ORDELAFFI, Scarpetta
ORDELAFFI, Scarpetta. – Nacque a Forlì, probabilmente negli anni Sessanta del Duecento, da Tebaldo Ordelaffi; non si conosce il nome della madre.
Le prime attestazioni certe relative agli Ordelaffi risalgono agli ultimi decenni del XII secolo. La famiglia, priva di diritti signorili nelle campagne, apparteneva alla militia cittadina di Forlì. Dal punto di vita economico, sembrano fondamentali i rapporti con gli enti religiosi urbani, in particolare con il monastero di S. Mercuriale, dal quale gli Ordelaffi ebbero in enfiteusi terre e case nel Forlivese.
Negli ultimi decenni del Duecento Forlì era un Comune di popolo. L’affermazione del popolo, avvenuta verso la metà degli anni Cinquanta, fu quasi certamente legata, come in altre realtà romagnole, alla forte influenza esercitata da Bologna tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Settanta. A un Collegio di anziani, sulla cui composizione non sappiamo nulla, si affiancava un Consiglio dei Quattrocento, probabilmente corrispondente al Consiglio generale di altre realtà comunali. La nobiltà cittadina era divisa in tre fazioni, che facevano capo alle famiglie degli Ordelaffi e degli Argogliosi, entrambe schierate su posizioni ghibelline, e dei Calboli, che invece facevano riferimento al coordinamento guelfo. Fu proprio con Scarpetta che gli Ordelaffi riuscirono a rompere questo equilibrio e a imporre la propria egemonia familiare su Forlì.
Scarpetta si mosse su un orizzonte più ampio di quello cittadino. La sua affermazione personale fu legata al sostegno attivo da lui prestato al progetto di potere del grande condottiero ghibellino Maghinardo Pagani da Susinana.
Dalla fine degli anni Ottanta Maghinardo esercitava un’autorità di natura signorile su Faenza, ma restava anche, dopo il ritiro di Guido da Montefeltro dallo scenario romagnolo, il punto di riferimento dei ghibellini locali. Nel 1296 i ghibellini di Romagna guidati da Maghinardo si allearono, in funzione antibolognese e antipapale, con i fuoriusciti bolognesi di parte lambertazza e con Azzo VIII d’Este signore di Ferrara, Modena e Reggio. Ne nacque una guerra che si protrasse fino al 1299. Grazie agli schiaccianti successi militari, Maghinardo estese il proprio potere anche su Imola (dal 1297), sottratta all’orbita bolognese, e sulla stessa Forlì (1299), dando vita a un piccolo Stato signorile composto, oltre che dalle tre città con i loro contadi, dagli estesi possedimenti familiari nelle valli appenniniche del Lamone, del Senio e del Santerno.
Le prime notizie di Scarpetta risalgono agli anni della guerra contro Bologna; fu infatti in quell’occasione che egli riuscì ad assumere una posizione preminente all’interno della famiglia e allo stesso tempo a mettersi in luce sullo scenario regionale per le sue capacità militari e di guida. Non è tuttavia possibile seguire le tappe di questa ascesa, poiché nella fonte principale per la ricostruzione degli avvenimenti di fine Duecento, la cronaca di Pietro Cantinelli, la figura del giovane Scarpetta è oscurata da quella di altri capi ghibellini più affermati, in particolare, oltre a Maghinardo, Galasso da Montefeltro e Uguccione della Faggiola, che condivisero con Pagani il ruolo di capitani generali della lega romagnola.
Nel 1302 Maghinardo morì senza eredi maschi; due anni prima era morto anche Galasso da Montefeltro, mentre Uguccione della Faggiola concentrava le proprie ambizioni in Toscana. In questo nuovo contesto Scarpetta riuscì non solo a subentrare a Maghinardo nella signoria su Forlì, ma anche ad accreditarsi come capo dei ghibellini romagnoli e toscani. In quest’ottica, assume un’importanza centrale un episodio narrato dagli Annales Caesenates. Nel 1302 giunse a Forlì Rinaldo da Concorrezzo, vicario per la Romagna di Carlo di Valois, che era stato nominato da Bonifacio VIII rettore in temporalibus delle province papali. Rinaldo fu però aggredito e messo in fuga da un tumulto popolare («ad rumorem populi», Annales Caesenates, 2003, p. 74). Il cronista chiude il racconto osservando: «et regebant predictam civitatem Ordelaffi, cum suis amicis», mettendo dunque in collegamento l’avvenimento, di una gravità inaudita, con l’affermazione signorile degli Ordelaffi. Con questo atto, dal forte valore dimostrativo, la famiglia, guidata da Scarpetta, si proponeva come punto di riferimento delle forze antipapali.
