scacciare (iscacciare)
È usato tanto in prosa quanto in poesia con il significato di " mandar via o fuori ", " costringere ad abbandonare un luogo ", in senso sia proprio che figurato: Cv IV XXIX 7 lo ma-[l]estr[u]o disceso de li buoni maggiori è degno d'essere da tutti scacciato.
In due esempi vale piuttosto " allontanare da sé ". Marzia, rimasta vedova di Ortensio, prega Catone di riprenderla in moglie per due ragioni: l'una si è che dopo me si dica ch'io sia morta moglie di Catone; l'altra, che dopo me si dica che tu non mi scacciasti (XXVIII 18), dove il verbo è libera rielaborazione dell' " expulsa " del passo di Lucano (II 345) fonte di Dante. Così pure in Fiore CLXXI 3.
Il significato del verbo si precisa in quello di " inviare in esilio ", in If XXVIII 97 Questi [Curione], scacciato, il dubitar sommerse / in Cesare, cioè spense in Cesare il dubbio se passare o no il Rubicone: la guerra civile gli avrebbe permesso di tornare a Roma; anche in questo caso la fonte è Lucano (I 278-279 " pellimur e patriis laribus, patimurque volentes / exilium "). Analogamente Falsembiante, alludendo agli eretici sottoposti a processi terminati con la morte o con il bando degli accusati, si vanta di averne distrutti molti e iscacciati (Fiore CXXVI 13).
Ha il senso di " sospingere ", " far camminare continuamente e in fretta ", in If XVIII 81, dov'è descritta la pena dei ruffiani (la traccia... / che la ferza... scaccia) sferzati dai diavoli (per la variante schiaccia, v. Petrocchi, Introduzione 179-180).
In due esempi ricorre in senso figurato, pur conservando il valore fondamentale. In Rime LXX 10 sì m'ha in tutto Amor da sé scacciato, / ch'ogni suo atto mi trae a ferire, compare in connessione con il tema dello sdegno di Amore, dunque di Beatrice, e con quello dell'angoscia soggettiva del poeta. Si collega invece con il motivo della facoltà della vista offuscata dal soverchiare dell'affetto in Vn XIV 12 14, dove li scacciati sono gli spiriti (v. 9) della vista del poeta, ‛ pinti ' di fore (v. 10) da Amore.