GATTO, Saverio
Nacque a Reggio Calabria il 15 ag. 1877 da Nicola e dalla messinese Concetta Caruso.
Lo scarso rendimento scolastico del ragazzo indusse il padre, un piccolo armatore locale, ad avviarlo alla carriera del mare e, a soli undici anni, il G. si imbarcò come mozzo. A vent'anni, dopo aver navigato tra il Mediterraneo e l'Egeo, conseguì il grado di capitano.
Il suo talento artistico si delineò nel 1896 durante una rappresentazione del Faust al teatro di Reggio Calabria. Colpito dall'attore che interpretava Mefistofele, il G. fu spinto a riprodurne le sembianze in un ritratto modellato con impeto nella creta, riscuotendo successo presso familiari e conoscenti. Tra questi era lo scultore G. Scerbo, che lo convinse a frequentare le sue lezioni alla scuola reggina di arti e mestieri e del quale divenne il collaboratore prediletto.
Ormai deciso ad assecondare la propria vocazione, nel 1898 il G. abbandonò per sempre la carriera marinara e partì per Napoli con l'intenzione di iscriversi al Regio Istituto di belle arti. Qui i suoi maestri furono A. D'Orsi, D. Morelli e M. Cammarano, affermati interpreti del verismo sociale e umanitario. Attraverso il loro esempio il G. si orientò verso la rappresentazione del mondo popolare, i cui tipi ritrasse in innumerevoli opere. Accanto all'esercizio dal vero, altrettanto fondamentale per la sua formazione fu la frequentazione assidua del Museo archeologico di Napoli, grazie alla quale sviluppò un amore per la scultura antica che gli avrebbe fornito molteplici spunti di carattere formale e contenutistico.
Nel 1905 sposò Marianna Pucci e scolpì la sua prima opera conosciuta, La napolitana, una testina in bronzo nota in due versioni (e riprodotta, come la maggior parte dei lavori del G., nella monografia di Ortolani, S. G. scultore, tavv. I-II). I numerosi premi vinti durante gli studi accademici lo spinsero a presentarsi al Salon di Parigi del 1906 dove espose Testa di zingara, un bronzo a grandezza naturale che fu acquistato dalla Galleria napoletana d'arte moderna e fu poi incluso nelle raccolte dell'Accademia di belle arti di Napoli. La nascita del figlio Nicola, avvenuta nel 1906, gli ispirò una serie di ritratti di bambino, tra cui il Putto che piange (ibid., tav. III), che gli diede notorietà in Italia e all'estero, e il Putto che ride (Napoli, coll. Tina Gatto: ibid., tav. IV), con il quale nel 1911 ottenne la medaglia di bronzo all'Esposizione internazionale d'arte di Barcellona.
Già in queste composizioni giovanili il G. rivela la propensione a una plastica modellata con gusto pittorico di matrice impressionistica che gli consentì un approccio schietto e immediato col reale, una qualità che gli assicurò il favore della critica. Nel 1907 il G. partecipò alla Promotrice napoletana e vinse il concorso comunale per un busto in marmo di Giosuè Carducci (ibid., tavv. V-VI). Compiuto nel 1912, il busto venne collocato nella villa reale di Napoli, dove si conserva.
In una città come la Napoli del principio del secolo, marginale rispetto alle correnti culturali più avanzate, eppure ricca di iniziative e di fermenti, il G. si trovò ben presto schierato accanto agli artisti più giovani che, isolati dalle istituzioni ufficiali, anelavano a un rinnovamento del linguaggio dell'arte attraverso i principî dell'impressionismo, in polemica con l'accademismo trionfante nelle esposizioni e sul mercato. Nel 1909 il "gruppo dei ventitré", tra cui si distinsero E. Curcio e R. Uccella, diede vita alla I Esposizione giovanile d'arte della città di Napoli svoltasi presso l'hotel Nobile di via Filangieri. Il G., che fece parte della commissione di accettazione delle opere, presentò Testa di zingara e L'incantata (ubicazione ignota).
