SAWDAN
SAWDĀN. – Nulla sappiamo delle origini familiari di questo abile e risoluto capo militare musulmano che intorno all’857, a seguito dell’uccisione di Mufarrağ ibn Sallām, prese il potere nel principato saraceno di Bari.
Il Kitāb al-῾uyūn wa ᾿l-ḥadā᾿iq fī aḫbār al-ḥaqā᾿iq (Libro delle fonti e dei giardini riguardo la storia dei fatti veridici), una cronaca araba del XII secolo, che recupera notizie da fonti dei due secoli precedenti, ricordando molto velocemente la sua cattura a opera dei Franchi nell’871, gli attribuisce la nisba, il soprannome che nell’onomastica araba può indicare anche la provenienza geografica, al-Māzarī, che farebbe pensare a un suo legame con la città siciliana di Mazara (Musca, 1967, p. 62). Tuttavia, la grafia dell’unico testimone che ci ha conservato il testo del Kitāb al-῾uyūn, incerta e di non semplice lettura, potrebbe restituire una nisba diversa, al-Māwrī, tradizionalmente intesa come indizio dell’origine africana del signore di Bari, che recentemente ha fatto ipotizzare, invece, una sua origine yemenita da collegare al villaggio di Māwr, nella regione della Tihāma sul Mar Rosso (Di Branco, 2011, p. 10).
La città adriatica, conquistata nell’847 dai musulmani guidati da Ḫalfūn al-Barbarī, l’unico fra i signori musulmani di Bari per il quale si può affermare con certezza un’origine berbera, era diventata nel giro di pochi anni capitale di un piccolo principato capace di ricoprire un ruolo di primo piano grazie alla debolezza delle strutture politiche e militari dell’Italia meridionale longobarda e di partecipare attivamente alle dinamiche che vedevano contrapposti i principi cristiani. Il secondo signore musulmano di Bari, Mufarrağ, che secondo il cronista iracheno al-Balāḍūrī aveva esteso il suo dominio su ventiquattro centri fortificati, fu ucciso intorno all’857 in occasione di un tumulto scoppiato tra i Saraceni baresi insoddisfatti della sua guida, forse giudicata troppo morbida nei confronti dei territori longobardi e, per questo, poco redditizia.
Al posto del secondo signore musulmano di Bari, Mufarrağ, fu scelto Sawdān, personaggio evidentemente ben conosciuto nell’ambito della comunità musulmana, che intraprese subito una politica più aggressiva, devastando le terre del principato longobardo di Benevento con l’intento di procurarsi bottino e catturare uomini, donne e bambini da destinare al ricco mercato mediterraneo degli schiavi. Adelchi di Benevento, incapace di contrastare efficacemente le scorrerie musulmane, si vide costretto a concludere una pace poco onorevole con Sawdān, che prevedeva il pagamento di tributi e la consegna di ostaggi e poneva il principe longobardo in una posizione di sostanziale subalternità rispetto al signore di Bari.
Tra l’858 e l’859, Sawdān aggredì le terre campane: i territori di Capua e Conza furono devastati e l’esercito saraceno, dopo aver saccheggiato la Liburia, giunse fino alle porte di Napoli. Una piccola coalizione di forze cristiane, guidata dai gastaldi Guandelperto di Boiano e Maielpoto di Telese, da Gerardo conte dei Marsi e da Lamberto duca di Spoleto, cercò di impedire alle forze saracene, reduci dal saccheggio delle terre campane, il rientro a Bari e costrinse Sawdān ad accettare lo scontro campale, ma fu pesantemente sconfitta: le forze longobarde, incapaci di coordinare il loro attacco, subirono perdite ingenti e lasciarono sul campo i due gastaldi e il conte dei Marsi.
Le testimonianze cronachistiche latine mostrano chiaramente Sawdān costantemente impegnato in grandi operazioni di saccheggio a danno dei territori longobardi, che hanno le caratteristiche di vere e proprie campagne militari tese a estendere l’egemonia musulmana, secondo una logica che vede esclusa buona parte della Puglia, evidentemente sottomessa all’autorità del signore di Bari, e il principato di Salerno, con il quale Sawdān intratteneva intensi rapporti diplomatici e probabilmente aveva stretto un accordo di non belligeranza.
Nella Quaresima dell’861, dopo aver incendiato la città di Ascoli Satriano per ragioni a noi ignote, Sawdān diresse le sue truppe contro il grande monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno, costrinse i monaci alla fuga, si impadronì degli arredi sacri e degli altri oggetti di valore e, per non procedere oltre nel saccheggio e nella distruzione degli edifici non ancora incendiati, si fece versare dai monaci la considerevole cifra di tremila soldi d’oro; quindi, estorta la stessa somma a Montecassino, con rapidità sorprendente si portò nei pressi di Capua, devastando i territori attraversati e catturando molti prigionieri.
