MURATORI, Saverio
– Nacque a Modena il 31 agosto 1910, da Ennio e da Elvira Cattanìa, di antica e nobile famiglia originaria di Correggio, in Emilia. Il padre era un ufficiale di carriera nel corpo dei granatieri, capo del servizio coltivazioni agricole militari, e nel biennio 1936-38 tenne il corso di cultura militare presso la facoltà di architettura di Roma.
Dopo gli studi classici presso il liceo Tasso di Roma, nel 1928 Muratori si iscrisse alla facoltà di architettura, in un momento di forte cambiamento. Gustavo Giovannoni, che succedeva alla presidenza a Manfredo Manfredi, aveva portato nella scuola l’idea di architetto integrale e soprattutto la visione del piano regolatore come opera d’arte e dell’organismo urbano come luogo dell’architettura: un’impostazione teorica nella quale il giovane Muratori trovò un terreno fertile di riflessione e di studio. Si laureò nel 1933 con una tesi su un progetto per un centro di cultura musicale, ma già nel 1931 aveva vinto il concorso per la casa dello studente della città universitaria di Roma (con Francesco Fariello e Giorgio Calza Bini), la cui realizzazione, in via De Lollis 20, fu completata nel 1935. Nei due anni successivi alla laurea lavorò presso lo studio di Alberto Calza Bini a Roma e in tutto il periodo che precedette la seconda guerra mondiale prese parte ad alcuni dei più importanti concorsi di architettura nei quali i progettisti italiani sperimentarono una declinazione nazionale del razionalismo. Nel 1933 partecipò con Giulio Roisecco ed Enrico Tedeschi al concorso per la stazione di S. Maria Novella a Firenze; nel 1934 a quello per il palazzo del Littorio in via dell’Impero a Roma con Tedeschi e Franco Petrucci; nel 1935 al concorso per il nuovo fabbricato viaggiatori della stazione S. Lucia di Venezia, con Tedeschi e Claudio Longo Gerace.
In queste prime opere è evidente una predestinata, seppure moderata e composta, impostazione razionalista, una specie di modernità controllata, la stessa che caratterizzò anche le prime opere progettate con Fariello e Ludovico Quaroni. Con questi ultimi, Muratori avviò tra il 1935 e il 1939 un sodalizio molto proficuo che culminò con la realizzazione della piazza Imperiale dell’E42: il concorso fu vinto ex aequo da Luigi Moretti e quindi realizzato in collaborazione con quest’ultimo.
La prima esperienza che vide assieme Fariello, Muratori e Quaroni fu, nel 1934-35, il concorso per l’auditorium di Roma a Porta Capena, un progetto che si colloca apertamente nel solco razionalista, composto da quattro volumi puri separati e funzionalmente contraddistinti, con il minimale parallelepipedo sul fronte, sollevato su pilotis, che riproponeva esattamente il corpo frontale del coevo progetto per la stazione di Venezia.
Il gruppo allargò sovente la collaborazione ad altri architetti attivi nel dibattito contemporaneo: nel 1936 partecipò con Tedeschi al progetto di concorso per il piano regolatore di Aprilia; nello stesso anno, con Veniero Colasanti, a quello per la sede della prefettura e questura di Livorno; nel 1938 in occasione delle mostre al Circo Massimo, nelle quali il regime fascista impiegava l’architettura moderna a scopi propagandistici, collaborò, tra gli altri, con Giovanni Guerrini, Roberto Nicolini e Francesco Santini.
Per lo Studio del medico, una realizzazione temporanea presentata alla Triennale di Milano del 1936, dedicata al tema continuità-modernità, Muratori lavorò con Giorgio Calza Bini, Vincenzo Monaco, Quaroni, Petrucci e Tedeschi. Muratori e Quaroni erano destinati nel tempo a diventare alternativi, sia nell’impostazione didattica sia nelle scelte culturali. Li avrebbe divisi l’atteggiamento opposto nei confronti del rinnovamento: Quaroni era portato a sperimentare, mentre Muratori era sistematico e analizzava l’architettura moderna nella sua prospettiva storica e nelle diverse declinazioni nazionali, a partire da un crescente disagio nei confronti di quella italiana. Già nel 1935 aveva pubblicato un articolo su L’Esposizione internazionale di Bruxelles (in Architettura, 1935, n. 10, pp. 561-572), nel quale indicava l’architettura scandinava come capace di esprimere continuità con la propria storia, adottando le nuove teorie funzionaliste e i nuovi materiali senza farsi dominare da spinte internazionaliste. L’ampio saggio che pubblicò nel 1938 sul Movimento architettonico moderno in Svezia (ibid., 1938, n. 2, pp. 95-122), come conseguenza dell’interesse destato soprattutto dal pacato neoclassicismo di Erik Gunnar Asplund, determinò una svolta stilistica nelle sue scelte compositive, particolarmente riconoscibile nella citazione del grande volume cilindrico sollevato su podio della biblioteca di Stoccolma (1924-28) di Asplund, che inserì nel progetto, non realizzato, per gli edifici rappresentativi della ‘città penitenziaria’ di Roma del 1939.
