SARDAGNA, Carlo Emanuele, von Hohenstein
SARDAGNA, Carlo Emanuele, von Hohenstein. – Nacque a Trento il 22 marzo 1772 da Giuseppe Carlo e da Perpetua Aloisia (Luisa) Pizzini, originaria di Rovereto.
Il padre, ottenuto il titolo di conte nel 1790, cominciò a fregiarsi di diversi predicati di nobiltà (von Hohenstein, dal nome della montagna alle cui pendici sorgeva Sardagna, località d’origine della famiglia; von Meanberg, dal villaggio di Meano, ricevuto in feudo; Neuburg, dal quartiere di Trento dove avevano casa). Nel 1786 Carlo Emanuele iniziò gli studi presso il ginnasio cittadino; li proseguì poi, dal 1790, al collegio germanico-ungarico di Roma, dove si addottorò in filosofia e teologia nel 1793. Ebbe l’onore di recitare nella cappella del Quirinale la tradizionale orazione latina per la festa di Tutti i santi, alla presenza di Pio VI (De festo Omnium Sanctorum oratio ad SS. Dominum Nostrum Pium Sextum Pont. Opt. Max. habita in sacello Quirinali kal. novembr. MDCCLXXXXIII a Carolo Emmanuele Sardagna, Romae 1793); il pontefice, che ne rimase colpito, lo volle incontrare in colloquio privato per ricordare il suo soggiorno a Rovereto e la buona accoglienza ricevuta dalla famiglia Pizzini. Ordinato sacerdote il 7 dicembre 1794, rimase a Roma ancora altri due anni.
Rientrato in diocesi, dal 1797 fu coadiutore nella parrocchia di Mezzo Tedesco (oggi Mezzocorona), dove era parroco lo zio materno Gian Giacomo Pizzini, prelato domestico, canonico e proposto di Trento. Nel 1799 divenne arciprete di Mori, in Vallagarina, rimanendo coinvolto, nel 1809, negli scontri tra l’esercito di Andreas Hofer e le truppe napoleoniche: quando alcuni ribelli entrati nella chiesa parrocchiale di Mori si misero a suonare le campane per invitare la popolazione alla sollevazione e il generale Achille Fontanelli, comandante del locale presidio napoleonico, ordinò la rappresaglia con l’esecuzione sommaria di cinque presunti ribelli, egli si presentò al generale e, offrendo la sua vita per la salvezza dei parrocchiani, ottenne il rientro delle truppe nel presidio. Nel 1802, pur rimanendo parroco di Mori fino al 1811, fu nominato canonico della cattedrale di Trento in sostituzione di Francesco Felice degli Alberti d’Enno, e vicario generale in spiritualibus.
Si distinse per le sue capacità di governo pastorale in sostituzione del vescovo Emanuele Maria Thun, che nel 1802 si era ritirato in esilio volontario a Gorizia, da dove tornò solo nel 1810. Dalla morte di Thun (1818) resse la diocesi come vicario capitolare, in attesa del nuovo vescovo, Francesco Saverio Luschin, che, giunto nel 1823, lo volle di nuovo come vicario generale.
Nel 1823 nominò l’amico Antonio Rosmini, conosciuto e stimato dal 1815, esaminatore prosinodale. Promosso decano del capitolo della cattedrale, grazie alla generosità di Gioseffa Margherita Rosmini, sua congiunta roveretana, favorì l’istituzione in Trento di una casa di canossiane per l’educazione delle fanciulle povere (1827).
Forse su segnalazione del presidente del tribunale civile di Milano Antonio Nazzetti, a lui legato da parentela per il matrimonio con Lucia Sardagna di Hohenstein (1810), fu designato vescovo di Cremona da Francesco II d’Austria (12 marzo 1830). Eletto da Gregorio XVI il 28 febbraio 1831 e consacrato a Trento il 10 aprile seguente dal vescovo Luschin, entrò solennemente nella sua diocesi in occasione della festa dell’Ascensione (12 maggio 1831). Accolto con entusiasmo, amministrò la diocesi con cura e zelo. Nel 1834 indisse la visita pastorale, che concluse due anni dopo. Scrisse diverse lettere pastorali. Favorì l’apertura di una casa di canossiane, per le quali acquistò in città il palazzo Pallavicino (l’istituto fu inaugurato il 24 maggio 1836, anche se l’opera iniziò a fatica, con solo dodici bambine, a causa del colera). A sue spese eresse il primo nucleo del nuovo seminario minore, dedicato a s. Carlo Borromeo. Introdusse in diocesi la Pia Opera di S. Dorotea per l’assistenza alle fanciulle povere nelle parrocchie, voluta da don Luca Passi, che egli invitò in diocesi per la predicazione del quaresimale del 1834 e per la missione popolare dell’anno seguente.
