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scempio

di Alessandro Niccoli - Enciclopedia Dantesca (1970)
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scempio (agg.)

Alessandro Niccoli

Ricorre solo nella Commedia, in accezioni assai varie dall'una all'altra occorrenza.

Conserva il valore fondamentale di " semplice ", " non doppio " quando è riferito al dubbio suscitato in D. dalle parole di Marco Lombardo, dubbio che prima era scempio, e ora è fatto doppio (Pg XVI 55).

Molti commentatori interpretano nel senso che il dubbio intorno alla corruzione generale, concepito da D. nell'incontro con Guido del Duca (Pg XIV), è stato confermato dall'affermazione di Marco (quel valore amai / al quale ha or ciascun disteso l'arco, XVI 47-48), sicché esso, avendo una duplice origine, si è come raddoppiato. Il Mattalia però osserva che il dubbio provocato in D. da Guido del Duca era " limitato ", perché riguardava la degenerazione delle sole Toscana e Romagna; l'affermazione di Marco che tutto il mondo è traviato, lo ha reso doppio, " più grave ": un caso isolato è insomma divenuto un problema di carattere generale.

Ancor più controversa è l'interpretazione di Pg XII 133 con le dita de la destra scempie / trovai pur sei le lettere; D., cioè, toccandosi la fronte con le dita, si accorge che dei sette P incisi dall'angelo, ne sono rimasti solo sei.

I più dei commentatori moderni danno a scempie il valore di " disgiunte ", " allargate ". Per il Sapegno, invece, è più probante la chiosa del Buti (" colle dita della mano retta scempie, senz'altro aiuto "), suffragata dal significato di " privo " che altre volte l'aggettivo ha. Il Porena sostiene che s. non può valere " separate ", perché con questo valore non si trova mai, neppure in If XXV 126 (v. oltre), e propone quindi di considerare scempie come attributo di lettere anziché di dita; in questo caso l'espressione varrebbe: " trovai... ridotte a sei soltanto le lettere ".

L'aggettivo ritorna nella descrizione della metamorfosi di Francesco Cavalcanti, di serpente che era già divenuto uomo in tutta la persona fuorché nel capo: If XXV 126 trasse [il muso] ver' le tempie, / e di troppa matera ch'in là venne / uscir li orecchi de le gote scempie: dalla soverchia materia venuta verso le tempie, si formarono al di fuori delle gote, che avanti ne erano prive (i serpenti non hanno orecchie esterne), le orecchie. È questa l'interpretazione più comunemente accolta; il Porena, invece, intende gote scempie come una prolessi e quindi spiega " le gote che divennero scempie ", " che dal formarsi degli orecchi furono diminuite, ridotte ". Altri (Biagioli, Campi, Mattalia), riferendosi al significato di " semplice " che s. ha, spiegano " lisce "; altri ancora leggono le orecchie e, riferendo scempie a questa parola, interpretano: " uscirono fuori le orecchie divise, sporte fuori dalle gote ".

In senso figurato, con il valore di " dissennato ", compare solo nell'aspra definizione che D. dà dei suoi compagni di esilio: la compagnia malvagia e scempia [" cioè ria... e divisa ", Buti] / con la qual tu cadrai in questa valle (Pd XVII 62).

Vocabolario
scémpio²
scempio2 scémpio2 s. m. [lat. exĕmplum, nel senso partic. di punizione crudele che serva di esempio]. – 1. Atto di violenza crudele e raccapricciante, strazio: Ahi, da che lungo scempio Vedi afflitta costei (Leopardi); fare sc. di qualcuno,...
scempiare¹
scempiare1 scempiare1 v. tr. [der. di scempio1] (io scémpio, ecc.). – Rendere scempio, semplice; sdoppiare: cerca di sc. questo nodo; il filo doppio è troppo grosso, è meglio scempiarlo; nei dialetti settentrionali i parlanti scempiano...
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