SBALZO (fr. repoussé)
È la tecnica della lavorazione del metallo in piastra sottile, condotta in modo da far risaltare le figure in rilievo; tecnica che viene usata anche con altri metalli, oltre all'oro e all'argento, come il rame, lo stagno e il ferro.
Antichità. - La lamina metallica (λεπίς, πέταλον, bractea) era ridotta alla sottigliezza voluta a forza di martello (operazione chiamata ἐξελαύνειν, laminam ducere), e quindi decorata di forme e figure in rilievo: tale decorazione si otteneva anch'essa con un successivo e delicato lavoro di martello; donde il nome greco generico di σϕυρήλατα, ovvero opere "condotte a martello". Il lavoro poteva venire eseguito sia mediante una forma, in metallo duro, in pietra, in terracotta, sia a mano libera (έκκρούειν o κροτεῖν, excudere). Anche questa tecnica era abbinata per lo più alle altre tecniche del metallo, perché, per es., un abbozzo delle figure in sottile graffito sulla parte posteriore della lamina precedeva usualmente il lavoro del martello, come seguivano a questo il rifinimento delle figure e l'aggiunta di particolari mediante il cesello, talora inoltre la doratura o l'argentatura, l'incrostazione di metalli diversi e di pietre preziose per alcuni particolari o la niellatura di tratti cavi.
In Egitto, come in Caldea, fino da antichissimi tempi era in voga il costume di adattare piccole lamine metalliche all'anima di legno o d'argilla di statue o di monumenti scultorei diversi (per es., statua di Pjôpe I al museo del Cairo): tecnica di cui v'ha anche menzione per la primitiva scultura ellenica (ἐμπαιστικὴ τέχνη), e di cui fino in periodo classico era rimasto l'esempio nella statua di Zeus Hypatos di Clearco, che Pausania poté vedere ancora nel tempio di Atena Chalkioikos a Sparta; soltanto però un trovamento dell'ottobre 1935 nella città cretese di Dreros ci ha fornito anche per la Grecia un'interessante documentazione monumentale di tal genere di prodotti, precisamente del sec. VII a. C., con un gruppo di statuette stanti, maschili e femminili (la più grande, maschile, alta circa m. 0,60), tutte formate da molteplici lamine battute e saldate con chiodetti, che ricoprivano un'anima di legno andata perduta. Ma altri recenti scavi ci hanno fornito documentazioni anche di monumenti di avanzata e raffinata lavorazione in vero e proprio sbalzo già nei più remoti tempi dell'arte sumera, fino cioè dagl'inizî del III millennio, se non avanti, e non solo per lo sbalzo di semplici scanalature o decorazioni geometriche nelle ricchissime oreficerie e nel vasellame prezioso di Ur, né per lo sbalzo appena accennato, e rifinito da un'accurata opera di cesello, della famosa parrucca in oro massiccio di Meskalamdug, ma per opere a tutto tondo meravigliosamente progredite e vive, come le teste d'oro e di lapislazzuli, d'argento e di rame, delle prime dinastie di Ur e di Tello, o come le altre teste di animali ornanti le mirabili cetre di Ur. Gli scavi di Ur hanno fornito inoltre un esempio, per quanto assai frammentario, del rilievo con decorazioni animali e narrative su ampie superficie laminate, in un piccolo pezzo di scudo in rame dalla "Tomba del re": esempî di grande arte, databili attorno al 3000 a. C., che ora spiegano la possibilità e giustificano l'esistenza del mirabile monumento di cesellatura, prima isolato per una così alta antichità, rappresentato dal vaso di Entemena (V, p. 763, fig.). L'influenza della metallotecnica sumera sembra essersi irradiata già da questa antichissima età fino alle regioni del Caucaso e del Mar Caspio: per somiglianza di forma e di elementi decorativi si accostano infatti ai trovamenti di Ur e al vaso di Entemena alcuni oggetti come quelli dei tesori di Astrabad, città persiana a sud-est del Caspio, e di Maï Kop nel Caucaso. Ma lasciando questi esemplari isolati e d'incerta datazione, è. più che verosimile che l'abilità tecnica e la capacità artistica nella lavorazione dei metalli si siano conservate attraverso a tutta la storia della civiltà mesopotamica, per la quale però la scarsità dei ritrovamenti rende assai lacunosa la nostra conoscenza; possiamo citare così, per la metà circa del II millennio a. C., un bel vaso bronzeo del Louvre (cfr. G. Contenau, Manuel d'archéol. orientale, II, Parigi 1931, p. 915, fig. 632), ornato intorno al corpo di due serie di equini e di bovini con le teste sporgenti a tutto tondo.