Nel 1939, l’ACAI (Azienda carboni italiani) predispose un secondo programma di sfruttamento del bacino carbonifero del Sulcis. Il primo, tra il 1937 e il 1938, aveva portato alla fondazione della città di Carbonia, progettata da Ignazio Guidi e da Cesare Valle, con Leo Calini ed Eugenio Montuori per il successivo ampliamento (1939). Per il secondo Muratori fu incaricato del piano urbanistico di Cortoghiana, circa 10 km a nord di Carbonia. Il progetto, caratterizzato da un impianto razionalista molto semplice, impostato su un rettifilo principale su cui si innestano vie secondarie perfettamente perpendicolari, è stato definito «la più bella opera del Muratori asplundiano» (Caniggia in Montuori, 1988, p. 149).
La guerra provocò una breve interruzione nell’attività progettuale di Muratori, che però non interruppe la sua produzione teorica. Si concentrò nell’approfondimento critico e produsse due saggi fondamentali, pubblicati postumi (cfr. Marinucci, 1980): nel 1944 scrisse Storia e critica dell’architettura contemporanea e nel 1946 Saggi di critica e di metodo nello studio dell’architettura che sono alla base della sua teoria della città come organismo vivente e della pianificazione come conseguenza dello studio del carattere locale. Approdava così all’enunciazione di ‘storia operante’, concetto chiave della sua produzione successiva.
Nell’immediato dopoguerra fu al centro della più importante iniziativa attuata dal governo italiano per sostenere la ripresa del lavoro e la realizzazione di case a basso costo. Nel 1946 predispose il Piano di ricostruzione del comune di Amaseno (Frosinone) e nel 1947-49 quello di Cecina (Livorno). In questo continuo intrecciarsi di attività accademica, pubblicazione di testi teorici e pratica della progettazione, tra il 1948 e il 1953, nell’ambito del programma INA-Casa, fu autore, con Mario De Renzi, di una serie di progetti urbani e complessi residenziali all’interno di essi. Il nuovo sodalizio professionale con De Renzi, che fin dal 1931 si era definito «moderno sì, ma italiano», si connotava per una semplificazione estrema dei volumi e per una rigorosa declinazione dei tipi edilizi e dei rispettivi modelli aggregativi ponendosi in una condizione dialettica con la parallela esperienza neorealista della compagine Mario Ridolfi-Ludovico Quaroni. Uno dei primi interventi realizzati dall’Istituto autonomo per le case popolari (IACP) nell’ambito della gestione INA-Casa a Roma fu quello di Valco S. Paolo a Roma (1949-52). Oltre al piano urbanistico, elaborato con De Renzi, Muratori fu autore del lungo e laconico edificio in linea scandito dal ritmo regolare dei piccoli balconi aggettanti su via Corinto, spina diagonale dell’intero intervento, impostata su un asse che apre la vista verso la basilica di S. Paolo. I due architetti furono autori anche del quartiere INA-Casa Stella polare a Ostia (1949-54) e del cosiddetto Tuscolano II.
In questa periferia posta a sud-est della città, il programma per la ricostruzione realizzò il più vasto degli interventi, concluso nel decennio 1950-60. La prima fase fu portata a termine tra il 1950 e il 1951 senza un piano urbanistico riconoscibile, attraverso l’assegnazione diretta di singoli edifici, prevalentemente a giovani architetti romani emergenti, in un’area compresa tra via Tuscolana e via del Quadraro. Questa primissima esperienza rappresentò, anche per i tempi molto rapidi di realizzazione, il terreno di sperimentazione della grande ricostruzione del dopoguerra. Seguirono una seconda e una terza fase, pressoché contemporanee: quella del Tuscolano III o ‘unità di abitazione orizzontale’, che fu progettata da Adalberto Libera con forti rimandi alla cultura mediterranea, e il Tuscolano II, nel quale De Renzi e Muratori, all’interno del loro stesso piano, progettarono quattro torri residenziali su via Cartagine e il forte segno urbano del lungo edificio delle case in linea (disegnato in pianta come una lettera «V» molto aperta), che definisce il fronte su viale Spartaco: strada che, in corrispondenza della parte centrale del caseggiato, diviene uno slargo proprio per la particolarità della configurazione planimetrica.