Nominò esaminatore prosinodale Ferrante Abele Aporti (1836), lo incoraggiò nell’opera educativo-assistenziale a favore delle fanciulle e gli affidò l’incarico della formazione catechetica degli ebrei che avessero voluto convertirsi al cattolicesimo. Al vescovo, il dotto educatore dedicò i due volumi delle Memorie di storia ecclesiastica cremonese (Cremona 1835).
L’episcopato cremonese di Sardagna fu caratterizzato da tre preoccupazioni pastorali: la formazione del clero, il contenimento delle tendenze tardogianseniste, la promozione di una diffusa presenza rosminiana in diocesi.
L’attenzione alla formazione del clero emerge con chiarezza già dalla prima lettera pastorale, redatta a Trento il 10 aprile 1831, e lo pone in continuità con il predecessore Omobono Offredi. Tuttavia, le sue premure partivano dai presupposti di una spiritualità di tipo rosminiano e richiedevano perciò una trasformazione dei programmi e dei contenuti degli insegnamenti del seminario maggiore, che, con le riforme del 1792 e del 1819, aveva assunto una precisa identità nella formazione teologico-pastorale dei chierici, ispirandosi ai modelli del Frintaneum di Vienna e caratterizzandosi per le inclinazioni portorealiste e lamennaisiane suggerite da Alessandro Maria Pagani e dai suoi allievi. Non per niente il nuovo vescovo incontrò diversi ostacoli nel perseguimento di questo obiettivo e il tentativo di affidare ai rosminiani la formazione dei chierici restò limitato al nuovo seminario minore e si concluse con il suo episcopato.
La forte presenza tardogiansenista nella diocesi fu l’altra preoccupazione di Sardagna, anch’essa precoce, se già il 5 luglio 1831 chiese al cugino Giulio Todeschi di pregare Rosmini di approntargli una sorta di regola sul come riconoscere i veri dai presunti giansenisti. Dopo aver preso visione di un elenco di una quarantina di preti indicati come giansenisteggianti, egli dovette tuttavia confessare al cugino che si trattava dei più dotti, zelanti e irreprensibili sacerdoti della diocesi (appena giunto a Cremona sostituì diversi parroci e arcipreti, e tra questi alcuni in fama di giansenisti; è però difficile comprendere se in queste scelte vi fosse una precisa strategia oppure se dipendessero da sole ragioni amministrative e pastorali). Nello scontro con le inquiete coscienze della diocesi, Sardagna usò cauta tolleranza, una certa mitezza e un’autorità paterna secondo lo stile suggerito da Rosmini nell’opera Delle cinque piaghe della Santa Chiesa.
Puntò ad avere in diocesi una casa dell’Istituto della Carità di Rosmini. Gliene scrisse, manifestando tutta la sua impazienza, rendendosi disponibile a ospitare quattro o sei religiosi nell’espiscopio, garantendo loro anche generosi contributi finanziari. Ma non riuscì a centrare l’obiettivo: a Cremona ci fu qualche rosminiano nel seminario minore, ma fu possibile aprire solo una casa di canossiane, appoggiate e sostenute da Rosmini. Alcuni sacerdoti, tra i quali anche il noto educatore Aporti, si opposero con fermezza alla decisione del vescovo. Gli scopi educativi e caritativi dei due ordini rosminiani, infatti, venivano a scontrarsi con una tradizione assai radicata in città, fondata sulla cooperazione fra autorità civile e religiosa, che rendeva inutile, quando non deleteria, la presenza di congregazioni religiose, la cui azione educativa e assistenziale non era garantita da una professionalità riconosciuta e sanzionata dalle autorità civili. Senza ostilità nei confronti di Rosmini, i cui scritti circolavano ed erano apprezzati proprio presso gli ambienti tardogiansenisti di Cremona, si reagiva ai modelli di carità, educazione e formazione del clero imposti dal vescovo perché ispirati al pensiero rosminiano, ma estranei all’ambiente culturale locale e alla secolare tradizione lombarda.