L'età assira, offre taluni grandiosi monumenti in lamine figurate, perfettamente databili, quali sono le famose porte di Balawat costituite da pannelli di bronzo alti ciascuno circa 25 cm., originariamente attaccati alle imposte lignee alte oltre 6 m. e larghe 2, appartenenti al palazzo di Salmanassar III (859-825 a. C.) e glorificanti le sue imprese guerresche (XXVII, tav. CCXXIX).
Nell'arte egizia, tralasciando le più antiche testimonianze di vasellame o suppellettili metalliche lavorate a martello, i primi monumenti con decorazioni figurate a sbalzo e con fini ritocchi di bulino, si hanno in un paio di tazze auree, della fine della XVIII e della XIX dinastia, di cui la più celebre è la tazza di Tḥutmóśe III. Quanto l'arte egizia dello sbalzo poteva creare per le maschere auree dei sarcofagi reali, per rivestimenti di mobili, spalliere di troni, scrigni, carri, sostegni, casse di sarcofagi, ecc., ha mostrato, per citare un esempio solo ma il più impressionante, la scoperta della famosa tomba di Tut‛anḫamôn.
Per la grande voga che ha avuto la tecnica dello sbalzo nelle fiorenti industrie metallotecniche della Creta minoica, v. cretese-micenea, civiltà, XI, p. 887 seg. Nelle squisite suppellettili dei grandi palazzi cretesi, e delle regge del Peloponneso, nelle vistose brocche, nelle ampie patere, nelle coppe, nei bicchieri, di bronzo o di metalli nobili, la cui produzione risale indubbiamente almeno all'epoca dï Kamares, troviamo una viva illustrazione dei più preziosi prodotti d'arte menzionati da Omero, come il lebete ἀνϑεμόεις offerto in premio da Achille (Il., XXIII, 865), o come il calice d'oro con le colombe che bevono sugli orli, dalle tombe a fossa di Micene, che illustra il famoso vaso di Nestore (Il., XXI, 632). Nel momento del più rigoglioso sviluppo dell'arte minoica, il rhyton d'argento a testa leonina da Micene, e le coppe di Vaphiò (XI, p. 887, fig. 68) ci offrono mirabili esempî dell'arte dello sbalzo, sia per monumenti in tutto tondo sia per decorazioni in rilievo, queste ultime con un'esemplificazione stupenda anche dal lato tecnico: ché l'artista ha ricavato il rilievo, dopo avere trasformato un massiccio disco aureo, a colpi di martello, in una sottile lamina tutta di un pezzo, lavorando con prudenti colpi di martello dall'interno della lamina, aggiungendo poi ritocchi di bulino dall'esterno, e ricoprendo il cavo interno della lamina con una seconda calotta di lamina liscia. Ammirevole prodotto di questo periodo è pure il rhyton argenteo di Micene con scene d'assedio di una città (v. arciere); nella V tomba a fossa s'è conservato anche il rivestimento in lamine auree, decorate con scene di animali, di una cassetta in legno. Nelle medesime tombe a fossa abbiamo le famose maschere mortuarie (XI, p. 887, fig. 69) di cui l'uso è rimasto vivo assai avanti anche nella civiltà ellenica, a quanto hanno dimostrato fra altro i recenti rinvenimenti di Trebenište e di altre necropoli della Bulgaria meridionale. Vasi, lamine per rivestimento di utensili, o lamine decorative singole, brattee, vezzi aurei di collane, rappresentano la produzione della tecnica a sbalzo anche per tutta l'età tardo-minoica, fino alla decadenza e all'esaurimento della civiltà micenea: ricordiamo per questa più avanzata arte micenea, perpetuatasi fuori dai più antichi confini della civiltà minoica, il tesoro di Enkomi a Cipro, e i resti di due vasi bronzei ciprioti, uno a New York e uno nel museo di Nicosia, con simili figurazioni del caratteristico demone leonino minoico sulle anse, e altre decorazioni a sbalzo sul labbro.
