satira
Il termine satura (da satur), ricorrente in Tito Livio e in altre fonti antiche, indica una forma di spettacolo romano-etrusco misto di danza, recitazione, musica, canto e gesticolazione. Tale forma si mantenne sino all'innovazione operata da Livio Andronico nel 240 a.C., quando furono adattati per il teatro romano drammi greci.
Nel Medioevo la funzione censoria e la vena satirica greca e romana trovarono nuova linfa nelle particolari condizioni politiche, sociali e religiose; si ebbe perciò una satira morale, politica, sociale, antichiesastica, antifemminile e del costume. Non che i poeti satirici di Roma fossero dimenticati; anzi la loro fortuna fu grande: Orazio fu noto soprattutto come autore delle Satire e delle Epistole; Persio ebbe vasta diffusione, come attestano manoscritti e scolii; Giovenale, designato antonomasticamente come ‛ Ethicus ', fu tra i più letti e gli toccò, in un certo senso come a Virgilio, di essere cristianizzato nella tradizione popolare; per fare un esempio solo, ma significativo, Vincenzo di Beauvais (Speculum historiale I VII 67-70, II IX 37-39) raccolse le loro sentenze morali. Associata al concetto di poesia didascalica, in obbedienza alla funzione assegnata alla poesia in genere, la satira costituì nelle norme canoniche codificate (non senza però varianti anche di notevole rilevanza) dai grammatici, trattatisti e commentatori medievali un genere letterario ben definito (historicum), distinto dalla tragedia (philosophicum), dalla commedia (delectabile) e dall'elegia (lamentabile). Accanto alla satira letteraria, nelle sue forme svariatissime, fiorì assai rigogliosa anche quella popolare e popolaresca; di entrambe furono divulgatori i giullari, ma della seconda non ci è giunto pressoché nulla.
Come documento del definitivo trapasso dall'età classica a quella media, con l'eco delle lotte e controversie religiose e dei contrasti tra imperatori e papi, si ricordano, ognuna con caratteristiche sue proprie, la satira di Liutprando (morto intorno al 972), il Carmen de Aquileia numquam restauranda (844-855), i sermoni oraziani di Amarcio (metà del sec. X), la Cantilena super statura Alberti (962) e altre meno note di fautori dell'Impero o della Chiesa, spesso molto violente nel linguaggio. Successivamente la lotta per le investiture e le controversie religiose offrono l'occasione a nuovi spunti e motivi satirici, che si aggiungono a quelli già noti: si ricordi s. Pier Damiano (per la riforma ecclesiastica), il frate normanno Goffredo Malaterra, il vescovo Ildelberto di Tours, il Tractatus Garsiae Tholetani canonici de Albino et Rufino (1099 circa), il Rhythmus de novissimis temporibus di Pietro Diacono Cassinate (inizio del sec. XII).
Sviluppo notevole ebbe anche la satira allegorica, destinata a diffondersi in tutta Europa sino alla fine del Quattrocento con Reynke de Vos (Reinecke Fuchs), che considera rispecchiati negli animali i vari tipi di uomini e che ha il suo punto di partenza nell'Ecbasis captivi (sec. X) e nell'Ysengrinus (composto a Gand nella metà del sec. XII), da cui dipende il Roman de Renart (sec. XII-XIII).
Tra le varie categorie sociali furono presi di mira gli usurai, i ricchi borghesi, le donne, ma soprattutto il clero e la stessa curia di Roma, di cui furono messe a nudo l'avarizia, la venalità, la simonia, il nepotismo, ovvero la licenziosità dei costumi, il lusso, l'ipocrisia e l'ignoranza (" fures... non pastores " sono detti i sacerdoti nei Carmina Burana I XCI, ediz. Hilka-Schumann, e " latrones, non latores, / legis Dei destructores ", I X). Documenti di questa satira per diversi aspetti assai significativi sono, oltre ai canti goliardici, l'Apocalypsis Goliae, grottesca parodia della visione biblica, il Priesterleben di Heinrich von Mölk e il Libro de buen amor dell'arciprete di Hita. Il degenerare della nobiltà di sangue diviene oggetto di satira violentissima (Carmina Burana I VII " Nobilis est ille, quem virtus nobilitavit; / degener est ille, quem virtus nulla beavit "; Alessandro Neckam De Vita monachorum, pp. 185-186: " Tu reges atavos memoras magnosque parentes / et vana carnis nobilitate tumes: / nescis cunctorum quod sit communis origo / ... Quid sibi nobilitas et clarum nomen avorum / si vitiis servus factus es ipse tuis? / Nobilis est animi quisquis virtute refulget "). Si ricordano, inoltre, le cantigas (portoghesi e spagnole) d'escarneo e de maldiier, il Roman de la Rose, le poesie di Rutebeuf, la satira politica assai rigogliosa sia in forma letteraria che in innumerevoli canzoni popolari; i sirventesi provenzali, le liriche di Walter von der Vogelweide in Germania, e in Italia i Gesta Berengarii, le satire contro il Barbarossa ed Enrico VI, il De Rebus Siculis carmen di Pietro Ansolini da Eboli, la Chronica di Fra Salimbene (contro gli abusi del clero), la tenzone politica fra Provenzano e Ruggieri Senesi (1262), la satira contro i ghibellini; quindi Guittone, Brunetto Latini e Iacopone; infine le rime giocose tra Due e Trecento.
