La riflessione sulle arti meccaniche
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’interesse per le arti meccaniche si intensifica soprattutto per opera del monaco benedettino Teofilo, di Ugo di San Vittore, di Onorio di Autun e del filosofo spagnolo Domenico Gundisalvi, che danno vita a un dibattito filosofico sul ruolo dei saperi tecnici. Dibattito che però non avrà tangibili ripercussioni sulla ricerca filosofica e scientifica, ancora troppo dipendente dallo studio dei testi.
Ugo di San Vittore
Sulle arti e le scienze
Didascalicon, Libro II, cap. XX
Le arti tecniche sono dette meccaniche, ossia adulterine, perché l’abilità dell’uomo artefice si appropria della perfezione delle forme che imita la Natura. Le sette arti liberali sono così chiamate perché richiedono animi liberi, cioè non impediti e ben disposti (infatti tali arti perseguono penetranti indagini sulle cause delle cose), ossia perché nell’antichità solo gli uomini liberi, cioè nobili, si dedicavano ad esse, mentre i plebei e coloro che non avevano avuto rappresentanti delle proprie famiglie nelle cariche pubbliche, si occupavano delle arti tecniche con la competenza del loro lavoro. In ciò appare il grande e diligente zelo degli antichi, che non trascurarono nessun campo dello scibile umano ma vollero dominare ogni cosa secondo precise regole e norme. Le scienze tecniche concernono tutte le produzioni del lavoro umano.
U. di San Vittore, Didascalicon, trad. it. di V. Liccaro, Milano, Rusconi, 1987
La rinnovata visione del lavoro dell’uomo all’interno dell’opera del creatore impone una collocazione ai nuovi saperi, così ben rappresentati nella città del Medioevo. L’insegnamento ufficiale impartito nelle scuole ecclesiastiche era fondato sulle sette arti liberali, cui vennero progressivamente abbinate le scienze naturali e le arti meccaniche. L’interesse per le arti meccaniche va prendendo decisamente piede: esse rappresentano l’aspetto pratico della conoscenza e costituiscono un’efficace testimonianza della possibilità di affrontare la realtà anche in modo empirico. D’altro canto, l’ingresso dei testi greci e arabi nell’Occidente introduce un mutamento nel panorama culturale e la circolazione delle opere di Aristotele alimenta negli studiosi una visione del mondo libera dalla tradizione cristiana delle rivelazioni.
Sotto lo pseudonimo di Teofilo un monaco benedettino scrive, in un periodo imprecisato compreso tra il 1100 e il 1125, un’opera divisa in tre parti dal titolo Diversarum artium schedula. Forte della sua esperienza personale, Teofilo riassume i principi della pittura e della miniatura, dell’arte vetraria a quell’epoca in gran voga e dell’oreficeria. Teofilo non si rifà solo all’esperienza diretta, ma attinge anche alle informazioni conservate in una serie di antiche ricette.
A fare da sfondo, in tutta l’opera, l’esaltazione del lavoro pratico inquadrato all’interno di una sentita lode al Signore. Operazione necessaria, secondo Teofilo, convinto che il lavoro manuale, con tutte le tecniche di cui è possibile riassumere le conoscenze, discenda dall’intelligenza di Adamo, dotato in tal senso da Dio. In questo modo Teofilo sottolinea il carattere progressivo della tecnica, una conoscenza capace di crescere di generazione in generazione grazie alle continue nuove esperienze di uomini abili nel sintetizzarne le nozioni fondamentali all’interno di un sistema razionale. Le tecniche vengono quindi presentate da Teofilo come un dono per le generazioni future. Profondo conoscitore dei classici, Teofilo sposa la posizione di quanti, come Posidonio, Lucrezio e Vitruvio, avevano visto nell’abilità tecnica la condizione necessaria non solo per la sopravvivenza, ma anche per affermare uno stile di vita civile. Rielaborando il pensiero dei classici attraverso la mediazione con le Sacre Scritture, Teofilo ricorda però che il buon tecnico per essere tale deve possedere i sette doni dello Spirito Santo: saggezza, intelligenza, prudenza, forza, scienza, pietà e timore di Dio.
Un interessante sistema impostato sulla combinazione tra scienze e arti viene proposto nella prima metà del XII secolo da Ugo di San Vittore, a capo dell’omonima scuola a Parigi. Ugo ritiene la conoscenza della natura il mezzo per arrivare a Dio: in questo cammino le tecniche, in quanto imitazione della natura, concorrono al raggiungimento dell’obiettivo finale, la conoscenza di Dio. Nel Didascalicon (1120) Ugo di San Vittore divide la filosofia in quattro parti: teoretica, pratica, meccanica e logica (Didascalicon, 2-1; 3-1). Portata al medesimo livello delle discipline più importanti, la filosofia meccanica prevede la conoscenza di sette scienze divise in due gruppi di tre e quattro discipline: tessitura, armamento (comprendente l’architettura), metallurgia da una parte; agricoltura, caccia, medicina e arti sceniche dall’altra. Rifacendosi a Isidoro di Siviglia, Ugo valorizza la forma attiva del lavoro, utile per avvicinare l’uomo alla virtù necessaria per comprendere l’aspetto divino della natura. Il tutto è inquadrato all’interno di una divisione tra arte e disciplina: l’arte ha come base la materia e si sviluppa attraverso un procedimento lavorativo, la disciplina, invece, rappresenta l’aspetto della speculazione scientifica.