I recenti rinvenimenti di Biblo, di Ras Shamra, di Arslan-Tash, ecc., ci dimostrano come verso la fine dell'età del bronzo, e anche più giù agl'inizî dell'età del ferro, l'arte minoica abbia trovato una prosecuzione e un'evoluzione sulle coste della Siria e della Fenicia; per quanto riguarda la tecnica dello sbalzo, citiamo i due più splendidi oggetti aurei restituiti recentemente da Ras Shamra, cioè una coppa e una patera databili circa al sec. XIV. È sotto queste molteplici influenze, provenienti dall'Egeo, dall'Oriente, dall'Egitto, che fioriva sullo scorcio del millennio l'arte fenicia, con la sua eclettica ma rigogliosa produzione di suppellettili sbalzate, che incontrava tanto favore fino nelle regge assire, come dimostrano soprattutto le celebri tazze di Nimrud, che trovava larga e docile imitazione nelle scuole metallotecniche della vicina Cipro, e che otteneva soprattutto tanta ammirazione e tanto smercio nei paesi prossimi del Mediterraneo, durante il ristagno dell'arte seguito al declino della civiltà micenea e all'invasione ellenica, com'è attestato dalle epopee omeriche e dalla tradizione greca, e documentato dal rinvenimento di tazze e bacinelle fenicie a Creta, in Grecia, in Italia.
Sotto lo stimolo dell'imitazione fenicia, per merito del rinnovato contatto con l'Oriente, verso la fine del sec. IX a. C. Creta era di nuovo il centro delle fabbriche più operose e più brillanti dell'arte metallurgica all'inizio della civiltà ellenica: della feconda produzione di queste fabbriche, soprattutto di scudi votivi, di patere, di timpani, abbiamo dato esempî, per la lavorazione a tutto tondo, nelle teste leonine che sorgone a umbone nel centro degli scudi, e per la decorazione figurata in rilievo (v. creta, XI, p. 850, figg. 1 e 2); ricordiamo ancora un coperchio di urna cineraria da Arkades, importante per lo studio della tecnica, perché parte della decorazione in sbalzo non è stata mai eseguita, mentre è ultimato il disegno preliminare a incisione. Le fiorenti fabbriche metallurgiche cretesi rimasero in vita almeno per tutto il sec. VII a. C., come dimostrano i ritrovamenti di Asso, fra cui, per es., il bellissimo elmo ornato da pegasi sbalzati, e da draghi incisi sul frontale. Da Creta è stata certamente influenzata quindi la produzione metallotecnica del Peloponneso, dove vanno menzionate, per i principî di quest'arte, due magnifiche corazze di Olimpia, una grande lamina di Sparta, ecc. Poi famose nell'antichità divengono le officine metallurgiche di Corinto, per le quali ricordiamo i ricchi rinvenimenti già sopra menzionati di Trebenište e di Duvanlij nella Bulgaria meridionale, con una quantità di vasellame, di armi, di placche ornamentali diverse, in cui gran parte della decorazione è lasciata allo sbalzo mentre sull'orlo dei vasi sono aggiunte spesso figurine a tutto tondo, o in tecniche diverse. Altre fabbriche elleniche di età arcaica e classica probabilmente hanno risieduto nella Magna Grecia, come a Taranto; queste fabbriche italiote, o le consorelle fabbriche elleniche, hanno esportato varî esemplari anche in Tracia e in Crimea. Passando all'età ellenistica, per le doviziose suppellettili di cui, secondo i gusti orientali, si compiacevano le corti dei principi greci, dobbiamo le più cospicue documentazioni soprattutto alle tombe della Crimea e della Scizia: notiamo ancora tutta la purezza e la finezza dell'arte ellenica in una tazza argentea del museo di Berlino con una vezzosa testa di giovinetta.