Nello stesso anno riprese con maggiore convinzione un’iniziativa del suo predecessore per ottenere il riconoscimento formale del suo potere. Infatti Mufarrağ, nell’853, si era rivolto al direttore della posta e della polizia in Egitto, vale a dire al ministro che vigilava sull’operato dei governatori delle province, per ottenere dal califfo abbaside la nomina a wālī, ovvero a governatore legittimo della nuova provincia conquistata, con la motivazione che solo in quel modo sarebbe uscito dal novero degli usurpatori o detentori di un potere di fatto e avrebbe potuto assumere la funzione di guida in occasione della celebrazione della preghiera pubblica del venerdì. Sfumato nel nulla il primo tentativo, nell’861 Sawdān inviò un ambasciatore a Sāmārra, residenza degli Abbasidi, direttamente al califfo al-Mutawakkil per rinnovare la richiesta. La morte del califfo, sul finire dello stesso anno, bloccò l’iniziativa che fu ripresa nell’862 dal nuovo califfo, al-Musta’īn Billāh; questi ordinò a Ūtāmiš, governatore del Maghreb, di concedere la nomina richiesta a Sawdān, nomina che, dopo un’altra battuta d’arresto dettata dalla morte dello stesso Ūtāmiš, avvenuta nel giugno dell’863, fu alfine concessa dal nuovo wālī del Maghreb, Waṣīf.
Il fatto poi che, tanto nel primo quanto nel secondo tentativo, la richiesta di legittimazione fosse rivolta al califfato abbaside potrebbe mostrare la volontà dei nuovi signori di Bari di sganciarsi dai potentati musulmani del Mediterraneo occidentale e, in particolare, dagli emiri aghlabiti di Qayrawān (Tunisia); al tempo stesso, però, le motivazioni avanzate a sostegno della richiesta mostrano l’adesione dei capi dell’insediamento barese alla scuola giuridica ḥanafita, propria del califfato abbaside, che imponeva la presenza di un’autorità riconosciuta dal califfo in occasione della preghiera pubblica del venerdì, circostanza non prevista dalle altre scuole giuridico-religiose sunnite e, in particolare, non contemplata dalla scuola malikita seguita dagli Aghlabiti, governatori dell’Ifrīqiya.
Nella struttura gerarchica del mondo musulmano del IX secolo, il wālī, così come l’amīr, era il governatore di una provincia dell’impero abbaside con funzioni civili, militari e religiose. I due termini, pertanto, possono essere considerati equivalenti, non avendo ancora il secondo assunto una funzione esclusivamente militare; per questo, Sawdān, il solo a essere formalmente riconosciuto come wālī dall’autorità del califfo, viene solitamente indicato come emiro di Bari, titolo impropriamente usato, a volte, anche per i due personaggi che prima di lui avevano governato l’insediamento musulmano barese e per altri personaggi che si imposero alla guida di realtà limitrofe (Taranto, Amantea). La piccola colonia di avventurieri saraceni si era così trasformata in un piccolo Stato musulmano riconosciuto dal califfo e capace di approfittare delle divisioni intestine al mondo longobardo per instaurare un dominio stabile su buona parte della Puglia. E se Mufarrağ aveva fatto costruire una moschea cattedrale per la preghiera comune, Sawdān, secondo la testimonianza di Costantino Porfirogenito, fece costruire un palazzo, centro e simbolo del suo potere, segno che parte delle ricchezze acquisite con le razzie e con il commercio degli schiavi veniva reinvestito in una consapevole attività urbanistica di natura pubblica.
Nel frattempo, non si interruppero le operazioni di saccheggio delle terre dell’Italia meridionale e la cattura di schiavi cristiani: probabilmente nell’862 Sawdān pose l’assedio a Conza per quaranta giorni, quindi ripiegò ancora una volta nella valle del Volturno, occupò Venafro (oggi in provincia di Isernia), che divenne la base momentanea delle sue operazioni, e tornò a devastare le terre del monastero di Montecassino. In una data imprecisata, presumibilmente collocabile tra l’863 e l’865, tentò anche di prendere Oria, importante città pugliese fortificata e sede di una nutrita comunità ebraica, ma il tentativo, basato su negoziati condotti all’ombra di una evidente pressione militare, non sortì alcun effetto.
