SARACCHI
– Famiglia milanese di intagliatori di pietre dure attiva tra la seconda metà del XVI secolo e i primi decenni del successivo.
«Eccellentissimi fabricatori et intagliatori del cristallo di rocca e d’altre sorti di pietre come diaspidi, agate, amatisti, calcidonij, corniole, lapis lazzuli, plasnia, […] nelle quali lavorano di rilievo e di cavo»: in tal modo Paolo Morigia (1595, p. 292) presentò i cinque fratelli Saracchi: Giovanni Ambrogio (1541 - post 1605), Simone (1548-98), Stefano (1551 - ante 1595), Michele (1558-1613) e Raffaele (1568-88), i primi di questa dinastia – da quanto noto – a lavorare nell’intaglio dei materiali lapidei. Nacquero da Bartolomeo (figlio di Michele e defunto intorno al 1586-87) e Angela Gaffuri, forse appartenente alla famiglia degli intagliatori milanesi Gaffuri, dal 1575 trasferitisi a Firenze su invito di Francesco I de’ Medici. Ignota è la loro formazione, con tutta probabilità avvenuta presso le botteghe del capoluogo lombardo, da tempo immemore specializzate nelle arti preziose. L’attività dei Saracchi è ricostruibile su basi documentarie a partire dal settimo decennio del Cinquecento (Venturelli, 1996, 2002, 2005b, 2013), quando risultano anche in contatto (1567) con il famoso e più anziano collega Francesco Tortorino (Venturelli, 1998b; Ead., 2013, pp. 199 s.). Evidentemente in grado di corrispondere a una committenza come quella del duca Alberto V di Baviera, nel 1573 i «maestri intagliatori di cristallo» Giovanni Ambrogio, Stefano e Simone, attraverso la mediazione del nobile milanese Prospero Visconti, decisero di trasferirsi per breve tempo alla corte di Monaco, i primi due lavorando «di grossaria» il cristallo di rocca, il terzo intagliandovi raffigurazioni e «fogliami» (Simonsfeld, 1902, pp. 295 s.; Distelberger, 1975, pp. 161 s., doc. 4). Nel 1579 i Saracchi consegnarono una «galera», munita di «schiavi mori a nove banchi per parte, e duoi schiavi per banda, con capitani, soldati, comiti, sottocomiti, bombardieri con diversi pezzi d’artigliaria, li quali sparavano, con arbori e vele, e con l’arma di esso serenissimo Duca di Baviera», nonché un vaso di grandi dimensioni, ricevendo seimila scudi d’oro, oltre a duemila lire imperiali di «ben servito» (Morigia, 1595, p. 292; Kris, 1929, nn. 512-514, 467; Heinzl-Wied, 1973, pp. 39, 40, 42 s.; Distelberger, 1975, pp. 120-122).
Nel frattempo Giovanni Ambrogio, sposatosi nel 1569 con Angela Vitali, figlia di Giacomo Antonio, «abate» degli orafi milanesi (nel 1556 e nel 1583), divenne padre di Elena Angela (1571) e quindi di Angela Ippolita (1573); sono attestati anche i figli Pietro Antonio, Gabriele, Gaspare, Costanzo, Bartolomeo, e un'altra figlia femmina della quale ignoriamo il nome; la sorella di Giovanni Ambrogio, Caterina (nel 1567 unitasi in matrimonio con Giovanni Battista Scaccabarozzi, ma già vedova nel 1574), divenne madre di Laura Barbara (1571) e in data imprecisata di Tranquilla e Giovanni Giacomo. Sempre a riguardo dei figli di Bartolomeo Saracchi, tra la primavera del 1575 e quella successiva furono completate le pratiche del matrimonio di Ippolita con il celebre orafo, intagliatore, medaglista e plasticatore Annibale Fontana (Venturelli, 2005a; Ead., 2013, p. 190), e nel 1577 si costituì la dote per Paola, promessa a Giovanni de’ Badati(rimasta vedova, sposò in seconde nozze Francesco Cermenate), mentre Lucia si sposò (circa 1578) con Matrignano de Albertari (forse parente di Giovanni Stefano Albertario, «dictus Matrignanus», nominato il 10 luglio 1572 da Laura de Locarno, vedova di Francesco Tortorino, suo procuratore per la riscossione di certi crediti; Venturelli, 2013, p. 186), e Simone (circa 1579) con Giulia del Conte, figlia di Geronimo, ripetutamente «console» degli orafi milanesi (1555, 1561, 1568, 1573 e 1583); Angelica entrò invece (1591) nella congregazione della «fanciulle vergini di Sant’Orsola» di Melegnano.