Già le civiltà italiche dell'età del bronzo hanno conosciuto una cospicua fioritura di suppellettili enee, con disegni geometrici, o semplici linee o bullette impressi a sbalzo, suppellettili notevolmente arricchite e illeggiadrite durante l'epoca del ferro, specialmente nelle svariate forme e decorazioni di vasi delle necropoli villanoviane, in cui lo sbalzo va sempre accompagnato alla decorazione bulinata e punteggiata. Ma il meraviglioso ed esuberante rigoglio che ha manifestato l'arte dello sbalzo sino dagl'inizî della civiltà etrusca, è testimoniato nelle primitive tombe a fossa e a circolo e si afferma maggiormente nelle più doviziose tombe a camera, fra cui basta nominare le tombe Bernardini e Barberini di Preneste e la tomba Regolini-Galassi di Cere, con le loro innumerevoli e inestimabili suppellettili di lebeti, tripodi, scudi, utensili di toletta, fibule, pettorali, ecc., d'oro, argento e bronzo. L'arte continua a prosperare, e a offrire prodotti celebri, lungo tutto lo sviluppo della civiltà etrusca: nel periodo arcaico, per es., con i troni dei canopi chiusini, o con busti a tutto tondo in lamina bronzea, come il noto busto femminile della tomba della Polledrara, di Vulci, e nei periodi ionico-attico e attico, con le più svariate lamine figurate, applicazioni a mobili e a oggetti diversi, spalliere e laterali di cocchi, come quelli celebri di S. Mariano e di Monteleone di Spoleto (VI, tav. CCXXXII), oltre che con le consuete armi, oreficerie e altri oggetti, in cui allo sbalzo si accompagnano le altre diverse tecniche metalliche. Una notevole influenza etrusca si diffonde anche, verso la fine del sec. VI, e nel secolo seguente, nella produzione a sbalzo della regione felsinea, di cui è capolavoro la famosa situla della Certosa; mentre meno palese è l'influenza etrusca nelle consimili situle dell'Italia settentrionale, fra cui vanno messe in prima linea quelle di Este, che appartengono piuttosto a quella corrente d'arte bronzistica che, dall'Oriente e dalla Grecia, con echi sempre più lontani e manifestazioni locali, s'irraggia nelle civiltà dette di Hallstatt e di La Tène, nell'Europa centrale e in Gallia.
Soprattutto in tecnica a sbalzo sono eseguiti la maggior parte degli oggetti dei famosi tesori di Boscoreale, di Hildesheim, di Bernay, della casa del Menandro a Pompei, nei quali Roma si palesa l'erede tanto dell'arte quanto dello sfarzo delle grandi corti ellenistiche.
Sarebbe ormai difficile seguire, anche per somme linee, la copiosa e multiforme produzione dell'arte dello sbalzo per tutto l'impero romano. L'abilità artistica e la ricchezza degli oggetti metallici non accennano a diminuire col declinare della potenza dell'impero. Anche per questa età più avanzata vasti e preziosi tesori di vasellame d'oro, d'argento e di bronzo hanno restituito soprattutto le tombe della Crimea e della Russia meridionale; piatti, coppe e tazze d'argento sono state ritrovate a Cipro, in Asia Minore, in Siria: tra esse va ricordato il calice d'argento dorato detto "di Antiochia", probabilmente un calice rituale cristiano della fine del sec. IV o del principio del V: ormai invero dall'arte pagana l'arte cristiana eredita la tecnica per adornare i suoi oggetti rituali, cassette, teche, reliquiarî. Contemporaneamente in Italia, e per uso ufficiale, vengono creati i "dischi" argentei imperiali o consolari, fra i quali citiamo quello bellissimo di Teodosio, della fine del sec. IV, a Madrid. Ma anche più in là, ormai a cavallo fra l'età antica e il Medioevo, l'arte metallica dello sbalzo conserva la sua grazia e la sua finezza ereditate dall'arte classica, quali ci mostra, ad es. un piatto argenteo, databile appunto verso la fine del sec. V., con la rappresentazione dell'India.
