SCARABEO (lat.: scarabaeus forse da avvicinare al termine greco κάραβος)
Fu in Egitto collegato al culto del Sole, di cui divenne quasi un simbolo, specie per quanto ne riguarda il movimento: nello s., infatti, per la sua caratteristica di spingere una palla (di sterco) generalmente all'alba verso oriente, gli Egiziani videro un'analogia con il ciclo solare. In rapporto a questo fatto è da porsi l'uso di impiegare il geroglifico raffigurante lo s., chiamato kheper in egiziano, per scrivere anche il verbo "divenire", "sorgere", composto dalle stesse consonanti (khpr) che si trovano nel nome dello scarabeo. Come simbolo del divenire, lo s. fu poi collegato anche col culto dei morti. Da questo nasce il suo valore di amuleto che può assumere in tale culto e l'uso di deporlo nelle tombe, di aggiungervi iscrizioni a fini magici ed augurali (a partire dalla XVIII dinastia), o addirittura la consuetudine di sostituire nell'imbalsamazione, al cuore umano, uno scarabeo in pietra con una formula magica destinata ad avere presso Osiride valore propiziatorio.
Per quanto strettamente collegato, in tal modo, con riti fondamentali della religione egiziana, lo s. però non ha un proprio culto, né è molto ricordato tra gli animali sacri come gatti ed ibis, o nei testi religiosi come dono al dio Sole. Tuttavia le sue rappresentazioni sono comunissime nel mondo egizio con duplice valore e significato: mentre un gruppo di essi, infatti, si ricollega direttamente al complesso mitico-ritualistico cui si è accennato, l'altro, perdendo in intensità di significato, assume la più semplice e immediata funzione di sigillo. Alla prima categoria quindi vanno assegnate le statue colossali di granito nero, di cui si ha esempio nei musei di Londra e del Cairo, ed in cui lo s. è inteso come effigie del dio Sole; in tale funzione le immagini sono per lo più ibride: il dio cioè assume nella personificazione corpo umano e testa di s. e viceversa, oppure in qualche caso, la figura si compone con la testa del falcone-sole: Horus.
Molto più sicuro, e sotto alcuni aspetti più interessante, è il secondo gruppo in cui l'animale perdendo, o attenuando, il suo valore sacro, assume esclusivamente funzione sigillare, distinta a quel che pare dal valore cultuale, che può avere in altri casi. La produzione stessa pertanto dello scarabeo-sigillo, che si inizia allo scorcio del III millennio, assume carattere industriale per cui quindi, accanto ad esemplari di eccezionale finezza si moltiplicano, specie in alcuni periodi, altri di esecuzione sommaria e trascurata.
Per quanto riguarda la storia del sigillo in Egitto è noto che nel III millennio esso ebbe forma di cilindro, come nella civiltà babilonese; alla fine del millennio, tuttavia, si ha esempio di sigilli "a bottone", forma che è da ritenere importata nel paese, sia per il confronto con sigilli cretesi, sia per la particolarità di segni incisi che, non sono egiziani. A questa forma, scarsamente amata, si sostituì quindi il sigillo ovale che assunse poi, facilmente, forma di s., con un probabile valore sacro ed augurale, e fu foggiato nelle pietre più varie o in terracotta ricoperta di smalto vitreo colorato (cosiddetta faïence). Per quanto riguarda l'impronta sigillare i più antichi sigilli, ancora in forma di cilindro, hanno l'impronta dello scriba o del funzionario, mentre successivamente, col desiderio di avere un proprio sigillo per affari personali, compare il nome del proprietario, che pertanto ricorre sovente sui primi s. nel Medio Regno o nel secolo seguente.
Nel Nuovo Regno, invece, i nomi dei privati scompaiono e vengono sostituiti dai nomi dei re, ed in tal modo lo studio degli s. diviene importantissimo per la storia egiziana, a partire dal XIX sec. a. C., così che almeno 60 nomi di sovrani risultano noti attraverso questa fonte. Nel XVIII sec. inoltre, accanto al nome del principe compaiono quelli dei familiari. Mentre poi l'immagine dell'animale si precisa, in quanto ne vengono definite le zampe, la frequenza di esemplari grossi e mal lavorati fa pensare ad una produzione in massa, a carattere industriale. Con la XXII dinastia gli scarabei spesso portano nomi dei re dell'Antico Regno: Kheops, Khefren e Mykerinos, riconfermando il ridestato amore pel passato antichissimo del paese che è già noto da altre fonti. In questo periodo anche gli s. sono diffusissimi e, a quanto ci dicono i rinvenimenti, si propagano al di fuori dell'Egitto, a Naukratis o altrove. Se però l'interesse storico dello s. egiziano è grande, sia per quanto si è detto, sia perché i rinvenimenti di esemplari isolati in ambienti differenti possono dare importanti elementi cronologici, meno interessante è il loro apporto per la storia dell'arte, nonostante costituiscano una delle più antiche fonti per la decorazione egiziana e per lo studio dell'arte decorativa in genere.