Il consolidamento delle conquiste musulmane in Puglia e le continue devastazioni dei beni delle grandi abbazie benedettine e delle aree governate da principi longobardi determinarono, alfine, l’intervento militare di Ludovico II. La campagna dell’imperatore ebbe inizio sul finire dell’865 con la chiamata alle armi delle forze del Regno italico e la convocazione degli armati a Lucera per la fine di marzo dell’866. Rafforzata l’autorità imperiale nel Mezzogiorno e ricondotti a una momentanea obbedienza i principi longobardi, nella primavera dell’867 Ludovico con il suo esercito mosse contro Bari.
Il primo scontro si risolse a favore di Sawdān, ma il progredire della campagna costrinse i Saraceni a rinchiudersi nella munitissima città adriatica, protetta a sud da solide mura e a nord dal mare: l’imperatore conquistò e dette alle fiamme Matera, stabilì il suo quartier generale a Venosa e mandò un reparto del suo esercito a occupare Canosa, quindi, con il posizionamento delle macchine da guerra, dette inizio all’assedio di Bari e, per impedire le comunicazioni con Taranto, fece occupare Oria. Le operazioni di assedio si rivelarono alquanto difficoltose, soprattutto per l’incapacità, da parte cristiana, di porre il blocco navale alla città e a causa del fatto che un esercito franco inviato da Lotario I al fratello Ludovico, colpito dalla peste e fiaccato dalla calura estiva, fu costretto a ripiegare verso nord. Lo stesso imperatore, in più occasioni, sospese le operazioni di assedio e rientrò a Benevento con il grosso del suo esercito.
All’inizio dell’868 iniziarono le trattative tra Ludovico II e Basilio I, nuovo imperatore d’Oriente, in vista dell’isolamento di Bari da completare con l’intervento della flotta bizantina: nel settembre dell’869, un’imponente armata navale composta da quattrocento navi e comandata da Niceta Ooryphas si presentò al largo di Bari ma, dopo un vano tentativo di assalto alla città, fu costretta ad abbandonare l’impresa perché non supportata da un esercito di terra, visto che i Franchi avevano allentato le operazioni di assedio e si limitavano a presidiare con poche truppe il campo trincerato costruito a ridosso delle mura baresi. Evidentemente le convergenti pretese sulle terre pugliesi dei due imperatori generavano diffidenza reciproca e, impedendo il coordinamento delle forze franche con quelle bizantine, non consentivano una efficace e risolutiva azione militare.
Sul finire dell’869, Sawdān riuscì a organizzare una fortunata sortita: approfittando del fatto che l’imperatore ancora una volta si stava ritirando verso Benevento per trascorrervi i mesi invernali, le sue truppe assalirono e depredarono le retroguardie dell’esercito franco, s’impadronirono di una grande quantità di cavalli e attaccarono e devastarono il santuario di S. Michele Arcangelo sul Gargano, centro spirituale della Longobardia meridionale; quindi fecero ritorno a Bari cariche di bottino. L’operazione servì, ovviamente, per procurare beni necessari per sostenere l’assedio, ma anche per mostrare alle popolazioni cristiane tornate sotto il dominio franco-longobardo che la resistenza dell’emiro di Bari non era ancora stata piegata.
A distanza di un anno, nel Natale dell’870, un tentativo di portare soccorso alla città assediata da parte di Cincimo, capo musulmano che, da Amantea, aveva imposto il suo dominio su una vasta area della Calabria ed era evidentemente preoccupato della riscossa delle armi cristiane nel Mezzogiorno, fu fermato dalle schiere di Ludovico II che riuscirono a mettere in fuga i Saraceni, infliggendo loro perdite consistenti e frustrando l’ultima speranza di ricevere soccorso dell’emiro assediato. All’inizio dell’871 l’imperatore sferrò l’attacco decisivo contro le mura di Bari e, il 3 febbraio, le sue truppe riuscirono a entrare in città e porre fine alla signoria di Sawdān.
L’emiro trovò iniziale rifugio in una torre e, facendo leva sul possesso di ostaggi presi in precedenza, fra i quali una figlia di Adelchi, riuscì a contrattare la resa, ebbe salva la vita e fu affidato al principe di Benevento che lo tenne prigioniero per alcuni anni, insieme con due suoi ufficiali, ricordati nelle fonti latine con i nomi di Annoso e Abdelbach.
Nella prigionia, l’emiro divenne ascoltato consigliere di Adelchi, fino al punto da spingerlo verso un’aperta ribellione contro l’imperatore, che, dopo il successo sulle forze musulmane, coltivava il sogno di riunire sotto il suo dominio l’intera Italia meridionale: Ludovico II, colto di sorpresa, fu catturato e tenuto prigioniero dal principe beneventano per oltre un mese, dal 13 agosto al 17 settembre 871, quindi fu liberato con la promessa di non vendicare l’affronto subito e si ritirò rapidamente verso nord.
