Gli spazi del potere
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il palazzo residenza del sovrano, luogo di udienza, sede di amministrazione, è per tutto il Medioevo l’edificio a cui si connette la rappresentazione del potere. Le soluzioni spaziali sono diverse, ma rimane determinante il modello del palazzo imperiale romano. Dal legame con questo inarrivabile prototipo si originano le esperienze più significative dei secoli VI-VIII, anche per quanto riguarda i centri del potere ecclesiastico (si pensi al palazzo episcopale di Parenzo), attirato fin dall’età costantiniana nella sfera dell’amministrazione pubblica. I nuovi sovrani romano-barbarici si insediarono nei palazzi pubblici romani, come segno di legittimità del loro governo. Nel Nord Europa i Carolingi impiantano enormi palatia in ampi spazi aperti, ove le scelte progettuali non sono condizionate da preesistenze, e i modelli residenziali classici vengono assunti in modo più libero. Massimo esempio è il palazzo di Acquisgrana, di cui si conserva in ottimo stato la famosa Cappella Palatina. A essa si contrappone idealmente, come altrettanto esteso e magniloquente manifesto politico, il palazzo papale del Laterano a Roma, ampiamente trasformato alla fine dell’VIII secolo da papa Leone III.
Nel corso del Medioevo lo spazio dell’esercizio e della rappresentazione del potere continua a identificarsi principalmente con il palazzo. Il palazzo è residenza del sovrano, luogo di udienza, sede di un’amministrazione stabile, di una cancelleria. A esso è associata una cappella palatina, sacrario della dinastia regnante e luogo di un culto privato del sovrano, di un rapporto personale con il divino che si connette alle radici stesse del concetto di regalità. Dal punto di vista architettonico la somma di funzioni pubbliche e private trova risposta in una miriade di soluzioni progettuali differenti, ma il palazzo imperiale romano rimane modello formale inarrivabile, e simbolo di sovranità legittima e universale per tutta l’architettura palaziale del Medioevo.
Allo stesso tempo, in ambito urbano, anche la Chiesa lega l’espressione della propria autorità all’evidenza monumentale degli insediamenti ecclesiastici. L’attrazione, già in epoca costantiniana, del clero nella sfera dell’amministrazione pubblica avvia un meccanismo destinato a rafforzarsi oltre misura dopo la caduta dell’Impero d’Occidente, e il passaggio de facto alla Chiesa di funzioni civili e di governo. A Roma e nella maggiori città dell’impero l’incremento architettonico della domus episcopalis riflette in modo esemplare la duplicità del potere, spirituale e temporale, del vescovo. Il complesso cattedrale si compone all’interno delle mura urbiche di una o due aule di culto, di un battistero, di ambienti residenziali e di servizio per il clero, ma anche di ambienti di rappresentanza mutuati dall’edilizia pubblica imperiale. Un esempio perfettamente conservato di aula di udienza episcopale, con evidenti riprese dello stile palaziale tardoromano, si ha nell’episcopio della cattedrale di Parenzo, in Istria, dell’età del vescovo Eufrasio (metà del VI sec.). Il quartiere episcopale si contrappone dunque materialmente agli spazi del potere pubblico. Il caso di Milano, capitale sotto Massimiano, è assai eloquente, con i due poli insediati in settori opposti rispetto al centro: a sud-ovest la vasta area residenziale imperiale, destinata a disgregarsi nel corso dell’alto Medioevo per rimanere già attorno al Mille un ricordo vago, fissato al più in qualche toponimo (chiesa di San Giorgio in Palazzo); a nord-est il complesso cattedrale, cresciuto in modo impressionante da Ambrogio ai Carolingi, e poi ancora negli anni dell’episcopato di Ariberto di pari passo con il peso politico del vescovo.
All’inizio del VI secolo l’imperatore Anastasio I di Bisanzio concede in delega i suoi poteri sulla Gallia a Clodoveo, e a essi è connesso il diritto di usare i palatia. I nuovi sovrani romano-barbarici si insediano nei palazzi pubblici romani (palatia imperiali e praetoria dei governatori), come segno di legittimità del loro governo. Teodorico restaura a Ravenna il palazzo di Onorio, di cui rimane un’immagine musiva in Sant’Apollinare Nuovo, e riadatta a residenze di una corte itinerante palazzi pubblici a Pavia e Verona, poi usati dai Longobardi. Di altre fondazioni, come il palazzo di Teodolinda a Monza nulla si sa, ma nuove sedi vengono fondate in curtes regiae campestri come Corteolona. Il palazzo centrale regio serve da modello a quelli ducali e, in età carolingia, a quelli comitali. La disgregazione dell’ordinamento centrale, lo sviluppo dal IX-X secolo di poteri signorili territoriali, produrrà una moltiplicazione di palazzi accumunati – come del resto gli edifici del potere ecclesiastico – da nuovi caratteri architettonici legati a sempre più urgenti esigenze di difesa.