In contatto con la corte dei Savoia dall’autunno del 1572, i Saracchi eseguirono per il matrimonio (1585) di Carlo Emanuele I con Catalina Micaela, figlia di Filippo II re di Spagna, diverse opere di cristallo, anche destinate alla corte di Spagna, tra le quali un «gallo d’India grandissimo, tutto intagliato di cavo di figure e fogliami, ligato in oro», una «galera di cristallo curiosissima, con tutti li instromenti d’oro», e un «cassettino de cristallo guarnito d’oro et gioie» (Corazzino, 1595, pp. non numerate; Morigia, 1595, pp. 292 s.; Distelberger, 1975, pp. 98, 163), oltre a diversi altri «vasi» (Venturelli, 2013, pp. 150-154). Nello stesso periodo per la corte di Dresda realizzarono una fiasca in cristallo con Storie di Noè, su disegno di Annibale Fontana (Milano, Pinacoteca e Biblioteca Ambrosiana), e una «galera» parimenti di cristallo (Dresda, Grünes Gewölbe).
Non mancò la prestigiosa committenza dei Medici di Firenze. Per le nozze di Ferdinando I e Cristina di Lorena (1589) i Saracchi produssero «molti pezzi di cristalli, d’agata, calcidonij e diapsidi», tra i quali una perduta «cassetta d’ebano guarnita tutta d’oro e gioie», con cristalli recanti la raffigurazione delle Storie di Ercole, e una «fonte di cristallo che gettava acqua» (Morigia, 1595, p. 292), con intagli rappresentanti la Raccolta della manna e Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia (Firenze, ex Museo degli argenti, ora Tesoro dei Granduchi; Venturelli, 2009, p. 78).
Lavorarono inoltre per i Gonzaga di Mantova, in modo particolare durante gli anni di Vincenzo I (1587-1612), il duca che richiese loro (circa 1595), tra l’altro, il «vaso» di notevoli dimensioni in cristallo registrato in apertura alla sezione di opere in questi materiali censita nell’inventario della collezione Gonzaga del 1626-27; la sua esecuzione si protrasse nel tempo, concludendosi solo alla fine del 1605 con gli intagli per opera di Gabriele (Venturelli, 2002; Venturelli, 2005b, pp. 165 s.).
Nel febbraio del 1586 i Saracchi trasferirono abitazione e bottega nei pressi della chiesa di S. Maria Segreta. Qui risiedettero i fratelli Giovanni Ambrogio, Simone, Michele, Raffaele, Ippolita dopo la prematura morte del marito Annibale Fontana (1587), e Caterina, vedova Scaccabarozzi, con la figlia Tranquilla (nel 1594 sposatasi con Camillo de Bodis), così come Gabriele, uno dei figli di Giovanni Ambrogio. Proprietario dell’immobile era Maurizio Visconti (figlio di Andrea), dal 7 agosto 1586 al 7 maggio 1588 in compagnia con Giovanni Ambrogio, Simone, Michele e Raffaele quale socio capitalista per la vendita delle opere prodotte dai Saracchi. Lo spostamento di residenza comportò da parte di Giovanni Ambrogio l’affiliazione – dal 1588 al 1595 – alla confraternita del «Santissimo Sacramento et Madonna Anonciata», con sede nella chiesa di S. Maria Segreta, divenendone anche «priore» (1589, 1590) e «consigliere» (1591).
Il 17 giugno del 1588 Raffaele morì a Milano all’età di 20 anni (Venturelli, 2013, p. 204).
Dalla fine del XVI secolo furono attivi nell'arte dell'intaglio anche i figli di Giovanni Ambrogio: Gabriele, Pietro Antonio, Gaspare e Costanzo. Pietro Antonio era orafo; realizzò (ante 1595) le legature d’oro gemmate poste a ornare una «gran bacina et un vaso» di cristallo con le Storie della vita di Tobia e Mosè mentre raccoglie la manna intagliate da Gabriele. A Pietro Antonio e Gabriele spettò pure la «gran cocchiglia d’agata bellissima, la qual l’ha dentro la madre d’amatista», eseguita a «sembianza d’una grotta, con adornamenti ricchissimi d’oro, e dentro v’è un San Girolamo in penitenza, un Christo in croce et il leone» (Morigia, 1595, p. 293). Orefice fu anche Gaspare, peraltro pure intagliatore. Altro figlio di Giovanni Ambrogio fu Bartolomeo (vivente nel 1644), presumibilmente il notaio milanese, parrocchiano di S. Maria Segreta, attestato il 1° aprile 1632 quale «depositario delli mobili» presenti nella casa del defunto Giovanni Battista Vitali, «olim causidico collegiato di Milano», forse imparentato con la citata Angela Vitali, madre del medesimo Bartolomeo (Venturelli, 2013, p. 220).