La reazione musulmana alla caduta di Bari fu molto decisa: l’emiro di Qayrawān, intenzionato a prendere il controllo delle operazioni nell’Italia meridionale, inviò un forte esercito al comando di ῾Abd Allāh b. Ya῾qūb, nominato governatore della Grande Terra (wālī ᾽l-arḍ al-kabīra); questi, dopo aver recuperato l’intera Calabria, liberò Taranto dall’assedio franco, aggredì Napoli, Benevento e Capua e pose l’assedio a Salerno, facendo ripiombare l’intera Longobardia minore nel caos (871-872). Bari, nel frattempo, era stata inglobata nei domini del principe beneventano, ma, nell’876, si sarebbe poi sottomessa all’autorità dell’imperatore bizantino, accogliendo le truppe dello stratego Gregorio.
Dopo la morte di Ludovico II, avvenuta nell’agosto dell’875, ‘Uṯmān, nuovo capo dei Saraceni di Taranto, da poco rientrato dall’Africa, tornò a saccheggiare le terre beneventane e costrinse Adelchi a liberare Sawdān e i suoi compagni di prigionia. Secondo la cronaca veneta del diacono Giovanni, dopo la liberazione, Sawdān si sarebbe stabilito a Taranto e avrebbe ripreso a razziare i territori cristiani; la notizia sembra confermata dalla cronaca di Giovanni Scilitze, che nella narrazione di questi eventi è, però, imprecisa e confusa: l’emiro avrebbe riorganizzato le sue forze in Tunisia, ma il suo tentativo di aggredire nuovamente la Campania sarebbe stato respinto. Infine, secondo un’interpolazione della cronaca di Scilitze, Sawdān avrebbe distrutto Ugento e ne avrebbe deportato gli abitanti in Africa.
La mancanza di ulteriori testimonianze non ci consente di conoscere altro della vita di Sawdān. Così pure restano oscure la data e le circostanze della sua morte che non può essere collocata, però, troppo lontano dall’880, quando due eserciti bizantini e una grande flotta assalirono le aree ioniche ancora controllate dai musulmani e conquistarono Taranto: i Saraceni sopravvissuti agli scontri furono ridotti in schiavitù e la città ionica occupata da un presidio militare bizantino.
L’immagine del predone sanguinario e sacrilego, del «pestifer Seodan» (Chronica Sancti Benedicti Casinensis, a cura di G. Waitz, 1878, p. 476) incarnazione stessa del male, capace di bere nei sacri calici e di banchettare sopra mucchi di cadaveri, trasmessaci dalle fonti latine è mitigata da altre testimonianze che ci descrivono un principe esperto e astuto, dotato di una grande capacità di comando e di una saggezza quasi leggendaria, interessato alla legittimazione del suo potere e, come tanti capi musulmani, non privo di interessi culturali.
Frammentarie, ma significative notizie, mostrano anche la sua capacità di instaurare rapporti di natura pacifica con elementi cristiani: così, ad esempio, lo vediamo nell’860 offrire ospitalità e protezione al conte Ildeberto, inquieto titolare della marca di Camerino, che si era ribellato contro Ludovico II ed era stato costretto alla fuga dapprima dall’esercito imperiale, quindi dall’intervento diretto dello stesso imperatore; intorno all’865 vediamo l’emiro concedere a tre monaci di diversa provenienza e diretti in Palestina lettere di presentazione per gli emiri di Alessandria e del Cairo e il permesso di viaggiare su una nave saracena pronta a salpare da Taranto carica di schiavi cristiani; negli stessi anni, lo vediamo offrire ospitalità al mistico ebreo Aaron ben Samuel di Baghdād, che soggiornò a Bari per sei mesi, durante i quali fu ascoltato consigliere dell’emiro stesso.
Purtroppo le fonti non ci consentono di conoscere i rapporti con le popolazioni cristiane sottomesse alla dominazione dell’emiro di Bari, anche se alcuni indizi lasciano ipotizzare una convivenza tranquilla: significativo il fatto che, non appena Ludovico II iniziò le operazioni di assedio, le popolazioni pugliesi si affrettarono a chiedere il suo perdono per aver accettato il governo del principe musulmano; inoltre, almeno in occasione dell’attacco guidato da Ooriphas, furono catturati alcuni cristiani che combattevano al fianco dei musulmani.
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