Tra il 1952 e il 1955, nel quartiere di Villa Gordiani (1952-55), De Renzi e Muratori collaborarono con l’ufficio tecnico del Comune di Roma, riproponendo alcuni dei tipi edilizi sperimentati al Tuscolano e a Valco S. Paolo.
Del primo, furono inseriti gli edifici in linea spezzati a causa dello slittamento di due parti del corpo di fabbrica lungo uno dei muri trasversali e i lunghi edifici piegati che arretrano dai fronti principali, per poi riaccostarsi, come grandi poligonali aperte; del secondo, le torri trilobate, edifici alti con corpo scala centrale al quale convergono tre unità abitative per piano, completamente individuabili.
Dopo le realizzazioni per l’INA-Casa, caratterizzate da un «socialeggiante empirismo scandinavo» (Caniggia, in Montuori, 1988, p. 149), Muratori si staccò del tutto dalla ricerca che, non senza conflitto interiore, aveva condotto nel segno del ‘moderno’, e mise in pratica il metodo che era andato perfezionando a seguito degli studi sui tessuti urbani di Venezia e di Roma. Il metodo era basato sull’adozione di alcuni elementi sintattici e tipologici rilevanti, considerati invarianti nel tempo. La chiesa di S. Giovanni al Gatano a Pisa (1947) ne rappresenta un’anticipazione: un austero romanico toscano, denunciato dai ricorsi orizzontali in laterizio alternati a sottili linee in marmo bianco, è rivisitato nella trama minuta dei pilastrini che forano la facciata e nei minuscoli portali sul fronte principale massiccio, stabilendo un’inesorabile corrispondenza tra il riferimento storico-tipologico e l’edificio religioso.
Per la nuova sede degli uffici per l’Ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti statali (ENPAS) di Bologna (1952-57) Muratori reinterpretò il ritmo seriale dell’edilizia della città gotica, adottò il tipico basamento porticato e disegnò il coronamento evocando l’icona delle merlature del palazzo di re Enzo. Per la sede centrale della Democrazia cristiana all’EUR a Roma (1955-58) sviluppò invece il tema del palazzo pubblico a partire dalla pianta con cortile centrale e da un’evidente sovrapposizione gerarchica dei piani, con chiari accenni al classicismo tardo rinascimentale del palazzo romano, anche nel ricco disegno delle facciate.
Negli stessi anni, tra il 1954 e il 1958, come componente del Comitato di elaborazione tecnica (CET) per il nuovo piano regolatore di Roma, contribuì alla determinazione di un impianto urbanistico rigorosamente geometrico riguardante, in particolare, l’espansione del settore orientale della capitale, in linea con quella che egli considerava la struttura naturale-storica della città, già presente nei vecchi rioni romani. Questo processo evolutivo del pensiero progettuale ebbe un preciso corrispettivo nella rivoluzione che operò nella didattica. Abilitato alla libera docenza in composizione architettonica e urbanistica dal 1942, nel biennio 1944-45 fu assistente nel corso di caratteri distributivi degli edifici di Enrico Calandra presso la facoltà di architettura di Roma. Particolarmente stimato da Arnaldo Foschini, che lo considerava un suo allievo, nel 1954 ne ereditò la cattedra, dopo aver svolto l’incarico di professore ordinario di caratteri distributivi degli edifici nell’Istituto universitario di architettura di Venezia (IUAV) dal 1950 al 1954.
A Venezia Muratori aveva iniziato il suo inquadramento filosofico della storia urbana, del rapporto tra tipo edilizio e progetto e del tipo come concetto a priori in evoluzione nel tempo, fino a fare della sua materia di insegnamento uno strumento per interpretare il tessuto urbano come sistema capace di legare architettura e città. Gli esiti di questa ricerca confluirono nel 1959 nella pubblicazione del saggio Studi per un’operante storia urbana di Venezia che, insieme al corrispettivo Studi per un’operante storia urbana di Roma, pubblicato nel 1963 all’interno del testo Architettura e civiltà in crisi, determinarono la svolta nella didattica muratoriana. Da subito fu in aperto contrasto con Bruno Zevi, che accusava Muratori di essere un accademico passatista perché insegnava agli studenti a progettare secondo un principio generale di continuità storica con l’ambiente costruito.
I corsi di Muratori, che da parte sua criticava apertamente l’impostazione arbitraria e agnostica degli insegnamenti di quasi tutta la classe accademica, ebbero una iniziale accoglienza favorevole da parte degli studenti, che apprezzavano l’accurata istruzione dei temi di progetto. Seguì una violenta contestazione, relativa all’approccio storicista della didattica (ma anche alla sua impostazione giudicata eccessivamente autoritaria) che culminò nello sdoppiamento del corso di composizione per il quarto e quinto anno, del quale era titolare Muratori: la seconda cattedra fu provvisoriamente assegnata a Saul Greco, quindi a Libera e, alla morte di quest’ultimo, a Quaroni.
