CANALE, Saverio
Nacque il 15 febbr. 1695 a Terni da Giovanni Maria, conte di Varolengo, e da Maria Caterina Gregori. La sua famiglia, di antica nobiltà, derivava il nome dal castello di Canale situato presso Amelia e dal 1449 risiedeva a Terni dove era annoverata fra le casate patrizie.
Nel 1710 il C. venne a studiare a Roma nel collegio Ghislieri e ben presto manifestò il proposito di intraprendere la carriera ecclesiastica. Egli fu portato a esprimere la sua vocazione religiosa non nell'ascesi, come il fratello Giammaria che fu canonico a Terni, ma nella vita attiva e a Roma percorse tutte le cariche della prelatura. Divenne ben presto famigliare del cardinale F. A. Fini maestro di camera di Benedetto XIII, che lo introdusse nell'ambiente della corte pontificia. Il C. fu anche assai vicino al cardinale Troiano Acquaviva protettore del Regno di Napoli, che riuniva nel suo salotto uno dei circoli d'élite della città. Probabilmente queste amicizie gli valsero il suo primo incarico pubblico: nel 1731 fu uditore della nunziatura di Spagna. Questi anni di soggiorno a Madrid costituirono l'unica parentesi diplomatica nella sua carriera che, per il resto, si svolse esclusivamente nel ramo amministrativo. La permanenza spagnola e i legami familiari (suo fratello Filippo fu intimo del re di Spagna) crearono intorno al C. la fama di essere un simpatizzante dei Borboni e questo non giovò a una sua ulteriore carriera politica.
Sempre nel 1731 il C. divenne abate commendatario di Subiaco. In questo incarico, che durò tutta la vita, modificò l'ordinamento delle abbazie e l'organizzazìone notarile e ampliò la giurisdizione dei tribunali ecclesiastici a scapito di quelli civili. Queste iniziative crearono un grave malcontento fra la popolazione, cosicché il suo successore monsignor Braschi, il futuro Pio VI, fu costretto a ristabilire la precedente sistemazione.
Rientrato a Roma nel 1731 il C. fu protonotario apostolico; l'anno successivo divenne censore di giustizia nell'Ordine di Malta e fu nominato ponente della Consulta nell'amministrazione pontificia. Nel 1738 ottenne l'appalto della Stamperia apostolica, che mantenne per ventisette anni durante i quali curò, fra l'altro, l'edizione delle decisioni rotali. Nel 1743 fallì il tentativo del cardinale Acquaviva di inviare il C. a Napoli in qualità di nunzio al posto di monsignor Gualtieri. Tale manovra borbonica non riuscì, ma in compenso il C. ebbe la nomina a chierico di camera. Nel 1744 fu governatore di Cesi e delle Terre Arnolfe presso Terni. Nel 1745 fu nominato canonico lateranense e sopraintendente di Collescipoli. Finalmente nel 1748 giunse la prima carica di vero impegno, la presidenza degli Archivi e della Zecca. Poi dal 1751 al '53 diresse la Grascia e nel '54 fu a capo dell'Annona.
Poco significativa fu la sua attività nel ricoprire queste cariche. Sia la Grascia sia l'Annona versavano in condizioni di grave disordine, e sarebbe stato necessario un risanamento radicale e una spinta rinnovatrice che assolutamente il C. non fu in grado di imprimere. Nel 1755 ordinò la costruzione di una cappella dedicata a s. Isidoro presso i granai delle Terme di Diocleziano; e nell'occasione, scrisse un'operetta agiografica, la Vita di s. Isidoro agricoltore (Roma 1756), erudita nella forma quanto povera nei contenuti.
Comunque, seppure sprovvisto del talento necessario per fronteggiare i gravi problemi derìvanti dalla crisì finanziaria, nel 1760 il C. fu creato tesoriere generale dello Stato pontificìo. L'alta carica poneva nelle sue mani un erario esausto. Nonostante questo, il C. stanziò subito i fondi per ultimare lo scalo del porto di Civitavecchia. Dovette poi fronteggiare, seguendo le direttive del pontefice, la carestia del 1763. Essendo esaurite le casse dello Stato, si attinsero 500.000 scudi al tesoro di castel Sant'Angelo per acquistare granaglie dalla Francia. Clemente XIII dette poi disposizione al suo tesoriere, nel 1763, di autorizzare i Monti dell'Abbondanza a concedere nuovi prestiti alla comunità per gli acquisti di grano. Sempre seguendo la volontà del pontefice il C. organizzò a Roma numerosi ricoveri per accogliere la folla di seimila immigrati che la carestia aveva spinto a rifugiarsi nella città, e aprì presso le Terme di Diocleziano dei depositi di grano e olio.
Queste spese straordinarie, in una situazione finanziaria già dissestata, costrinsero il C. nel 1764 a effettuare un inasprimento fiscale, che non servì a superare la crisi. Egli fu perciò congedato in buona forma, ottenendo l'alto onore della porpora cardinalizia nel concistoro del 21 luglio 1766. A reggere il tesorierato fu chiamato monsignor Braschi, mentre al C. fu affidata la diaconia di S. Maria della Scala e il protettorato della città di Terni. Divenne inoltre, secondo la prassi, membro di numerose congregazioni cardinalizie. Questi ultimi anni li trascorse dividendosi fra Roma e Terni, dove nel suo palazzo aveva raccolto una ricca biblioteca. Nel 1769 partecipò al conclave che elesse Clemente XIV. Morì a Roma il 20 marzo 1773.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Codice Ferraioli 366, f. 46; Notizie per l'anno 1736, Roma 1736, pp. 97-98; L. Berra, Il diario del conclave di Clemente XIV del card. F. M. Pirelli, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, LXXXV-LXXXVI (1962-1963), pp. 25-319; passim; G. De Novaes, Vita de pontefici, XV, Roma 1822, p. 111; J. Gendry, Pie VI, I, Paris s. d. (ma 1906), pp. 22, 142-143; M. De Camillis, Il cardinal S. C., in L'Osservatore romano, 14 marzo 1942; F. Nicolini, Uomini di spada, di chiesa, di toga ai tempi di G. B. Vico, Milano 1942, pp. 49-90, 429-434; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 1, Roma 1950, p. 1027 n. 4; G. Moroni, Diz. di erudix. storico-eccles., VII, p. 151 e ad Indicem;V. Spreti, Enc. storico-nobitìare, II, p. 165.