Nel frattempo a Firenze l’intervento di Carlo di Valois aveva provocato un rovesciamento politico e la prevalenza dei guelfi neri, seguita dall’abbandono della città da parte dei guelfi bianchi più in vista, che, come i bianchi di altre città toscane, in particolare di Pistoia e Lucca, trovarono collocazione all’interno del sistema di alleanze ghibellino. Alcuni di essi si rifugiarono proprio a Forlì. In questo contesto si inserisce il soggiorno di Dante Alighieri, esule di parte bianca, nella città romagnola. La storiografia erudita ha spesso parlato di un’accoglienza del poeta presso la ‘corte’ di Scarpetta, ma si tratta di un anacronismo: nulla di simile a una vera e propria corte doveva ancora esistere intorno agli Ordelaffi, che stavano consolidando la propria preminenza politica nella città d’origine. I rapporti tra Dante e Scarpetta non sono quelli tra un letterato e un principe mecenate, ma vanno piuttosto inquadrati nell’ambito della fitta rete di relazioni politiche che costituiva il coordinamento ghibellino.
Le truppe fornite dai bianchi bolognesi e toscani e dai ghibellini romagnoli sfidarono i neri fiorentini nel Mugello, dove potevano contare sull’appoggio della potente famiglia signorile degli Ubaldini; al loro comando, tra la fine del 1302 e l’inizio del 1303, fu posto proprio Scarpetta, come capitano generale della parte bianca fiorentina. È interessante notare che in quel momento podestà di Firenze, eletto dai neri, era Fulcieri Calboli, membro della famiglia guelfa forlivese avversaria degli Ordelaffi. «Uomo feroce e crudele», nelle parole di Giovanni Villani (Nuova cronica, IX, 59), Fulcieri si distinse nella persecuzione dei bianchi rimasti a Firenze e, secondo il racconto di Dino Compagni (Cronica, II, 30), prese le armi personalmente in Mugello contro il suo grande nemico Scarpetta.
Al di là della rivalità personale e familiare tra i due, tali avvenimenti dimostrano la centralità acquisita in questa fase dal contesto romagnolo nella definizione e nel rilancio dei due coordinamenti guelfo/nero e ghibellino/bianco, che davano nuova forma e una proiezione sovracittadina ai conflitti politici interni alle singole realtà comunali dell’Italia centro-settentrionale. In ogni caso, le operazioni militari in Mugello volsero a favore dei neri, e i bianchi non riuscirono più a tornare al potere a Firenze.
Intanto Scarpetta consolidava la propria egemonia politica sul comune di Forlì. Il 1303 fu da questo punto di vista un anno cruciale: Scarpetta fu podestà mentre il fratello Cecco, Francesco (I), era capitano del popolo. Negli anni successivi Ordelaffi continuò a ricoprire queste cariche (fu insieme podestà e capitano del popolo nel 1307 e solo capitano del popolo nel 1309), o vi insediò propri fedeli. Sembra comunque che in questa fase gli Ordelaffi agissero nel rispetto dei meccanismi istituzionali del Comune. Il prestigio di Scarpetta come capo militare e guida ghibellina contribuì a garantirgli un consenso personale tale da consentirgli di avere la meglio sulle famiglie rivali degli Argogliosi e dei Calboli. È molto probabile, inoltre, che gli Ordelaffi fossero riusciti a ottenere l’appoggio del popolo, che aveva largo spazio nelle istituzioni comunali, le quali mantenevano l’assetto acquisito in occasione dell’affermazione del movimento popolare a metà Duecento. Il popolo aveva del resto già dato il proprio sostegno a Maghinardo Pagani, che in tutte le città sulle quali aveva esercitato la propria influenza aveva dimostrato una netta preferenza per la carica di capitano del popolo rispetto a quella di podestà.
