SCAPIGLIATURA
. Va sotto questo nome un movimento letterario al quale diede vita in Milano, tra il 1860 e il 1870, un gruppo di scrittori e di artisti, diversi per temperamento, ma concordi nell'avversione al gusto dominante e alla tradizione, unanimi nella volontà di difendere l'autonomia dell'arte, di richiamarla a un più intimo contatto con la vita, a una più essenziale sincerità d'ispirazione, a una più spontanea immediatezza d'espressione. Sotto un certo aspetto la scapigliatura può essere considerata anche come un fenomeno politico e morale. Fu un tentativo d'agitare le acque della vita italiana stagnanti in un facile e ozioso quietismo, una reazione contro lo spirito borghese, pratico, utilitario, contro la povertà e la grettezza spirituale in cui si spegnevano gli eroici bagliori del Risorgimento. Al decadere degl'ideali artistici, all'orgogliosa retorica appresasi alla coscienza nazionale nel primo decennio che seguì alla formazione del regno d'Italia, il Carducci oppose la virile disciplina del suo rinnovato classicismo; gli scapigliati cercarono di evaderne attraverso una più decisa e integrale esperienza romantica. Alla radice della loro ribellione è l'oscura intuizione di una lacuna congenita all'origine del romanticismo italiano, di una deviazione implicita nel suo svolgimento. Per circostanze strettamente aderenti alla vita italiana nella prima metà del secolo scorso, gli scrittori romantici italiani, sottraendosi alla suggestione di molteplici e complesse esperienze europee, avevano risolto il fermento delle dottrine novatrici nel concetto di un'arte nazionale, popolare, espressione di comuni esigenze, di comuni passioni, di comuni ideali. Più che ascoltare sé stessi avevano mirato a riconoscersi negli altri, avevano chiesto al sentimento concorde e al generale consenso la consacrazione della loro originalità costruttiva. Così il romanticismo italiano s'era configurato con una sua fisionomia ben distinta nel quadro più vasto del romanticismo europeo; ma col venir meno delle ragioni che ne avevano assicurato la vitalità, quel suo particolare carattere era degenerato in un convenzionalismo fiacco, impersonale, incolore. Gli scapigliati si atteggiarono a novatori: erano in realtà spiriti malati di stanchezza e di decadentismo, figli di un'epoca di dissoluzione, prigionieri d'un passato che pesava sulla loro illusione di riconquistare una perduta giovinezza. Proclamarono i diritti dell'Io onnipotente, si sforzarono di costringere il mondo nella sfera della loro inquieta individualità perseguirono il miraggio ingannatore e fuggevole dell'originalità a ogni costo: ma da una parte ripresero e rielaborarono con più o meno inconscio eclettismo spunti e motivi che già avevano avuto il loro svolgimento attraverso un cinquantennio di vita intellettuale europea, dall'altra lasciarono in eredità all'avvenire poco più che un quadro di presagi e una cronistoria di tentativi falliti. Per alcuni aspetti esteriori e per certe singolarità in che amarono atteggiarsi, gli scapigliati ricordano la bohème letteraria francese ch'ebbe in Murger un cronista indulgente e suggestivo, ma l'ostentazione è soltanto alla superficie della loro ribellione, che nasce da esigenze profonde e sincere e per molti si risolve in un vero e proprio distacco dalla vita e dalla realtà, in un dramma psicologico conclusosi nel suicidio o nella disfatta morale.
