SAVOIA ACAIA, Giacomo
di. – Nacque probabilmente nel 1325, in Piemonte; fu il primogenito di Filippo di Savoia, principe d’Acaia, e di Caterina, figlia di Umberto I di La Tour-du-Pin, delfino di Vienne.
Il padre, appartenente a un ramo collaterale di Casa Savoia, teneva in feudo dalla linea comitale un vasto appannaggio, che comprendeva la maggior parte dei domini sabaudi nel Piemonte occidentale, tra l’alto corso del Po a sud e il Canavese a nord. Alla nascita di Giacomo, Filippo era intento a consolidare il suo dominio sull’area mediante un riassetto istituzionale e una trama di alleanze matrimoniali; per il figlio, in particolare, previde nel 1325 un matrimonio, mai celebratosi, con Iolanda, figlia del marchese di Monferrato, Teodoro I Paleologo.
Filippo morì nel settembre del 1334, nel pieno di un conflitto che opponeva i Savoia a una lega formata dai marchesi di Monferrato e di Saluzzo e dagli Angiò. Giacomo succedette al padre nel controllo dell’appannaggio, secondo quanto stabilito da Filippo stesso nel suo testamento del 1330; come il padre, si fregiò del titolo di principe d’Acaia, ormai scollegato da un’effettiva presenza politica in Grecia; infruttuosi tentativi diplomatici di riprendere il controllo dell’Acaia sarebbero stati condotti da Giacomo negli anni Quaranta e Cinquanta.
Negli anni immediatamente successivi alla morte di Filippo l’appannaggio piemontese fu governato per conto del principe, ancora minorenne, dalla madre e da un Consiglio di reggenza, che si preoccuparono anzitutto di far cessare l’emergenza militare e la dissidenza interna. Tra il 1334 e il 1335 furono stipulati con i poteri nemici tre trattati di pace piuttosto svantaggiosi per Giacomo, perché comportarono una contrazione della sua area di influenza. Parallelamente si cercò di rafforzare il controllo principesco sui Comuni urbani, la cui debolezza era emersa nel 1334 con la fallita ribellione della parte ghibellina di Torino. A partire dal 1335 Caterina e Giacomo promossero il formarsi, in alcuni importanti Comuni del principato (Torino, Moncalieri, Pinerolo, Fossano e Savigliano), di societates, dotate di funzioni poliziesche, ma coinvolte anche in varie prassi amministrative delle rispettive comunità.
Un fallito (1337) progetto di matrimonio tra Giacomo e Biatrisina, figlia di Tommaso II di Saluzzo, fu seguito, nel 1338, dalle nozze di Giacomo con Beatrice, figlia di Rinaldo d’Este, che morì senza prole l’anno successivo. Entro il 1340 Giacomo, ormai affrancatosi dalla tutela materna, sposò la provenzale Sibilla, figlia del siniscalco angioino Bertrando Del Balzo.
Fra il 1339 e la fine degli anni Quaranta Giacomo e i conti di Savoia furono impegnati in una serie di scontri militari che li oppose ai marchesi di Monferrato e ai Visconti, recentemente affacciatisi sul Piemonte occidentale. Il conflitto riguardò dapprima l’area del Canavese, tenuta in codominio dai conti e dai Savoia Acaia, ma di fatto controllata da lignaggi signorili autoctoni, divisi tra gli schieramenti sabaudo e monferrino. A metà degli anni Quaranta il fronte principale della guerra si spostò nel Piemonte centrale, ove, dopo la battaglia di Gamenario (1345), i domini dei Monferrato si erano espansi a scapito di quelli angioini; Giacomo e il conte Amedeo VI contennero tale espansione sottomettendo il Comune di Chieri (1347). Il conflitto si concluse nel 1349 con un arbitrato dell’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti, che sancì il ridimensionamento politico di Giacomo rispetto al ramo comitale e lo estromise dal controllo di Ivrea, attribuita in parti uguali ai conti di Savoia e ai marchesi di Monferrato. Nel frattempo (1345-46) Giacomo aveva progettato il matrimonio del suo primogenito, Filippo, con Maria, figlia del conte Amedeo III di Ginevra, allora tutore di Amedeo VI.