Per lo spirito che animava le intenzioni di questi giovani, la mostra è stata accostata alle secessioni europee di fine Ottocento. Carattere comune a tutti gli espositori era un'adesione moderata all'impressionismo, che consentiva loro una maggiore libertà nell'uso del colore, coniugata tuttavia a un impianto ancora tradizionale e naturalistico dell'immagine. Nel G., questa compresenza di tradizione e di modernità si ritrova in lavori come La camicia del 1912 (ibid., tav. VII): scultura in bronzo che rappresenta una donna nuda a figura intera nell'atto di vestirsi. Quest'opera, tra le più apprezzate per le qualità luministico-pittoriche e l'originalità della composizione, è stata accostata ai modi di A. Rodin (De Marinis, p. 136), autore del resto ammirato dal G. che aveva acquistato un piccolo ritratto bronzeo di Honoré Balzac eseguito dal grande scultore francese, rimasto di proprietà della famiglia. Ortolani, che nel 1930 pubblicò la prima monografia sul G., nota nella Camicia una "vena di ellenismo" che tempera "il fondo veridico e naturalistico dell'immagine" (p. 26) e la pone a confronto con altri lavori, quali Il freddoloso, gesso conservato a Napoli in collezione privata (tav. XXIII) del 1923 e L'egiziaca (tav. XXVII) dell'anno seguente, che al critico ricordano le "tanagre" della Magna Grecia.
Sempre nel 1909 il G. partecipò alla mostra della Società promotrice delle belle arti di Torino, rassegna cui prese spesso parte nel corso degli anni Dieci. Vi espose una fusione del bronzo Alba della vita proposto l'anno precedente sia alla mostra della Società degli amatori e cultori di Roma sia al Salon di Parigi (Giannelli). Nel 1910 partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia con Alba della vita e Offesa (ubicazione ignota), inviò un'opera all'Esposizione internazionale di belle arti svoltasi a Santiago del Cile per il centenario dell'indipendenza ed espose nuovamente alla mostra degli Amatori e cultori di Roma, una manifestazione che l'avrebbe accolto più volte negli anni seguenti. Notevole successo ebbero le sculture esposte a Napoli alla Promotrice Salvator Rosa del 1911, in occasione della quale il G. vinse la medaglia di bronzo per un'opera da lui in seguito donata alla Promotrice. Nel 1912 fu chiamato a scolpire il monumento a Tommaso Campanella per Reggio Calabria.
Membro del comitato centrale del Comitato nazionale artistico giovanile (CNAG), il G. partecipò alla II Esposizione di belle arti organizzata nel 1913 a Napoli dalla fondazione. Nel 1914 fu ancora invitato al Salon di Parigi e nel 1915 fu tra i promotori della I Esposizione nazionale d'arte di Napoli, tenutasi nei locali dell'Istituto di belle arti.
In questo periodo il G. approfondiva lo studio degli effetti cromatico-luministici della scultura iniziando la produzione di terrecotte policrome, tra cui si ricordano La civetta (o Sonia) del 1921 (Ortolani, tav. XVIII) e La pompeiana del 1930 (Napoli, collezione Tina Gatto: De Marinis, ripr. p. 142). L'indagine così avviata avvicinò il G. anche al disegno e alla pittura (numerosi sono i dipinti realizzati dall'artista).
Fu intorno al 1914 che il G. prese a cimentarsi con la statuaria di grandi dimensioni. Nella Pazza, una testa a grandezza naturale (Ortolani, tav. IX), si collegò ancora una volta alle tematiche sociali dell'epoca e si cimentò nello studio di uno stato mentale anomalo cercando i suoi modelli nella pittura caravaggesca (De Marinis, p. 136).