Il contrasto era esploso quattro anni prima, nel 1959, a causa della vittoria di Muratori al concorso per il nuovo quartiere CEP (Centro edilizia popolare) alle Barene di S. Giuliano a Mestre, al quale egli aveva presentato tre progetti, interpretati da chi muoveva le critiche, come inaccettabili alternative tra le quali scegliere. Invece i tre disegni corrispondevano a un procedimento logico per giungere alla proposta progettuale. I primi due dovevano dimostrare una riflessione sul tessuto gotico di calli e corti organizzato secondo una tipologia di casa collettiva veneziana, mentre il terzo, finale e vincitore, era caratterizzato da una maglia modulare più dilatata e da un calibrato rapporto degli edifici di servizio con i margini della laguna. Oltre alle riviste di settore, in prima fila l’Architettura. Cronache e storia di Bruno Zevi e Architettura-Cantiere, anche alcuni quotidiani nazionali intervennero in una critica aspra e alle volte violenta contro Muratori, critica che sfociò nel suo progressivo drammatico isolamento (Caniggia, 1988, pp. 143-161; Pigafetta, 1990, pp. 123-132).
Da giovane protagonista della cultura modernista italiana a cavallo tra le due guerre, a suo critico spietato sin dai primi anni Cinquanta, Muratori stesso riassunse con lucidità, in più occasioni e in pubblico, il suo percorso culturale, dichiarando, con amarezza, di aver dovuto compiere notevolissima fatica per togliersi di dosso i luoghi comuni acquisiti come figlio del giovanile velleitarismo moderno e di aver impiegato tutta l’esperienza, dai venti ai quarant’anni, per individuare i problemi non risolti della cultura a lui contemporanea. Dai quarant’anni in poi, con lo studio del tessuto urbano di Venezia e di Roma, si sentiva giunto finalmente a comprendere le leggi della tipicità delle forme urbane e della ciclicità del mondo della città, come di quella dell’uomo; altri dieci anni di lavoro aveva poi impiegato sulla questione del territorio affrontando, infine, il problema dell’autocoscienza. La sua attitudine alla teorizzazione e alla riflessione sull’estetica dell’architettura e sulla sua contestualizzazione storica, delineano una figura complessa e completa di intellettuale, che nella progressiva rivalutazione di valori classici e nella loro coerente formalizzazione in ideogrammi sintetici fanno emergere oltre all’architetto, il filosofo.
Fu accademico di S. Luca e nel 1952 gli fu conferito dall’allora presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, il premio nazionale d’architettura.
Morì a Roma il 17 ottobre 1973.
Fonti e Bibl.: M. Mini, M., la finestra sul mondo, in AR, settembre 1973, pp. 3-6; G. Marinucci, S. M.: il pensiero e la battaglia civile nei suoi scritti pubblicati dal 1959 al 1979, a cura del Centro studi di storia urbanistica, Roma 1980; P. Tavella,S. M. tra moderno e postmoderno, Firenze 1982; G. Cataldi, S. M., in MacmillanEncyclopedia of architects, III, New York 1982, pp. 258 s.; S. M. architetto (Modena 1910-Roma 1973). Il pensiero e l’opera, a cura di G. Cataldi, Firenze 1984; S. Malfroy,S. M.: il pensiero e l’opera architettonica, Zürich 1984; S. M., in Storia architettura, VII (1984), 1-2 (n. monografico), Roma 1985; M. Montuori, S. M. Nota biografica, in Lezioni di progettazione. 10 maestri dell’architettura italiana, a cura di M. Montuori, Milano 1988, pp. 130-142; G. Caniggia, S. M. la didattica e il pensiero,ibid., pp. 143-161; G. Pigafetta,S. M. architetto. Teoria e progetti, Venezia 1990; S. M. Architetto (Modena 1910 - Roma 1073). Sullo stato dell’architettura italiana verso la fine del XX secolo. Atti del Convegno…1991, a cura di A. Capelli, Modena 1992; E. De Carli - E. Scatà, Antologia critica degli scritti di S. M., Firenze 1991; G. Cataldi, Designing in stages; theory and design in the typological concept of the Italian school of S. M., in Typological process and design theory, a cura di A. Petruccioli, Cambridge, MA, 1998, pp. 35-55; G. Cataldi - G.L. Maffei - P. Vaccaro, S. M. and the Italian school of planning typology, in Urban Morphology, 2002, n. 6, pp. 3-14; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, IV, 1969, p. 159, s. v.