Il fine morale e didattico della cultura medievale, che fece apprezzare i poeti satirici di Roma, spiega anche l'interesse di D. per questo genere letterario e per i suoi poeti più rappresentativi. In Cv IV XXIX 4 ss. D., argomentando sul concetto di nobiltà, tema ricorrente in Pg VII 121 ss., si richiama esplicitamente a Giovenale, di cui parafrasa i vv. 1-24, 30-34, 54-55 della satira VIII, riprendendo le espressioni più significative del poeta latino (Che fanno queste onoranze rispecchia " stemmata quid faciunt ", v. 1; male si vive " male vivitur ", v. 9; nobile per la buona generazione quelli che de la buona generazione degno non è richiama il v. 6 e soprattutto i vv. 30-32 " quis enim generosum dixerit hunc qui / indignus genere et praeclaro nomine tantum / insignis? "; Questo non è altro che chiamare lo nano gigante il v. 32 " nanum cuiusdam Atlanta vocamus " e, infine, Da te a la statua fatta in memoria del tuo antico non ha dissimilitudine altra, se non che la sua testa è di marmo, e la tua vive i vv. 54-55 " nullo quippe alio vincis discrimine quam quod / illi marmoreum caput est, tua vivit imago "). Della stessa satira D. cita, sebbene in forma inesatta, il v. 20 in Mn II III 4 (nobilitas animi sola est atque unica virtus).
L'esplicito e puntuale riferimento alla prima parte della satira VIII nel passo del Convivio (risponde Giovenale ne l'ottava satira, quando comincia quasi esclamando) dev'essere considerato un elemento a favore della diretta conoscenza da parte di D., che riprende le espressioni meglio caratterizzanti il tema morale di cui argomenta, prescindendo dall'ampia esemplificazione presente nell'Aquinate, ma marginale ai fini della sua trattazione. Dell'alto concetto in che egli ebbe Giovenale, nonostante il dichiarato dissenso - in verità più formale che sostanziale - espresso peraltro con rispetto (con reverenza lo dico, mi discordo dal Poeta, § 5), è testimonianza l'espressione poeta satiro (§ 4), che richiama Orazio satiro di If IV 89 attestante la grande ammirazione del poeta per il Venosino come autore dei due libri di Satire, per i quali il poeta latino andò famoso per tutto il Medioevo, rispondenti al concetto morale-pedagogico dell'arte proprio di quel periodo tendente a scoprire, attraverso l'interpretazione allegorica, insegnamenti morali e massime di contenuto cristiano anche nei poeti della letteratura di Roma. E D., studioso e ammiratore di Orazio, lo tenne in conto di sommo maestro d'arte (cfr. VE II IV 4 magister noster Oratius). V. GIOVENAE; Orazio.
Della satira come genere letterario si fa menzione in Ep XIII 32 Sunt et alia [cioè oltre la Commedia] genera narrationum poeticarum, scilicet carmen bucolicum, elegia, satira, et sententia votiva, ut etiam per Oratium patere potest in sua poetria. Della catalogazione dei generi letterari abbiamo ampie testimonianze nei grammatici, nei trattatisti e nei commentatori medievali concordi, come si è detto, nel distinguerla - sebbene con alcune non trascurabili varianti -, dalla commedia, dalla tragedia e dall'elegia. In essa coesistono nel Medioevo il concetto di poesia etico-morale derivante dai poeti satirici di Roma (Orazio, Persio e Giovenale) e quello profondamente radicato e determinato dalla nuova humus letteraria storica e sociale, attestati nelle stesse interpretazioni etimologiche del termine in Isidoro di Siviglia (V 16), Giovanni da Genova, Papia e Uguccione.
Bibl. - P. Lehmann, Die Parodie im Mittelalter, Monaco 1922; V. Cian, La satira, I, Milano 1923.