Si suole considerare come padre degli scapigliati il milanese Giuseppe Rovani, che ebbe ingegno vigoroso e versatile, incline per natura al paradosso, e certe idee sull'affinità delle arti di facile voga presso un gruppo di scrittori e di artisti a lui legati da affinità spirituali e da libere e spregiudicate consuetudini di vita: orientando da una parte la forma letteraria e poetica verso il plastico, il pittorico e il musicale, e additando dall'altra un più vasto campo di esperienze alle arti sorelle. Continuatore, nelle opere di genere narrativo, della tradizione manzoniana del romanzo storico, ma dominato da esigenze più larghe d'autonomia fantastica, invece di calarsi nel mondo della sua finzione il Rovani lo domina dal di fuori, si contrappone a esso, lo soverchia con la sua individualità prepotente. Su questa strada, mirando alla totale liberazione dell'Io e a un lirismo essenziale, procedono gli scapigliati, seguendo ciascuno la propria indole e il proprio temperamento. Uno spirito inquieto fu Igino Ugo Tarchetti morto di tisi a 28 anni, autore di racconti e di liriche che contengono un tessuto acerbo e poco più che accennato di aspirazioni fugaci e mutevoli, d'impressioni continuamente ripiegate verso la confessione sentimentale e l'introspezione. Più ricca, più varia e promettente l'opera di Emilio Praga, che sarebbe stato il vero poeta della scapigliatura se una dolorosa involuzione non gli avesse isterilito l'ispirazione e distrutto la vita. Al gruppo degli scapigliati appartengono pure Arrigo Boito, musicista e poeta dall'ingegno audace, frenato da un'incontentabile disciplina; Giovanni Camerana che pose fine col suicidio a un'esistenza tormentata e pensosa; Carlo Pisani Dossi, scrittore immaginoso, stilista pittoresco, ragionatore e sottile, ma sopraffatto da un irreducibile egotismo, da un virtuosismo artificioso e sterile, da una perplessità inviluppata e amara; e ancora Salvatore Farina. Cletto Arrighi, Antonio Ghislanzoni, per non parlare dei minori e di quanti ebbero col movimento più incerti e indiretti rapporti. Fra questi Gian Pietro Lucini, nel quale si compie il processo di dissoluzione formale già implicito nell'estetica degli scapigliati.
Senza innestarsi profondamente nella storia della cultura e della vita morale italiane, la scapigliatura riflette una transizione caratteristica allo svolgimento del tema romantico nella vita moderna. Più che di un vero e proprio movimento letterario si tratta di una somma di esperienze individuali che offrono materia di studio non tanto per l'intrinseco valore di ciò che produssero nel campo dell'arte, quanto per la verità d'alcune intuizioni e per la vitalità di alcuni spunti destinati a ulteriori sviluppi e a più decisi approfondimenti.
Nel campo delle arti figurative, la scapigliatura, in quanto evoluzione di forme pittoriche, risultò dall'incontro del lirismo chiaroscurale del Piccio col colorismo di F. Faruffini. Dalla ribellione al manierismo accademico; dal romanticismo che si sforzava, senza peraltro riuscirvi appieno, di liberarsi dalle suggestioni della storia e del costume per aderire alla vita contemporanea, nacque l'arte di G. Grandi, di T. Cremona, di D. Ranzoni: quel tipico impressionismo lombardo facile e sensualistico, al quale con i già ricordati, appartennero L. Conconi, L. Bazzaro, C. Tallone, il primo Previati, E. Gola.
La scapigliatura è un'esperienza artistica cui non sarà da considerarsi al tutto estraneo il divisionismo, erede per l'appunto del suo bagaglio sentimentale e tecnico; scaduta presto nel mestierantismo, essa si può tuttavia riscontrare vivente in taluni buoni aspetti (per es., in A. Tosi) della pittura lombarda posteriore.
Il termine di scapigliati è stato anche applicato da alcuni studiosi a scrittori o gruppi di scrittori di varie età, che presentassero in qualche modo analogie con gli scapigliati milanesi: per es., atteggiamenti d'indipendenza, più o meno spregiudicata o bizzarra, dalla tradizione, o costumi di vita singolari; in particolare ad alcuni scrittori del secolo XVI, specialmente toscani (l'Aretino, F. Berni, il Lasca, O. Lando, A. F. Doni, ecc.).
Bibl.: P. Nardi, La scapigliatura, Bologna 1924; P. Madini, La scapigliatura milanese, Milano 1930; A. Galletti, Il Novecento, Milano 1935, pp. 43-74. Sulla scapigliatura artistica, E. Cecchi, Pittura ital. dell'800, Roma-Milano 1926; E. Somarè, Storia dei pittori ital. dell'800, Milano 1928; L. Nissim, Gli scapigliati della lett. ital. del Cinquecento, Prato 1921. Cfr. poi le bibl. delle voci dedicate ai singoli scrittori e artisti su nominati.