Onorio d’Autun, originario di Canterbury e monaco a Ratisbona, viene celebrato soprattutto per il commento all’opera di Scoto Eriugena; assai attento agli sviluppi della scienza e della tecnica, inquadra il cammino dell’uomo verso la conoscenza come un percorso di apprendimento scandito da tappe precisamente ordinate: le prime sette corrispondono alle discipline liberali, l’ottava a quella parte della fisica che insegna a riconoscere le virtù esistenti nelle piante, negli animali e nei minerali; la nona tappa, infine, corrisponde alla meccanica e implica la conoscenza delle tecniche per lavorare il metallo, il legno e la pietra, la pittura e tutte le arti manuali in genere.
Mettendo a frutto la sua posizione di direttore del centro di traduzioni di Toledo dove vengono volte in latino molte opere arabe, il filosofo spagnolo Domenico Gundisalvi, rifacendosi agli studi di al-Farabi, mette in luce nel De divisione philosophiae (1150 circa) il duplice carattere della filosofia, fatto di teoria e pratica, conoscenza e azione.
Nella parte teorica Gundisalvi inserisce la scienza naturale, la matematica e la teologia. Procedendo per ulteriori divisioni, il filosofo spagnolo chiarisce che la scienza naturale è costituita da otto discipline tra le quali medicina, disegno, agricoltura, navigazione, alchimia e una scienza degli specchi e della trasformazione delle cose in altre. Della scienza matematica sono parte, invece, materie quantitative come aritmetica, geometria, musica, astrologia, e, soprattutto, la scientia de ponderibus e la scientia de ingeniis. Ognuna di queste arti, teoriche e pratiche, fonda i propri contenuti su regole di carattere generale. All’interno delle discipline esiste dunque una divisione tra chi si occupa di teoria e chi di pratica: il geometra che risolve complicati problemi ed effettua calcoli sta a un livello superiore rispetto al muratore che quelle operazioni applica nella pratica del cantiere.
Interessante il riferimento alla scientia de ponderibus, che affronta la vasta e complessa materia delle macchine atte a trasportare e sollevare i pesi. Vi era, secondo la tradizione ellenistica recuperata e sviluppata dagli Arabi, una parte teorica destinata a spiegare i principi che determinavano il funzionamento di una leva generica sottoposta a carichi diversi, principalmente bilance e stadere, e una parte pratica dedicata alla costruzione di svariati dispositivi. La scientia de ingeniis porta la matematica all’interno della realtà dei corpi fisici: in sostanza, si spiega come la materia dei corpi si disponga durante i processi lavorativi secondo schemi e norme che era possibile spiegare attraverso la matematica. È questo il caso dell’architettura, delle macchine da sollevamento e da guerra, degli strumenti musicali. Esiste poi un ingenium della visione, degli specchi e delle loro proprietà a seconda delle diverse forme geometriche.
Fornendo un’interpretazione originale, Gundisalvi promuove dunque la conoscenza pratica all’interno della filosofia: d’altro canto, a buon diritto possono starvi le arti meccaniche, dal momento che la matematica determina l’applicazione dei principi pratici alle diverse arti, ciò che avviene attraverso procedure ingegnose. Se la filosofia è una scienza universale, essa deve in qualche modo riuscire a mediare con la tradizione delle arti meccaniche, accogliendole al suo interno. Se Teofilo vedeva nelle arti la presenza di un’intelligenza che discende da Adamo e si trasmette crescendo di generazione in generazione, Gundisalvi vi vede invece la sistematica e metodica applicazione di nozioni razionali mediate dalla matematica. Anche Ugo di San Vittore mette in luce l’esistenza di norme razionali nelle arti; la sua gerarchia, da una parte il calcolo e, a un livello più basso, la materia, riporta in luce la divisione tra conoscenze di livello superiore e inferiore sulle quali si era già pronunciata la cultura di età ellenistica e romana: da una parte la ratio, dall’altra la pratica.
Anche Alberto Magno e Tommaso sottolineano la separazione tra teoria astratta e pratica della materia, riconducendola a quella tra uomini liberi e non. Tommaso considera le arti meccaniche subalterne alla fisica: per esempio, la scienza della misura dei corpi (sterometria) ha come disciplina subalterna la scienza delle macchine. Esistono tuttavia secondo Tommaso delle arti meccaniche con un carattere matematico che possono rientrare nel gruppo delle scientiae mediae, per esempio quelle che si occupano della quantità come astrologia, musica e prospettiva.
D’altro canto, il fatto che le regole della geometria vengano applicate alle arti meccaniche in cui si ricorre alla misura, alla prospettiva e alla scienza della visione, non fa che confermare l’esistenza di una gerarchia di valori. Altrettanto si può dire dei rapporti che si riteneva legassero la matematica alla musica. Dunque, secondo questa ripartizione in livelli superiori e inferiori, benché accolte all’interno del sapere ufficiale, le arti meccaniche da sole non avrebbero condotto ad alcuna forma di conoscenza: studiosi e artigiani appartengono, e così sarebbe stato ancora per molto tempo, a mondi separati.
Lo sviluppo della tecnica tra città e campagne non è dunque sfuggito agli uomini di cultura dell’epoca, le cui considerazioni contribuiranno alla positiva rivalutazione del lavoro. Tuttavia, l’impetuosa crescita dei saperi tecnici non avrà tangibili ricadute sugli orientamenti della ricerca filosofica e scientifica, ancora prevalentemente dipendente dallo studio dei testi: esiste un dibattito filosofico sul ruolo delle arti meccaniche, non ricerche che da esse trarranno nuovi spunti.