Verso il 1920 il G. conobbe A. Wildt, con il quale strinse una solida amicizia e instaurò un intenso rapporto epistolare che andò avanti fino al 1931, anno di morte dello scultore milanese. Le lettere di questo all'amico napoletano, oltre a testimoniare l'ammirazione e il reciproco appoggio in occasione di varie esposizioni, come la Biennale di Venezia del 1920, dove Wildt caldeggiò la partecipazione del G., sono altresì ricche di suggerimenti e consigli sulle opere che il G. sottoponeva all'attenzione del collega. Nel Cieco, eseguito nel 1925 (Ortolani, tav. XXVIII) e proposto alla Biennale veneziana dell'anno seguente (ripr. in catal., fig. 40), l'influsso di Wildt è visibile nell'accentuata tragicità dell'espressione che deforma i connotati del volto ritratto.
Nel 1921, con la presidenza onoraria di B. Croce, si apriva a Napoli la I Esposizione biennale nazionale d'arte, nel cui comitato organizzatore il G. figurava accanto a nomi illustri della cultura partenopea, quali Matilde Serao e S. Di Giacomo.
L'artista vi espose varie sculture, tra cui sono da ricordare la terracotta policroma Sonia (o La civetta), che ottenne un premio in denaro, e il ritratto in bronzo di Raffaele Viviani (1920: Ortolani, tav. XIV), comunemente ritenuto tra i migliori esiti della ritrattistica dello scultore che appare qui attratto dalla vena popolaresca del grande attore e commediografo napoletano. Nel busto si intravede l'influenza della scultura di V. Gemito, che aveva eseguito un ritratto dell'attore.
Negli anni Venti, oramai considerato un protagonista di punta della scultura napoletana, il G. veniva apprezzato soprattutto per la capacità di tradurre le emozioni e la vitalità dei soggetti in un linguaggio libero e immediato, fuori dalle convenzioni. Frequenti, nelle recensioni critiche, sono i richiami a Rodin, a M. Rosso, agli impressionisti, come anche ai primitivi del Quattrocento italiano e alla scultura greca arcaica (L. Giusso, in Giornale della sera, 15-16 dic. 1920).
Durante il 1922 il G. presentò alla XIII Biennale di Venezia due terrecotte policrome (Acquaiolo e Nei campi: ripr. in catal., fig. 5) e venne invitato alla mostra della Primaverile fiorentina, organizzata da S. Benelli, dove espose sette sculture. Tra il dicembre 1922 e il gennaio 1923 la galleria Corona di Napoli gli dedicò una personale.
Tra le opere scelte dall'autore per la mostra figurava il busto in bronzo del Senatore prof. Giuseppe De Lorenzo (Napoli, Università degli studi) messo a confronto da Ortolani con gli antichi ritratti etrusco-romani (tavv. XXIV-XXVI); nell'ambito della cospicua produzione ritrattistica del G. va segnalato anche il busto in bronzo di Libero Bovio (1929) conservato al Museo di S. Martino a Napoli.
Nel 1923 eseguì il Monumento ai caduti, in bronzo, per Muro Lucano e fu tra gli organizzatori, insieme con A. D'Orsi, della II Mostra primaverile del giornale La Fiamma. Allo stesso anno risale la prima partecipazione alle Sindacali campane, dove espose regolarmente durante gli anni Trenta. Alla XIV Biennale veneziana del 1924 il G. presentò La treccia e Popolana napoletana (ubicazione ignota: ripr. in catal., fig. 24) e due anni dopo tenne una nuova personale al Circolo artistico di Napoli.
Nel corso degli anni Venti l'orientamento classicista dello scultore andò accentuandosi, anche in conseguenza dell'affermarsi del gusto novecentista che tornava a esaltare il valore della tradizione artistica italiana. Nella produzione del G. si fecero più numerosi i temi mitologici, come la serie dei centauri, eseguita nel 1926. Si ricordano in questo ambito il Satiro e la ninfa (Ortolani, tavv. XXXIII-XXXIV) e La spina del 1916 (Napoli, collezione Tina Gatto: Vergine, ripr. p. 23) esposta nel 1930 alla personale presso la galleria Geri di Milano.
