. Una vera e propria fossa destinata a contenere il sipario o aulaeum sembra di poter identificare nel teatro di Siracusa, anche essa però, molto probabilmente, di età ellenistica.
I sistemi scenografici e scenotecnici romani derivati da quelli ellenistici specialmente dal contatto con i teatri di Asia Minore, in sostanza, non portano alcuna particolare novità.
Ricorderemo infine che un tentativo di ricostruzione di alcune scene della tragedia e della commedia antica è stato fatto dal Bulle e dal Wirsing recentemente con l'illustrazione della S. dei principali drammi di Eschilo, Sofocle, Euripide ed Aristofane. Disgraziatamente la perdita del manoscritto della grande opera del Bulle che doveva illustrare queste ricostruzioni, a causa di eventi bellici, ha diminuito il valore dei disegni del Wirsing che ci sono rimasti. Tuttavia si può dire che essi rappresentino la dimostrazione più notevole finora di un tentativo di far rivivere la S. antica.
Bibl.: Oltre alle opere fondamentali sul teatro antico che il lettore può trovare citate alla voce Teatro, occorrerà tenere presenti per la scenografia e la scenotecnica antiche alcuni lavori speciali: C. Robert, in Hermes, XXXI, 1896, p. 530 ss.; C. Fensterbusch, Die Bühne des Aristophanes, Lipsia 1912; P. Gardner, in Journ. Hell. Stud., XIX, 1899, p. 252 ss.; R. Engelmann, Archäologische Studien zu den Tragikern, Berlino 1900; L. Bolle, Die Bühne des Sophokles, 1902; id., Die Bühne des Aischylos, 1906; A. W. Pickard-Cambridge, The Theatre of Dionysus in Athens, Oxford 1946, pp. 30 ss.; 75 ss.; 210 ss.; H. Bull-H. Wirsing, Szenenbilder zum griechischen Theater des 5. Jahrh. v. Chr., Berlino 1950.