Saul
Primo re degli Ebrei, unto e deposto dal profeta Samuele, salì al trono nel 1030 a.C. e si uccise, nel 1010 a.C., gettandosi sulla propria spada per non cader prigioniero dei nemici dopo la sconfitta, a opera dei Filistei, presso Gelboa (Gelboè) nella Palestina meridionale.
Come tutte le altre ‛ figure ' operanti nei Libri dei Re, e più precisamente Samuele, David, Salomone e il profeta Natàn, anche S. era destinato a diventare exemplum di punizione ‛ ratione peccati ' nella lotta dei teocratici contro gli antiierocratici per comprovare sul fondamento della Scrittura la superiorità dello spirituale sul temporale. E ciò in grazia della convinzione tutta figurale che riteneva per ovvie ragioni che proprio i Libri dei Re dovessero essere considerati il simbolo più veritiero del regnum Christi e insieme, per i ‛ fatti ' narrati, quello ben più necessario dell'intervento provvidenziale di Dio nelle vicende umane, come si legge nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (" A Saule itaque coeperunt in Israel tempora regum, et a Samuele tempora nominatorum prophetarum... in morte Saulis terminatur aetas saeculi tertia... Ex chronicis David itaque primus de tribu Iuda regnavit apud Hebraeos annis 40. in ipso Regni eius principio exordium habuit quarta aetas, non ut quidam volunt, pro regni Iudaeorum initio cum inchoasset a Saule; sed pro innovatione promissionis olim patribus factae de Christo, et regno Christiano ", fol. 69) da considerarsi terminus ad quem, insieme con la Historia Scholastica di Pietro Comestore, di tutta la tradizione esegetica e teologico-politica medievale, ribadita anche nei simboli iconografici e nelle formule liturgiche.
Tutti gli esegeti, infatti, e massime i maggiori, considerarono S. sia " figura quae ad Iudaeos spectat ", come s. Isidoro la cui definizione " [Saul] Iudaici populi insinuat reprobationem, sive eiusdem populi aemulationem, qui David, id est Christum, iniusto iudicio conatus est perdere " (Patrol. Lat. LXXXIII 112), fu ripresa da Rabano Mauro (CXI 58), oppure " figura quae haereticos et impios repraesentat ", come con forte immagine scrisse s. Gregorio Magno, nel Regulae Pastoralis Liber (" [Saul] malos pastores, potentum elationem et mortem praesignat ", LXXVII 53-55), la cui definizione fu ribadita da s. Bruno di Chartres e ulteriormente elaborata da Ruperto di Deutz che nel De Trinitate et operibus eius fortemente rammemora la condanna di S. per aver disobbedito al precetto divino: " vade et percute Amalech " (I Reg. 15, 3).
Nominato direttamente tra gli esempi di superbia punita (O Saùl, come in su la propria spada / … morto parevi, Pg XII 40) nell'acrostico significante l'umanità (VOM), S. diventa ‛ figura ' chiave nel sistema teologico-politico di D. negli altri passi sia della Monarchia, ove il giudizio di Dio rivelato a Samuele (in I Reg. 15, 10-11) è offerto come prova di rivelazione diretta (Mn II VII 8) e ove l'unzione e la deposizione a opera sempre di Samuele (I Reg. 10, 1; 15, 23-28) sono ancora offerte come prove di volontà divina (Mn III VI 1), sia dell'epistola a Enrico VII ove, trascrivendo alla lettera il passo del I Reg. 15, 17, D. non manca di sottolineare, per spronarlo all'azione soteriologica (Praecaveant sacratissimi regis alta consilia, ne coeleste iudicium Samuelis illa verba reasperent: " Nonne cum parvulus esses in oculis tuis, caput in tribubus Israel factus es, unxitque te Dominus in regem super Israel, et misit te Deus in via et ait: Vade et interfice peccatores Amalech? ", Ep VII 19), quel coeleste iudicium che condannò S. alla perdita del regno e alla morte.