Lo stato di perenne mobilitazione militare causò l’emergere di nuove prassi di finanziamento del potere centrale e una parziale ridefinizione dell’assetto istituzionale dell’appannaggio. Dagli anni Trenta la pressione fiscale sulle comunità dominate subì una forte crescita e comportò un ricorso sempre più frequente a pratiche fino allora poco sfruttate, come la richiesta di sussidi e prestiti forzosi. Per legittimare tali nuove prassi Giacomo indisse vari parlamenta, in cui i rappresentanti dei Comuni e dei domini rurali furono coinvolti nella determinazione e nella ripartizione degli oneri militari. Il finanziamento dello Stato fu garantito anche dall’intensificarsi del nesso tra l’accesso alle principali cariche di governo e l’erogazione al principe di un mutuo; la situazione fu sfruttata da alcune importanti famiglie di banchieri, come i Provana, che acquisirono il controllo di numerosi uffici. Giacomo, infine, ricorse eccezionalmente alla vendita di giurisdizioni principesche; tale fu il caso del luogo di Villanova, infeudato nel 1335 agli albesi Falletti. Giacomo potenziò i caratteri pubblici dell’autorità principesca sui territori dominati e sperimentò varie forme di intervento diretto nelle prassi istituzionali delle comunità, basate per esempio sulla concessione di esenzioni e grazie; egli rafforzò inoltre le strutture burocratiche preposte all’amministrazione centrale dell’appannaggio e promosse l’adeguamento dei loro comportamenti documentari alle nuove esigenze di governo.
La discesa in Italia di Carlo IV (1354) offrì a Giacomo la possibilità di riacquistare sullo scacchiere piemontese il peso politico perso a seguito degli accordi del 1349. Nel 1355 l’imperatore gli attribuì le facoltà di battere moneta propria, nominare notai, legittimare bastardi e imporre pedaggi per le merci in transito nei suoi domini. Il principe sfruttò quest’ultimo diritto imponendo un dazio sulle merci dirette, attraverso la valle di Susa, ai domini comitali. Ne derivò un peggioramento dei rapporti con Amedeo VI, che entrarono in crisi nel 1356, quando Giacomo, alleatosi con i Visconti, si impadronì di Ivrea. Il conte occupò allora l’appannaggio e costrinse Giacomo a rinunciare al controllo su Ivrea e all’esazione del dazio. La crisi si riaprì nel 1359, come esito del ripristino del pedaggio; del degenerare dei rapporti con le famiglie Provana e Vagnone, a cui Giacomo impedì con la forza di appellarsi ad Amedeo VI come senior feudale del ramo dei Savoia Acaia; dell’associazione al governo dell’appannaggio del figlio del principe, Filippo, avvenuta senza la dovuta autorizzazione da parte del conte. Tra il 1359 e il 1360 Amedeo VI occupò nuovamente i domini di Giacomo, che fu imprigionato e costretto a rinunciare alle sue giurisdizioni. I poteri locali dovettero promettere di non sottoporsi, per il futuro, ad altro signore che ai conti di Savoia. Tale sconfitta segnò la fine della relativa autonomia dei Savoia Acaia rispetto al ramo comitale, che avrebbe controllato politicamente l’appannaggio fino all’estinzione della dinastia.
Peraltro nel 1363, a seguito di un trattato stipulato nell’anno precedente, Giacomo fu reintegrato nel controllo dei suoi domini (con l’esclusione del Canavese), in cambio della promessa di un ingente indennizzo al ramo comitale. Nel 1362 Amedeo VI si era anche assicurato il controllo sulla successione dinastica entro la linea dei Savoia Acaia, inducendo Giacomo (di nuovo vedovo) a un matrimonio con Margherita di Beaujeu, dalla quale nacquero due figli, Amedeo e Ludovico (v. le rispettive voci in questo Dizionario).
Nel 1364 il conte impose a Filippo di rinunciare ai diritti giurisdizionali sull’appannaggio che il padre gli aveva concesso associandolo al principato. Nel 1366, infine, Giacomo modificò il suo testamento designando come proprio erede Amedeo, il maggiore dei figli avuti da Margherita, e destinando a Filippo soltanto alcuni diritti signorili su luoghi del Pinerolese. Filippo approfittò della lontananza di Amedeo VI, impegnato in attività militari in Oriente, per tentare di riportare la situazione a suo favore ed entro l’inizio del 1367 occupò con truppe mercenarie gran parte dell’appannaggio. Giacomo dichiarò nulli tutti gli atti del figlio; riparò dapprima a Pavia, quindi fece ritorno a Pinerolo, dove morì nel maggio del 1367. Fu sepolto nella locale chiesa dei minori.
Oltre alla prole qui menzionata Giacomo ebbe un figlio illegittimo di nome Antonio, detto «di Morea», capostipite di una famiglia signorile con diritti su Busca e Genola.
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