Vedi SATURNIA dell'anno: 1966 - 1997
SATURNIA (v. vol. VII, p. 78)
All'interno del circuito delle antiche mura di cinta, nel settore N dell'abitato sono emerse estese tracce di un insediamento databile al Bronzo Finale, con rinvenimento di una cospicua serie di materiali ceramici in strati a diretto contatto della roccia, ma senza alcun riscontro di strutture. Essi sono riferibili in gran parte a vasi ovoidi, talora provvisti di cordonature plastiche sotto l'orlo, e a ciotole con orlo rientrante, fornite o meno di ansa obliqua a sezione triangolare; assai rari sono i frammenti decorati a incisioni o a cuppelle. Relativamente alla protostoria del territorio è da ricordare che da località non precisabile fra S. e Montemerano provengono due ripostigli di bronzi (Montemerano I e Montemerano II), o più probabilmente resti di corredi tombali, ascrivibili, come un'isolata panella di bronzo proveniente dalla stessa S., alla fase 2 del Bronzo Antico. Ancora da S. è attestata la provenienza di una fibula con staffa a spirale databile al Bronzo Finale. Relativamente alle fasi di VII e VI sec. a.C., così ampiamente testimoniate dalle necropoli circostanti, i varî settori di scavo non hanno consentito finora di evidenziare alcuna testimonianza relativa a edifici, ma numerosi materiali rinvenuti in giacitura secondaria comprovano la frequentazione in tale periodo, mentre è da rilevare l'assenza di dati relativi all'Età del Ferro.
Nell'area O è stata messa in luce parte di una monumentale platea quasi rettangolare di blocchi ortogonali di tufo fiancheggiata da grosse basi circolari, anch'esse in tufo e sulle quali si impostavano colonne lignee che a loro volta sostenevano una copertura a tegole e coppi su capriate. Questa struttura, della quale è incerta ancora la funzione (propileo, fronte di grande fontana?), costituisce l'unico resto oggi visibile della città etrusca: rinvenuta sigillata da un omogeneo strato di distruzione databile al primo quarto del III sec. a.C., è da ascrivere al IV sec. a.C. Rilevante è il fatto che in quasi tutti i saggi condotti nell'area della città antica è stata riscontrata la presenza di questo strato di distruzione, consistente e omogeneo: esso è stato messo in relazione con la conquista della città a opera dei Romani attorno al 280 a.C., data della caduta di Vulci, del cui territorio S. doveva far parte, e alla conseguente imposizione della praefectura sulla città. Fra la data di questo strato di distruzione e la metà circa del II sec. a.C. sembra archeologicamente attestato uno iato nella frequentazione: gli strati relativi alla colonia romana si sovrappongono a sottili strati sterili o direttamente allo strato di distruzione testimoniando, unitamente all'assenza di materiali databili alla seconda metà del III-inizio del II sec. a.C., un abbandono totale dell'abitato etrusco durante il periodo della praefectura. Le più antiche testimonianze di età romana sono costituite da estesi resti di una domus con pavimenti in opus signinum databili attorno alla fine del lI-inizio del I sec. a.C., situati anch'essi nell'area SO della città.
La vitalità della città romana è testimoniata dal considerevole numero di epigrafi latine rinvenute nel suo territorio, molte delle quali riferibili al periodo tra la fine dell'età repubblicana e l'inizio dell'età imperiale. Nel territorio, il moderno abitato di Poggio Murella conserva i resti di un mausoleo a torre cilindrica con basamento rettangolare e di un complesso di età giulio-claudia annesso a un imponente sistema di riserva idrica costituito da tre cisterne in muratura; di esse la maggiore, ancora in gran parte coperta da volte a botte sostenute da pilastri quadrati, ha una capacità volumetrica di 4.000 m3 (m 33,80 X 15, 35 Χ 8). La destinazione di tale complesso rimane incerta, non essendo provato che servisse all'approvvigionamento idrico della città di Saturnia.
Delle vaste e sparse necropoli etrusche che circondano l'abitato e che a Pian di Palma, sulla riva destra dell'Albegna, formano diversi e distinti nuclei, è stata indagata e restaurata la necropoli del Puntone, separata dalla rupe di travertino su cui sorge S. dal solo corso dell'Albegna. Saccheggiata alla fine del secolo scorso da R. Mancinelli e fuggevolmente menzionata dal Minto, è costituita da circa trenta tombe a camera e piccolo tumulo caratterizzate, nella quasi totalità dei casi, dalla particolare tecnica di copertura «a capanna», nella quale vengono utilizzati lastroni monolitici rozzamente rettangolari di travertino posti a spiovente e sorretti da un pilastro centrale costituito anch'esso da un lastrone analogo. La camera può essere seminfossata nel banco di travertino o interamente costruita, utilizzando per le pareti lo stesso tipo di lastroni della copertura; è quasi sempre accertata la presenza del tumulo, costituito da piccole scaglie di travertino sovrapposte per piatto in cerchi concentrici di diametro inferiore procedendo verso la sommità. Talora è presente un basso tamburo; in soli due casi sul tumulo e sul perimetro esterno del tamburo sono attestati ripostigli rettangolari. Tra i materiali si segnalano ceramiche di impasto decorato a lamelle metalliche applicate e pochi esemplari di ceramica etrusco-corinzia, questi ultimi riferibili alla produzione vulcente della fine del VII sec. a.C. Il floruit della necropoli è da porre dalla prima metà del VII sec. a.C. alla prima metà del VI sec. a.C., con un'utilizzazione di pochi complessi tombali che si prolungò sino alla fine del VI sec. a.C. e sporadiche riutilizzazioni in età tardoantica.
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