Medioevo ed età moderna. - All'arte medievale lo sbalzo provenne dall'età classica; e alla tradizione classica si riallacciano infatti i primi monumenti cristiani di questa tecnica (come la capsella di S. Nazaro a Milano o il cofano dell'Esquilino al British Museum di Londra), dove pure già affiorano nuove forme e nuovi motivi, sia per la trasformazione in atto dell'iconografia, sia per gl'influssi orientali qua e là evidenti. Questi influssi dovevano manifestarsi anche attraverso la larga importazione dall'Oriente bizantino e dalla Siria di argenterie lavorate a sbalzo, di cui ci fu a Costantinopoli una notevole produzione nella prima età d'oro dell'arte bizantina (sec. VI), che si ricollegava tuttavia anch'essa alle tradizioni classiche pur riflettendo la progressiva alterazione dello stile (clipei imperiali o consolari, reliquiarî, gioielli, ecc.). Nei secoli successivi appare anche nell'arte barbarica la tecnica dello sbalzo, in lamine d'oro, accanto a un sempre più frequente uso dello stampo; mentre meno intensa è la produzione locale italiana, almeno a giudicare dai monumenti conservati (uno di questi è la croce del museo di Cividale del sec. VIII); di altri ci dà notizia il Liber pontificalis che sotto Adriano I (morto nel 795) ci parla delle porte di San Paolo, e di varî bassorilievi in San Pietro e in San Lorenzo fuori le mura, fatti di foglia d'oro e d'argento, e quindi probabilmente lavorati a sbalzo. Col sec. IX la metallotecnica carolingia fa sentire anche in Italia il suo influsso, attestato dalla custodia argentea di Pasquale I (Roma, Sancta Sanctorum) e più dall'altare di Sant'Ambrogio in Milano, che è il maggiore esempio di quel tempo; ma la produzione locale non è paragonabile alla ricchezza di quella dei paesi del Settentrione, dove gemme sporgenti dai castoni e filigrane circondano le figure sbalzate (coperta dell'evangeliario di Lindau del Codex Aureus a Monaco, ciborio dell'imperatore Arnolfo). La tradizione carolingia persiste anche nei secoli X e XI accusando però sensibili influssi bizantini (paliotto d'oro di Enrico II nel museo di Cluny a Parigi); centri maggiori di produzione furono allora in Germania specialmente Treviri ed Essen e più tardi Hildesheim. Ma s'intravvede ormai anche nell'oreficeria il rinnovamento romanico della scultura sia in Italia e sia oltralpe. In questo periodo il cosiddetto prete Teofilo ci descrive il processo di questa tecnica nella sua Schedula diversarum artium, e la produzione specialmente francese si afferma notevole sia per la bellezza degli oggetti (coperte auree di libri, reliquiarî del tesoro di Conques), sia per i nomi che vi sono legati dei maggiori artefici di quel tempo (Godefroid de Claire, Nicola di Verdun, ecc.). In Italia i modi della scultura lombarda trovano la loro corrispondenza in lavori talvolta anche di gran mole (crocifissi di San Michele di Pavia e del duomo di Vercelli; croce del duomo di Brescia; paliotto di Città di Castello); mentre, specialmente a Venezia, sempre più si riafferma l'influsso dell'arte bizantina che nella sua seconda età d'oro, all'epoca dei Macedoni e dei Comneni, vide un rifiorire rigogliosissimo di questa tecnica, talvolta anche combinata con lo smalto, in bassorilievi, in arredi ecclesiastici, in cornici di icone, in croci, dove non è infrequente anche un nuovo riflettersi della tradizione classica (esempî nel tesoro di San Marco a Venezia, sia della produzione bizantina, sia delle imitazioni fattene in Italia; anche l'abate Desiderio di Montecassino