L'attività espositiva del G. proseguì intensa nel corso di questi anni. Nel 1928 fu ancora una volta alla Biennale di Venezia (dove tornò nel 1930, nel 1952 e nel 1954). Nel 1931 inviò una terracotta alla I Quadriennale d'arte nazionale di Roma. Nel contempo veniva chiamato sempre più spesso a eseguire commissioni a carattere pubblico. Nel 1935 preparò il bozzetto per il medaglione di Benedetto Croce in occasione del settantesimo compleanno del filosofo napoletano. Nel 1936 si svolse la cerimonia d'inaugurazione del busto del Duce scolpito dal G. per il palazzo di Giustizia di Napoli. Nel febbraio del 1940, sulla facciata del padiglione delle Missioni cristiane in Africa alla Mostra triennale delle terre italiane d'Oltremare, furono collocate due statue bronzee del G., rappresentanti la Vergine e l'Arcangelo Gabriele (F. Dell'Erba, in Il Giornale d'Italia, 6 febbr. 1940).
Da segnalare è anche l'attività di restauratore del G., che fu incaricato più volte dalla Soprintendenza. Nel 1940, per esempio, intervenne sul gruppo della Pietà di G. Mazzoni nella chiesa di S. Anna dei Lombardi.
Nel 1943 il G. fu colpito dalla scomparsa del figlio, ufficiale d'aviazione, morto durante un'incursione aerea nei cieli d'Africa. Dal 1944 il G. risulta tra i soci ordinari della ricostituita Accademia Pontaniana di Napoli, mentre nel 1950 fu accolto tra i membri della Società nazionale di scienze, lettere e arti.
Nel 1952 il Putto che piange venne proposto per il conferimento del premio A. Feltrinelli per la scultura. Nel 1953 l'Amministrazione provinciale di Napoli gli conferì il premio Gemito per La spina, acquistata dall'Università degli studi di Napoli quattro anni dopo. Sempre nel 1957 allestì una personale nella villa comunale della città presso la sede della Promotrice Salvator Rosa - della quale era stato nominato vicepresidente - dove, accanto a opere celebri, quali il ritratto di Raffaele Viviani, fu esposto Lo scugnizzo delle Quattro giornate (1946: Maiorino, ripr. p. 31) già presentato alla VI Quadriennale di Roma del 1951. Ancora nel 1957 fu inaugurato il monumento funebre del Cardinal Luigi Maglione, segretario di Stato di Pio XII, eseguito dal G. per la chiesa di S. Mauro Abate a Casoria. Un'importante esposizione antologica della sua opera fu ospitata l'anno seguente dalla galleria Medea di Napoli dove apparvero opere plastiche, alcuni dipinti a olio e disegni. Tra le sculture ivi presentate si ricordano Il centauro che beve e Orlando pazzo (Napoli, collezione Tina Gatto), nato dalla passione dell'artista per il poema ariostesco. Nel 1959 il G. fu insignito del premio Michetti per la pittura.
Il G. morì nella notte tra il 16 e il 17 nov. 1959 a Napoli, dove, presso la figlia Tina, si conservano opere e documenti, oltre alle lettere di A. Wildt.
Fonti e Bibl.: E. Giannelli, Artisti napoletani viventi, Napoli 1916, pp. 589-591; S. Ortolani, S. G. scultore, Napoli 1930; Id., in Mostra personale dello scultore S. G. (catal., Milano, Galleria Geri), Napoli 1930; C.L. Ragghianti, in Arte moderna in Italia. 1915-35 (catal.), Firenze 1967, p. 208; V. Corbi, Pittura e scultura dal 1860, in Storia di Napoli, X, Napoli 1971, p. 377; L. Vergine, Napoli '25/'33, Napoli 1971, pp. 12 s., 17, 23; M. Maiorino, Una scultura campana, Napoli 1984, pp. 30-34; M.S. De Marinis, in In margine. Artisti napoletani fra tradizione e opposizione 1909-23 (catal.), Milano 1986, pp. 136-142; Scultura italiana del primo Novecento (catal.), Roma 1993, pp. 110 s.; V. Vicario, Gli scultori italiani dal neoclassicismo al liberty, I, Lodi 1994, pp. 508 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 254; H Vollmer, Künstlerlexikon des XX Jahrhunderts, II, p. 208.