I più antichi s. anonimi appaiono peraltro decorati con geroglifici, che si dispongono araldicamente sulla base piatta divisa per metà e che ben presto, perdendo il loro valore di scrittura, si alterano nel disegno, sovente anche intrecciandosi ed assumendo pertanto funzione puramente ornamentale. Tale carattere si accentua quando in questa prima decorazione, originata dai segni della scrittura, penetrano elementi decorativi di diversa fonte: la spirale semplice in forma di C o di S e, più raramente, il nastro intrecciato. Talora con i motivi di spirale, che tuttavia quasi mai sorpassano le due volute e che, pertanto, non raggiungono mai la ricchezza decorativa che gli stessi elementi conseguono in altri ambienti (ad esempio, nell'Età del Bronzo in Europa e nella civiltà egeo-cretese), si compone l'intera decorazione dello s. egiziano.
Il repertorio si arricchisce quando, per contatto coi sigilli asiatici e babilonesi, penetrano in Egitto, nel periodo degli Hyksos, elementi nuovi che introducono sulla faccia piatta dello s. l'uso di scene figurate, o di rappresentazioni isolate in cui le figure umane si avvicendano ad altre mostruose nelle quali sono raffigurati genî o uomini con teste di sparviero.
Nel Nuovo Regno si hanno anche s. con scorpioni, coccodrilli, occhi, ecc., rappresentazioni in cui è probabile un significato simbolico che dà al gruppo, peraltro esiguo, un possibile valore di amuleto, così come agli esemplari, databili alla fine dello stesso periodo, con iscrizioni religiose, che pongono il proprietario sotto la protezione di una divinità.
Nel complesso, per quanto riguarda la produzione in genere degli s., fasi di migliore esecuzione si alternano ad altre più povere così come esemplari finissimi compaiono accanto alla massa talora eseguita in fretta e grossolanamente. Analogamente la produzione dell'ultimo periodo tende a irrigidirsi in una eleganza formale ed accademica in cui si perde la ricchezza della fase precedente, anche essa tuttavia ben povera se confrontata ad altre espressioni artistiche o decorative in genere, in cui la civiltà egiziana ha saputo esprimersi.
La predilezione che questo tipo di sigillo ebbe in Egitto fece sì che esso divenisse facile oggetto di esportazione e che pertanto fosse imitato in più luoghi del Mediterraneo, dando origine a produzioni locali non prive di interesse. Estraneo al mondo cretese, lo s. egiziano compare in quello greco, nel periodo geometrico, e lo ritroviamo al Dipylon; a Kamiros ed in tombe cipriote coeve sono stati rinvenuti inoltre autenticis s. egiziani della XXI-XXVI dinastia (750-550 a. C.), della solita faïence, coi quali si associano prodotti di imitazione, in steatite o in pasta vitrea per lo più azzurro cupo, di fabbrica cipriota verosimilmente, in cui la rappresentazione figurata della base è data da figure umane fortemente stilizzate.
Accanto a questa produzione orientalizzante ed a quella nettamente egittizzante, per ovvie ragioni, di Naukratis, in cui talora soggetti greci si associano alla tecnica egiziana (cfr. lo S. con rappresentazione di Atena Pròmachos del British Museum, Cat. of Eng. Gems, n. 315) esemplari di imitazione egizia, coi prodotti di fabbricazione che ne sono derivati, si hanno anche in punti diversi del Mediterraneo occidentale fra i quali segnaliamo la necropoli di S. Montano ad Ischia, dove scavi recenti hanno restituito un considerevole gruppo (oltre 30) di scarabei.
Un nucleo molto interessante inoltre ne è stato restituito da Tharros (v.) in Sardegna; in esso ricorrono esemplari egiziani autentici, altri orientalizzanti di stile misto con soggetti egiziani, assiri o compositi, di produzione che si suole attribuire ai Fenici, ed altri infine di imitazione locale. Quest'ultimo gruppo si attribuisce alla fase di dominazione punica dell'isola, posteriore quindi al VI sec. a. C., e presenta scarso interesse artistico per l'esecuzione sciatta e trascurata in cui la rappresentazione, a soggetti misti, non consegue la coerenza di uno stile: un interesse documentario tuttavia presenta, oltre che per il fenomeno in se stesso, di una documentazione di industria locale, anche per lo studio del contenuto prevalentemente religioso delle rappresentazioni figurate.
In Etruria constatiamo uno sviluppo analogo attraverso il rinvenimento di prodotti egiziani, non anteriori però all'epoca della XXVI dinastia - notevole il gruppo di 7 esemplari della Tomba Polledrara a Vulci del 600 a. C. e molto bello lo S. Hamilton Gray al British Museum, da una tomba di Chiusi, con rappresentazione di Iside e Horus (Cat. of Engr. Gems, n. 272) cui fanno seguito altri fenici e infine la produzione locale eseguita su vasta scala. Questa però, per l'età stessa in cui si svolge, pur prendendo le mosse dai prototipi egizî e pur sviluppandosi con forme proprie su cui ritorneremo, risente naturalmente della coeva produzione ellenica.
