DANDOLO, Saraceno
Figlio di Marco quondam Pietro, abitante a S. Canciano, appartenne al ramo di S. Fantin della nota famiglia patrizia veneziana. Ebbe un'attiva e prestigiosa carriera politica nella seconda metà del Trecento. Sulla sua nascita e sulla sua morte non abbiamo notizie precise; il suo matrimonio, con Franceschina figlia del quondam Tomaso Caotorta, avvenne intorno all'inizio dell'anno 1365.
Sebbene manchino indicazioni di possibili omonimie, considerazioni cronologiche lasciano in dubbio l'identità del D. col Saraceno Dandolo eletto nel 1352 alla podesteria minore di Torre delle Bebe (vicino a Chioggia). Nel 1363 il D. fu sopracomito di una delle galere inviate per reprimere la ribellione di Creta. Nel 1365 fu capitano delle due galere che accompagnarono in Levante Amedeo VI, conte di Savoia, partito per una crociata più imbarazzante che utile per Venezia. Del 1365 e 1367 ci sono pervenuti documenti riguardanti la sua vita privata: si tratta di carte relative alla dote della moglie, e di un permesso per portare fuori Venezia due schiave. Nel 1368 il D. venne mandato con rinforzi militari a Conegliano Veneto, nel Trevigiano, in occasione del viaggio italiano dell'imperatore Carlo IV, le cui truppe provocarono danni nel passaggio per la provincia. Nel 1368 fu anche sopracomito sulle galere mobilitate per la custodia veneziana dei mari; partecipò probabilmente pure alla spedizione veneto-genovese ad Alessandria per rivendicare la liberazione di mercanti e beni italiani. Nel 1369, sempre come sopracomito, fu mandato contro la città ribelle di Trieste.
Tornò a Trieste, sembra nel 1370-71, come provveditore con funzioni di podestà; compì il suo mandato tra preoccupazioni e prese provvedimenti soprattutto militari per rafforzare il dominio veneziano sulla città. La successiva notizia relativa al D. è quella del comando, affidatogli nel 1375, dei vascelli mandati a trafficare ad Alessandria, nel quadro delle rivalità commerciali sempre più accese che contrapponevano Venezia a Genova nei porti del Mediterraneo orientale. Nel 1377 fu consigliere ducale: segno di un prestigio destinato ad aumentare nel corso dell'ormai inevitabile guerra di Chioggia. In quello stesso anno venne mandato, come provveditore, ad ispezionare le difese del Trevigiano. Nel 1380 - a fianco di Carlo Zen, capitano - fu governatore delle milizie veneziane dislocate attorno a Chioggia; a giugno fu protagonista dell'accordo raggiunto con queste. Quindi, scongiurato il minacciato tradimento e presa Chioggia, si distinse nell'espugnazione di Torre delle Bebe. Nel mese di settembre, morto Vettor Pisani, passato lo Zen al comando della flotta, guidò l'esercito in un tentativo di ristabilire le comunicazioni lungo il Sile con Treviso assediata dalle forze carraresi. L'azione fallì. Tra l'autunno del 1380 e l'autunno del 1381 fu il primo podestà della riconquistata e devastata Chioggia; in tale veste promosse iniziative per ripristinare le saline e diresse la revisione degli ordinamenti amministrativi.
L'epilogo di questa podesteria si ebbe nel 1401, quando il Senato ordinò che venissero restituite a Rovigno le spoglie di s. Eufemia portate dai Genovesi a Chioggia e che il D. aveva, dopo la vittoria, fatto traslare a Venezia, nella parrocchiale di S. Canciano.
Probabilmente verso la fine del 1381 il D. fu mandato presso il duca d'Austria per protestare contro danni compiuti dalle forze austriache di stanza a Treviso. Nel 1382 fu inviato a Tenedo come provveditore nella spedizione incaricata di superare la caparbia resistenza opposta da Zanachi Mudazzo all'abbandono veneziano dell'isola imposto dal dettato della pace di Torino. Il D. aveva anche ricevuto istruzioni per avviare trattative con il sultano turco. Nel viaggio di ritorno Giovanni Bembo, collega del D. come provveditore, fu catturato e ucciso dai Turchi.
A causa della parte da lui avuta nella sofferta vicenda di Tenedo, qualche anno più tardi, nel 1385, fu coinvolto in un penoso episodio. In Senato il D., che appoggiava - pare - le scelte impopolari che gli era toccato eseguire, si dichiarò contrario alla concessione della grazia che era stata chiesta per uno dei complici del Mudazzo, Pantaleone Barbo. Alla sua esposizione replicò con ingiurie uno dei suoi colleghi, Blasio Malipiero, che perciò venne processato dagli Avogadori. Toccò proprio al D., divenuto consigliere ducale, rendere esecutiva nel marzo successivo la reintegrazione pecuniaria a favore del Mudazzo.
