scala
Nelle opere canoniche compare solo nella Commedia, ma è presente una volta nel Fiore e una nel Detto.
Appartengono ai due poemetti gli unici esempi nei quali il vocabolo conserva il suo significato più proprio e immediato: un condannato all'impiccagione non ha for che / e' monti per la scala (Detto 339) che porta al patibolo; se Bellaccoglienza viene a sapere che un suo corteggiatore fosse pover, gittil per la scala (Fiore CLXVII 14): è questo il consiglio della Vecchia, e par lecito dubitare che la locuzione abbia solo valore metaforico.
Pur essendo suggerita da un'amara esperienza e dal ricordo delle umiliazioni e delle sofferenze patite, tutta figurata è l'immagine alla quale ricorre Cacciaguida per predire a D. l'angoscia dell'esilio: Tu proverai... come è duro calle / lo scendere e 'l salir per l'altrui scale (Pd XVII 60). Ugualmente si ha valore figurato quando compare come termine di paragone per l'agevolezza del salire: Tra Lerici e Turbìa la più diserta, / la più rotta ruina è una scala, / verso di quella [il pendio del Purgatorio], agevole e aperta (Pg III 50).
La s. è ricordata infine una volta come emblema araldico della famiglia dei signori di Verona, quella cui appartiene il gran Lombardo / che 'n su la scala porta il santo uccello (Pd XVII 72).
L'uso più frequente del vocabolo è però quello riferito al mondo ultraterreno: ‛ scale ' chiamò D. i pendii rocciosi, incisi da gradini, che collegano l'uno all'altro i balzi del Purgatorio (Pg XI 40, XIII 1, XVII 65 e 77, XXV 8, XXVII 124), e una scaletta di tre gradi breve (XXI 48) è quella, anch'essa ricavata dalla roccia, che dà accesso alla porta del Purgatorio.
In senso traslato s. è usato per indicare qualsiasi mezzo di cui ci si serva per salire o per scendere: così nell'ammonimento di Virgilio a D. allorquando i due poeti si apprestano a calare verso Malebolge sulla groppa di Gerione: Or sie forte e ardito. / Omai si scende per sì fatte scale (If XVII 82). Accanto all'ovvio significato letterale è lecito coglierne uno allegorico così definito dal Gelli: " a la cognizione dei vizi, che si commettono sotto fraude, si va con l'operazione che è impropria e accidentale all'intelletto, cioè col cercare di conoscere il male... per poterlo... fuggire ". Analogamente, sono definiti scale (XXXIV 82) i velli di Lucifero, che servono di appiglio a Virgilio e a D. avvinghiato a lui per scendere e risalire sul corpo di Lucifero. E così al v. 119. Va osservato che mentre prima D. era passato da un cerchio all'altro con i propri mezzi umani, per passare dal settimo all'ottavo e dall'ottavo al nono ha bisogno di un essere animato (Gerione, Anteo). Così pure, per scendere dal centro della terra alla natural burella, e per risalire nell'altro emisfero, si deve servire di Lucifero come di una scala (Bosco).
Con un valore anche più estensivo s. ricorre per indicare la montagna del Purgatorio o l'insieme dei cieli in quanto D., percorrendo il suo itinerario ascendente, sale fino a Dio. L'origine della metafora è esplicita ed evidente nell'avvertimento di Beatrice (Pd XXI 7 la bellezza mia... per le scale / de l'etterno palazzo più s'accende / ... quanto più si sale); ma essa è facilmente identificabile anche in Pg XXI 21, XXII 18, Pd X 86.
A qualche dubbio esegetico, che però non verte sul valore del vocabolo in sé e per sé, hanno dato luogo le parole rivolte da Virgilio a D., in If XXIV 55 Più lunga scala convien che si saglia; / non basta da costoro esser partito. I due poeti sono appena risaliti faticosamente dalla sesta alla settima bolgia; che dunque Virgilio alluda a una salita più disagevole di quella allora compiuta, è evidente. Si discute invece se la s. debba essere identificata con i balzi della montagna del Purgatorio, come credono Scartazzini-Vandelli e Casini-Barbi, o non piuttosto con la salita dal centro della terra fino a riveder le stelle (XXXIV 139), giusta l'interpretazione del Sapegno e del Porena. Quest'ultima spiegazione è più convincente dell'altra, suffragata com'è dall'accenno di Virgilio alla via... sì aspra e forte fino allora percorsa, tale che la successiva ascesa dell'altissimo monte del Purgatorio sembrerà ai due pellegrini un gioco (Pg II 66). Ancor più persuasivamente il Mattalia e il Chimenz vedono nella s. tutta la salita che i due poeti dovranno fare, dal centro della terra alla vetta del Purgatorio.
Il termine allude all'atto del salire, e vale quindi " ascesa " in senso astratto, in Pd XXVI 111, dove Adamo, rivolgendosi a D., designa Beatrice come colei che a così lunga scala ti dispuose. V. anche SCALEO.