Negli anni successivi Scarpetta si concentrò sul contesto romagnolo, riorganizzando e rilanciando con grande energia l’azione dello schieramento antipapale. Nel 1306 l’ultraghibellino Bandino dei conti Guidi di Modigliana, che era stato tra gli uomini più vicini a Maghinardo Pagani, divenne signore di Faenza con un colpo di mano sostenuto attivamente dallo stesso Scarpetta, che da quel momento poté contare sulle forze militari faentine. Si unì poi all’alleanza anche Imola. La coalizione filopapale era invece guidata dai Malatesta, che controllavano Rimini e Cesena, e dai da Polenta di Ravenna. Sempre nel 1306 i ghibellini occuparono Bertinoro, che fu affidata al fratello di Scarpetta, Pino, il quale vi esercitò un potere di natura signorile fino al 1310. Nel 1307 i Malatesta, al comando di truppe riminesi e cesenati, tentarono di recuperare il castello, ma subirono una grave sconfitta. Nel 1308 gli eserciti di Forlì, Imola e Faenza, capitanati da Scarpetta e da Federico da Montefeltro, lanciarono direttamente l’attacco a Cesena; non riuscirono a conquistare la città, ma devastarono e saccheggiarono il territorio. Pochi mesi dopo fu conclusa una pace tra i due schieramenti.
Si trattava tuttavia di una pace precaria, messa costantemente in pericolo dai tanti focolai di resistenza antipapale, che continuavano ad avere negli Ordelaffi un saldo riferimento. Nel 1310 papa Clemente V affidò la rettoria in temporalibus della Romagna a Roberto d’Angiò. Alla fine di quell’anno la discesa in Italia di Enrico VII di Lussemburgo, diretto a Roma per l’incoronazione imperiale, suscitò nuove speranze nel coordinamento ghibellino. Nel 1311 la Romagna fu attraversata da nuovi gravi disordini. Lo spagnolo Gilberto de Santilliis, vicario di Roberto, reagì con grande durezza, facendo imprigionare i capi ghibellini di Forlì, Faenza e Imola. Tra di essi vi erano Scarpetta, il fratello Pino e il nipote dei due, Bartolomeo, che, ritenuti i principali responsabili dell’insubordinazione dei romagnoli, furono rinchiusi nella rocca di Castrocaro. La loro prigionia si protrasse per ben sei anni, fino al 1317.
Senza la guida di Scarpetta, gli Ordelaffi persero il controllo di Forlì, dove riacquistarono forza gli Argogliosi. Ma nel settembre 1315 Cecco (Francesco), fratello di Scarpetta, riconquistò il potere grazie all’inedita alleanza con i Calboli, i nemici di sempre. Pochi mesi dopo Cecco costrinse i Calboli all’esilio e fu eletto capitano del popolo dai consigli cittadini, ufficio che esercitò almeno fino al 1323. Secondo la tradizione locale, sarebbe anzi stato eletto capitano a vita, ma non esistono conferme documentarie in questo senso. In ogni caso, la scelta, da parte di Cecco, della sola carica di capitano del popolo parrebbe avvalorare le indicazioni delle cronache, secondo le quali il ritorno al potere di Ordelaffi sarebbe stato appoggiato dai gruppi sociali che si esprimevano politicamente nel populus.
Dopo la sua liberazione, nel 1317, Scarpetta ebbe un ruolo marginale; negli anni della sua assenza, infatti, il fratello aveva assunto la guida della famiglia, oltre che la signoria su Forlì.
In politica estera, Cecco rimase fedele all’orientamento ultraghibellino degli Ordelaffi, rilanciato con decisione dallo stesso Scarpetta. Dopo un breve periodo di buone relazioni con il papato, nel 1320 aderì alla lega ghibellina capeggiata dai Montefeltro e dai fuoriusciti di Toscana, che si contrapponeva alla lega guelfa guidata dai Malatesta. Nel 1321 riuscì a ottenere l’adesione a questa alleanza anche di Venezia, che con lui e con Forlì strinse un trattato per contrastare Ravenna, che contendeva ai veneziani il possesso di Cervia. La storiografia locale riferisce anche dell’investitura di Cecco a vicario imperiale da parte di Ludovico il Bavaro nel 1326. Non esistono tuttavia attestazioni documentarie che consentano di confermare la notizia.
Nonostante l’emarginazione degli ultimi anni, Scarpetta rimane, oltre che un protagonista di primo piano dei conflitti politici scatenati dal tentativo del papato di imporre la propria autorità sulla Romagna – conflitti che, come si è visto, ebbero riflessi importanti in tutta l’Italia centrosettentrionale – il vero fondatore della longeva signoria degli Ordelaffi su Forlì. Egli ebbe un ruolo fondamentale nel consolidare il consenso di cui la famiglia godeva in città, e in particolare nel costruire un rapporto privilegiato con il popolo, indispensabile per avere la meglio sulle fazioni che facevano capo a Calboli e Argogliosi. Il fratello Cecco non si scostò in sostanza dalla linea da lui tracciata, tanto in politica interna quanto nei rapporti con l’esterno.
Non si conosce la data di morte di Scarpetta.
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