Nel 1383 il D. fu inviato ambasciatore presso la regina Maria da poco succeduta, sotto la reggenza della madre Elisabetta, al padre Luigi I sul trono ungherese, per ottenere la ratifica della pace di Torino; il Senato che in un primo momento aveva ipotizzato anche un'alleanza con gli Ungheresi per reciproca difesa, si affrettò a richiamare il D. dopo la ratifica. Fu eletto quell'autunno, nella zonta del Senato. Nel 1384 fu mandato nell'Europa settentrionale come capitano delle galere delle Fiandre; poiché la concorrenza genovese aveva provocato una penuria di merci per il ritorno, venne lasciata alla muda la scelta alternativa di approdare in Inghilterra.
Nell'estate del 1385 e poi in quella del 1387 venne eletto consigliere ducale; nell'estate del 1386 fu capitano delle galere di Alessandria. Negli anni successivi fu tra i principali protagonisti della rinvigorita politica coloniale veneziana tra Adriatico ed Egeo, dove si andava rafforzando il diretto dominio della Repubblica nei confronti di sudditi vecchi e nuovi, al fine anche di opporre un articolato assetto politico-territoriale all'avanzata turca. Nella prima metà del 1387 fu provveditore a Corfù, località appena acquisita al dominio; l'azione svolta dal D. e dai suoi colleghi consistette nell'accogliere le richieste della popolazione e nell'emanare i primi più urgenti provvedimenti in ordine alla difesa, al monopolio del sale, al prestito usuraio. Nell'agosto del 1387 fu eletto bailo di Negroponte, incarico biennale, che probabilmente gli impedì di svolgere il suo ufficio di consigliere ducale. Furono anni movimentati: il D. dovette fronteggiare colpi di mano compiuti da sudditi turchi col favore e l'appoggio anche di Neri Acciaiuoli, duca d'Atene e assistette nel 1389 alle iniziative militari veneziane nella vicina Morea. Nel periodo maggio 1390-maggio 1391 fu di nuovo podestà di Chioggia, ove proseguì nell'opera di ricostruzione, dedicandosi soprattutto a ristabilire la produttività delle saline. Nel novembre 1391 fu uno dei tre provveditori incaricati di valutare i progetti delle opere difensive da costruire nel Trevigiano.
Nel 1392 fu capitano della flotta del Golfo; in tale veste prese possesso di Durazzo ceduta dal feudatario Giorgio Topia alla Repubblica di S. Marco, ma dovette inoltre proteggere i traffici contro i pirati vigilando specificamente su alcune galere catalane, controllare gli spostamenti della marina turca e appoggiare le pressioni diplomatiche veneziane a Costantinopoli. Nel 1394-95 ebbe la podesteria di Argo, città nuovamente sottomessa al dominio veneziano. Il deterioramento nei rapporti veneto-turchi si evidenziò in incursioni intorno a questo avamposto. Le istruzioni che il D. aveva ricevuto prevedevano anche l'addestramento militare della popolazione.
Nel 1397 il D. fu uno dei cinque savi incaricati di controllare le opere di arginatura apprestate a Lizzafusina, punto di collegamento tra il Brenta e la laguna, quindi nel cuore di una regione particolarmente importante per i rapporti veneto-carraresi. Era podestà a Conegliano negli anni 1398-1399, quando la Repubblica si trovò in guerra contro Milano, e maggiore si era fatta la pressione delle ambizioni territoriali carraresi.
Può stupire che il D., pur essendo ormai anziano, abbia seguitato ad accettare incarichi esterni; sembra evidente, tuttavia, che egli li ricopriva volentieri, forse perché consentanei al suo temperamento, forse perché attratto dai compensi cui erano legati (anche se accettò, settimo eletto, l'ambasciata ungherese, impopolare perché dispendiosa). La sua carriera evidenzia dunque una presenza relativamente limitata al centro deliberativo ed esecutivo dell'apparato statale, forse più ambito, ma senz'altro meno retribuito. Sembra confermare la congettura, che egli preferisse gli incarichi esterni perché meglio ricompensati, la cifra che, per il D., appare nell'estimo del 1379: lire 1.500, stima che non tiene conto di eventuali capitali mercantili ma che comunque non è compatibile con un vasto patrimonio.
Ignoriamo la data esatta della morte del D., che dovette comunque avvenire prima del marzo del 1405, data di una ducale, in cui uno dei suoi figli, Cristoforo, è detto "quondam Saraceni".
Lasciava due figli maschi e almeno una figlia: Giberto, Cristoforo ed Orsolina. Aveva avuto tre fratelli: Giberto (che nel testamento del 1386 nominava il D. suo esecutore testamentario e lo designava suo erede universale insieme col fratello Alvise), Alvise e Beriola, sposata con Giacomo Nani.
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