Nel mondo greco infatti, dopo i primi prodotti geometrico-orientalizzanti, ai quali si è accennato, lo s. si afferma tra le forme sigillari, conseguendo nel VI sec. a. C. la maggior voga, specialmente nell'ambiente ionico. Tuttavia lo sviluppo preso dalla glittica (v.) greca e la finezza da essa conseguita porta a trascurare la rappresentazione dell'animale a vantaggio della rappresentazione figurata incisa sulla faccia piatta. Lo stesso fenomeno constatiamo per i sigilli in forma di scarabeoide stilizzato, di origine orientale, che, a partire dalla fine del VI sec., gradualmente si affiancano agli s. fino a sostituirli interamente in età classica; analogamente alle pietre precedentemente usate (corniola, calcedonia ed agata), si preferiscono con la calcedonia, i cristalli di rocca, cui si associano le agate, le sarde e la pasta vitrea, quale ci è documentata, ad esempio, da un gruppo di rinvenimenti ad Olbia. Se lo s. scompare dalla glittica greca nel corso del V sec. a. C., vita non molto più lunga ha lo scarabeoide, che comincia a diminuire, nel corso del secolo seguente, per dimensione e numero, fino a scomparire interamente, il che si giustifica con l'importanza sempre maggiore assunta dalla rappresentazione figurata nelle gemme sigillari.
In Etruria, invece, lo s. ha miglior fortuna anzitutto perché non è sostituito dallo scarabeoide, di cui si hanno solo scarsi esempî, poi perché resta di fatto la forma quasi esclusiva usata per le gemme sigillari fino a tutto il VI sec. a. C. In genere gli esemplari etruschi si distinguono agevolmente da quelli greci, sia per una trattazione più semplice e schematica dell'animale, sia per la particolarità di un bordo inciso a lineette parallele che corre intorno alla faccia piatta e sotto le zampette dello scarabeo. L'influsso greco, pertanto, si fa sentire piuttosto nella rappresentazione figurata, specialmente in rapporto ai contenuti, che nella forma vera e propria della gemma; è quindi generico piuttosto che specifico. Fonte principale per la scelta dei soggetti è il mito greco nella redazione dei grandi cicli eroici di Troia e di Tebe, ma non mancano, per quanto rare, figure alate non identificabili o rappresentazioni di divinità.
Diversità dagli s. greci si ha, invece, nella scelta delle pietre che si rivolge di preferenza alla corniola mentre molto rari appaiono il diaspro verde, il plasma, la calcedonia, nonché la sardonica e l'agata fasciata, che tuttavia diventano, almeno le due ultime, in fase più tarda, più comuni. Ed una ulteriore differenza notiamo nelle iscrizioni, che compaiono solo negli s. migliori e di età più antica e che ci rendono ora il nome del proprietario, ora quelli degli eroi rappresentati (anche se del mito greco) tradotti in lingua etrusca e trascritti in grafia locale: notevole è il particolare che mancano tra essi i nomi di incisori. Per quanto riguarda lo sviluppo cronologico della produzione, lo si è ricostruito abbastanza chiaramente: essa si inizia, come prodotto di imitazione, nel corso del VI sec. a. C. e raggiunge la fase di maggior intensità nel V sec. a. C., in età contemporanea alla più antica ceramica a figure rosse per decrescere poi gradatamente e decadere lentamente, finché nel corso del IV sec. a. C assume una fisionomia deteriore in cui l'elemento artistico si perde per effetto della maggiore industrializzazione. Caratteristico del IV sec. a. C. è anche un gruppo di S. detto "a globulo" per le particolarità tecniche dell'incisione (v. glittica), prodotto in varî centri etruschi: Tarquinia, Vulci, Chiusi, nonché nel Sannio (Alife) e nella parte meridionale della penisola italica.
Più recente è invece un ultimo gruppo di gemme di tal forma caratterizzate dal contenuto della rappresentazione figurata, per lo più costituita da animali o da simboli del mondo egizio quali ad esempio gli emblemi di Iside; databili, pare, al III sec. a. C. Essi si ricollegherebbero all'introduzione di culti e riti egizî nell'Italia meridionale e pertanto ai rapporti istituiti con Alessandria e l'Egitto tolemaico.
Bibl.: Pieper, in Pauly-Wissowa, III A, 1927, c. 447 ss., s. v. Skarabäen, con bibl. prec.; P. E. Newberry, Scarabs; an Introduction to the Study of Egypt Seals and Signet Rings, Londra 1908; A. Furtwängler, Gemmen, pp. 79 ss.; 108 ss.; 171; 176; 442; e, per la parte etrusca: P. Ducati, Storia dell'arte etrusca, Firenze 1927, pp. 143 ss.; 303 ss.; 332 ss.; 462 ss.; 519 ss. Per i rinvenimenti di Ischia e per la diffusione in genere di scarabei egizî nel Mediterraneo si veda: S. Bosticco, Scarabei egiziani della necropoli di Pithecusa nell'isola di Ischia, in La Parola del Passato, LIV, 1957, p. 215, con bibliografia.