Sardagna fece parte dell’Accademia degli Agiati di Rovereto dal 1836. Suoi versi giovanili apparvero in una pubblicazione antologica (Poetici componimenti, Mori 1799). Tenne corrispondenza con Rosmini, oggi conservata a Stresa, presso l’Archivio storico dell’Istituto della Carità.
Il 10 novembre 1837 rinunziò alla diocesi, allontanandosene di lì a qualche giorno, dopo essersi congedato dal clero e dal popolo con una lettera pastorale in cui avanzava come motivazione la debolezza e l’incapacità a reggere adeguatamente l’ufficio (Lettera pastorale di monsignor Carlo Emanuele Sardagna de Hohenstein, vescovo di Cremona, al clero e al popolo della diocesi, coll’aggiunta delle Glorie di Somasca, Lugano 1838).
Queste incertezze, le aveva confidate già nel 1833 all’antico amico e consigliere Rosmini. A lui raccontava il rammarico di Gregorio XVI, che tuttavia gli aveva lasciato piena libertà di decisione, e le pressioni della corte imperiale, che non gradiva affatto l’idea che abbandonasse la responsabilità diocesana; a lui esprimeva pure il desiderio di entrare a far parte dell’Istituto della Carità, che sentiva conforme alla sua aspirazione alla vita ritirata e ascetica. Da Rosmini, tuttavia, ricevette piena disponibilità ad accoglierlo fra i suoi religiosi, se davvero lo avesse voluto, ma anche incoraggiamenti a restare sulla sede episcopale di Cremona, pensando a tutto il bene che poteva fare nell’esercizio di quell’ufficio, e a non caricarsi la coscienza di scrupoli eccessivi: «dobbiamo essere dolci anche verso noi stessi, e non esigere troppo dalla nostra debolezza» (A. Rosmini-Serbati, Opere edite e inedite, XXXI, 1857, p. 349, lettera del 2 febbraio 1834).
Lasciata Cremona, fu promosso arcivescovo titolare di Cesarea (21 febbraio 1839). Si ritirò a Somasca (Bergamo), presso la casa dei chierici regolari, ma le incerte condizioni di salute lo indussero ad accettare l’invito della cugina Teresa Pizzini a trasferirsi da lei, a Rovereto, dove giunse il 18 aprile 1839.
Morì a Rovereto la sera del 12 gennaio 1840 e fu sepolto in città, nella chiesa arcipretale di S. Marco. Le iscrizioni per i suoi funerali furono riportate a stampa da Domenico Zanelli (Iscrizioni italiane, Firenze 1840, p. 9).
Fonti e Bibl.: Documentazione essenziale su Sardagna è presso gli archivi storici diocesani di Trento e di Cremona. Inoltre: Catalogus cleri [...] dioecesis Tridentinae, Trento 1803, pp. 5, 46; 1911, pp. 33 s.; Alcuni cenni storici pel fausto ingresso nella diocesi di Cremona di Mons. vescovo Carlo Emanuele Sardagna de Hohenstein di Trento, già ivi decano della cattedrale, con lettere inedite del cardinale Francesco Sfondrati, cremonese, Milano 1831; [A. Mazzetti], Pel solenne ingresso nella diocesi di Cremona di monsignor vescovo C. E. S. de Hohenstein da Trento. Cenni storici sulle antiche relazioni fra queste due città, con lettere inedite del cardinale Francesco Sfondrati cremonese. Seconda edizione accresciuta, Milano 1831; Per l’esaltazione di monsignor Carlo Emmanuele Sardagna de Hohenstein al pontificato di Cremona. Versi, Casalmaggiore 1831; A. Rosmini-Serbati, Opere edite e inedite, XXXI, Torino 1857, pp. 324 s., 340-342, 347-349; G. Tovazzi, Parochiale Tridentinum, a cura di R. Stenico, Trento 1970, p. 293; Lettere pastorali dei vescovi della Lombardia, a cura di X. Toscani - M. Sangalli, Roma 1998, pp. 199-200.
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