fece fare a Costantinopoli immagini in argento sbalzato e dorato). Questa sostanziale persistenza, pur attraverso la varietà dei tempi e dei luoghi, della tradizione antica è alquanto attenuata nel periodo gotico che, accanto alle statuette, ai busti e alle figure in altorilievo di rame degli orafi limosini, e alle legature, alle cornici e ai rivestimenti di icone di quelli bizantini, ormai avviati alla decadenza, annovera anche monumenti importantissimi come, in Italia, l'altare d'argento del duomo di Pistoia e varî busti-reliquiarî. In Germania i modi gotici continuano anche nel sec. XV e la tecnica dello sbalzo, che giunge a prevalenza assoluta nell'oreficeria profana, influisce sulle forme stesse, dando origine a quelle che meglio corrispondono agli effetti suoi più caratteristici e che secondano i suoi procedimenti. Nel Quattrocento italiano lo sbalzo non è ormai più la tecnica principale dell'oreficeria, ma continua ad essere usato, in Italia e in Francia, anche nel sec. XVI, come ci attesta il trattato del Cellini, che con quella tecnica fece gioielli, vasi, figurine d'oro e d'argento, ecc. Al Rinascimento risalgono anche i migliori prodotti del ferro sbalzato; le armature della fine del sec. XV sono capolavori d'arte e di solidità che escono dalle officine dell'Europa centrale non meno che da quelle di Spagna e di Lombardia: sono per lo più armature e scudi da parata che portano spesso i nomi dei maggiori armaioli del tempo, ma che talvolta sono vere opere di oreficeria avendo molte parti coperte di dorature e di ornamenti.
Dopo la metà del sec. XVI il ferro sbalzato fu materia di ornamento anche nel mobilio domestico (stipi di fabbricazione milanese, cofanetti, ecc.), in figure e ornamenti a rilievo su piastre poi talvolta ageminate e, in Francia, anche in piastre per serrature.
L'uso dello sbalzo diminuisce molto dopo il sec. XVI: l'arte decorativa non riflette più direttamente, come un tempo, l'avvicendarsi e l'evolversi delle tendenze scultorie; e i suoi prodotti, ridotti alla semplice funzione ornamentale, non hanno più ragione di richiedere particolare abilità tecnica; questo spiega perché anche in Germania, dove pure esso era stato non ultima causa del predominio europeo dell'oreficeria tedesca nel tardo Rinascimento, già al tempo di Luigi XIV quella tecnica fosse notevolmente trascurata, e perché essa non sia più tornata in vero onore, di fronte al favore sempre maggiore di cui ebbero a godere processi più rapidi, come lo stampo, o addirittura meccanici. I tentativi di farla rifiorire nel sec. XIX nell'Europa centrale, in Inghilterra, in Francia risentono della scarsa originalità degli stili decorativi predominanti e non hanno avuto seguito alcuno, all'infuori di quello cui può aver dato occasione una moda più o meno tenace.
Nell'arte musulmana lo sbalzo fu usato soprattutto per il rame: esempî notevoli se ne hanno nel sec. XII, che rappresentano però già una tecnica assai evoluta, la quale mantiene il suo valore anche quando è impiegata come semplice accessorio nella decorazione.
Una materia con cui pure s'impiega la tecnica dello sbalzo è il cuoio, naturalmente con arnesi e procedimenti diversi da quelli dei metalli: il periodo migliore della produzione di casse, cofanetti, custodie, ecc., in tale materia va dal sec. XIII al XV e comprende la Germania, la Francia e l'Italia; nella prima il processo fu anche adoperato nelle legature di libri durante il sec. XV.
V. tavv. CLXXVII-CLXXX.
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