In Italia i Carolingi continuano a promuovere il restauro degli edifici pubblici, ma contemporaneamente favoriscono il riordino delle istituzioni ecclesiastiche e il potenziamento delle cattedrali, che finiranno per dominare in ambito urbano.
Nel Nord Europa, nel centro geografico del loro potere, i Carolingi impiantano invece enormi palatia in ampi spazi aperti, connessi alle basi patrimoniali della dinastia e in posizioni strategicamente rilevanti. Qui le scelte progettuali sono libere dal condizionamento di preesistenze, e i modelli residenziali classici vengono assunti in modo libero, sempre con l’intento di ricollegarsi alla tradizione imperiale. Si sviluppano programmi costruttivi che sono veri manifesti politici, e a cui si richiamerà nei secoli seguenti l’architettura palaziale ottoniana. Sono note, grazie agli scavi archeologici, alcune residenze regie carolingie, come quelle di Paderborn o di Ingelheim, ma soprattutto si conserva in parte il palazzo di Aquisgrana, residenza principale, la “seconda Roma” che meglio di ogni altra architettura doveva esplicitare la nuova dignità imperiale, e come tale fu più volte replicata nel suo elemento più caratteristico, la Cappella Palatina, tra IX e XI secolo (si pensi al San Giovanni Evangelista di Liegi, tra 972 e 1008; o alla Santa Maria di Ottmarsheim, 1030-1049). Anche ad Aquisgrana si distinguono nettamente i due poli, quello sacro, a sud, e quello residenziale-rappresentativo a nord. L’aula regia è un grande ambiente rettangolare (47,5 x 20,8 m) absidato, legato al modello della basilica palatina di Costantino a Treviri, ma caratterizzato da altre due esedre sui lati lunghi. Un portico addossato a sud si collega con la lunga manica, a due piani, che chiude a ovest il complesso, e che conduce alla Cappella palatina. Preceduta in origine a ovest da un atrio porticato e da un Westwerk, la cappella, esternamente a sedici lati, ha un nucleo centrale ottagonale coperto da cupola a otto spicchi, e circondato da un deambulatorio con galleria. Le alte arcate del matroneo sono articolate da un doppio registro di colonne. Per i preziosi materiali di costruzione Carlo Magno attinge, per concessione papale, a spolia romani e ravennati. Il classicismo degli arredi appositamente fabbricati, come le transenne bronzee, è uno dei più chiari simboli della renovatio carolingia. Eccezionale doveva soprattutto essere la decorazione musiva della cupola, con la raffigurazione apocalittica di Cristo regnante nella Gerusalemme Celeste, che veniva a trovarsi in una sorta di corrispondenza simbolica con l’imperatore, sua immagine in terra, il cui trono era collocato nella campata occidentale del matroneo.
Negli stessi decenni a Roma il papato che si è appena dotato, attraverso la redazione del famoso falso della Donazione di Costantino, di un strumento fondamentale a cui ancorare le proprie aspirazioni autonomistiche e universalistiche, sta procedendo a un’ampia trasformazione dell’area del Laterano, che dal IX secolo smetterà di chiamarsi patriarchium per assumere il nome, legato alla dignità imperiale, di palatium. Se Giovanni VII all’inizio dell’VIII secolo aveva addirittura tentato di spostare la residenza papale sul Palatino, per occupare così il centro del potere di Augusto, i papi Zaccaria e Adriano I aumentano la sede lateranense con una loggia, nuovi edifici residenziali, e con ricchi apparati decorativi. Soprattutto, allo scadere del secolo, papa Leone III fa erigere due grandi triclini. Il primo, distrutto nel 1588, era un ambiente rettangolare dotato di ben undici absidi, una maggiore nella parte di fondo e cinque sui due lati lunghi: il modello inequivocabile era il triclinio “dei diciannove divani” del palazzo imperiale di Costantinopoli. Il secondo (798-799), triconco, era ubicato nell’ala est della residenza lateranense, e recava nella decorazione musiva dell’abside maggiore il senso del programma politico papale, rivolto a un tempo verso Costantinopoli e verso Aquisgrana. Sulla sinistra del catino absidale, in cui era raffigurato il tema della Missione degli Apostoli, si vedeva Cristo che consegnava il labaro a Costantino e il pallio a san Pietro; sulla destra, lo stesso san Pietro era raffigurato nell’atto di porgere il pallio a papa Leone e lo stendardo a Carlo, il quale doveva dunque rispecchiarsi nell’immagine dell’antico imperatore come difensore della Chiesa, nello spirito della Donazione.