Oltre all’atelier di questi Saracchi, ci fu quello di un secondo Giovanni Ambrogio Saracchi, cristallaio, figlio di Giovanni Angelo (nato da Giovanni Jacopo) e fratello di Giovanni Giacomo e Caterina (nel 1600 moglie di Giovanni Giacomo de Ruffini). Giovanni Ambrogio (in un documento del 27 giugno 1596 definito «cugino» di Giovanni Ambrogio, Simone e Michele; Venturelli, 2013, p. 57, nota 21) venne emancipato dal padre l’8 marzo 1588; dimorante nelle vicinanze della chiesa di S. Satiro, il 12 febbraio 1596 assunse per i successivi due anni nella sua bottega Giovanni Pietro Gariboldi (del fu Giovanni Ambrogio). Non è tuttavia chiaro se questo Giovanni Ambrogio Saracchi sia lo stesso Giovanni Ambrogio detto «il Saracchino» citato nella corrispondenza Gonzaga (gennaio 1608 e giugno 1611) e nella documentazione (7 luglio 1598; 2 febbraio 1599) relativa a Simone Saracchi (Venturelli, 2005b, pp. 168 s.; Ead., 2013, pp. 57, 208).
Fu a ogni modo Giovanni Ambrogio Saracchi (figlio di Giovanni Angelo) ad acquistare il 15 giugno 1595 da Giovanni Ambrogio, Simone e Michele per 400 ducatoni di Milano una «cassa» d’ebano internamente rivestita d’avorio, con il fondo di pietre dure, ornata da cristalli intagliati con le Quattro Stagioni, allo scopo di vendere il manufatto e spartirsi i guadagni dopo avere dato ai tre fratelli Saracchi il denaro per l’acquisto delle «gioie» e degli «ori» necessari al completamento.
Un’altra «cassa» d’ebano, a «sei faccie», con cristalli recanti «intagliato il Testamento Vechio» e «fornita d’oro et gioie», corredata in «cima» da uno «spechio» su piede triangolare di cristallo, venne realizzata entro il 5 ottobre del medesimo anno da Giovanni Ambrogio, Simone e Michele, coadiuvati dai soci Giovanni Ambrogio Cellario e Giovanni Giacomo Mandelli, orefici milanesi: vale a dire l’opera citata da Paolo Morigia «a sembianza d’un teatro, overo tribunale, in sei angoli, ligati con ebano, con diverse figure di oro di rilievo, et tutta adornata di ricchissimi adornamenti d’oro, gioie e perle», per la quale Gabriele intagliò («di presente») in «sei pezzi di tavole di cristallo la creatione del Mondo fino al sesto giorno» (Morigia 1595, p. 293); prima dell’11 aprile del 1596 lo specchio fu venduto a Praga, mentre la «cassa» (ante 6 febbraio 1599) andò alla Città di Milano (Venturelli, 2013, pp. 208, 214 s.).
Il 25 febbraio 1594 Simone dettò il suo testamento, legando a ciascuna delle figlie legittime (Felicia, Margarita, Maddalena) lire 3000 imperiali per la loro dote e nominando erede universale l’eventuale figlio maschio che fosse nato. Morì a Milano il 5 giugno 1598, all’età di 55 anni, senza figli maschi. Tutori delle figlie Felicia, di 10 anni, Margherita, di 8, e Maddalena, di 4 e mezzo, furono gli zii Giovanni Ambrogio e Michele, che si preoccuparono anche di inventariare gli oggetti e le opere del fratello presenti nella bottega (tra le quali un vaso in forma di pesce su piede a sagoma di serpente, una «nave longa con la sua poppa in forma di molino con intagliato sopra una caccia», una «navicella con la poppa sforata»); il 4 agosto successivo esse furono in parte vendute all’artigiano milanese Giovanni Battista Bassi, figlio emancipato da 7 anni di Giovanni Ambrogio (Venturelli, 2013, pp. 213 s.).
Un altro elenco di manufatti, eseguiti nella bottega di Giovanni Ambrogio Saracchi e i fratelli Simone e Michele (figli di Bartolomeo), era stato steso il 26 giugno 1596. In quell’occasione Giovanni Ambrogio divenne unico proprietario d’alcune opere di cristallo (bacili, boccali, vasi diversi, anche in «forma di drago», o di «tinca», o di «gallo d’India», croci, candelieri e oggetti per altare, una «pace», nonché una «cassa d’ebano con cristalli non finita»), approntate a decorrere dall’agosto 1590 con Simone e Michele, in società con Maurizio Visconti, unitamente a «tutti li dissegni sì stampati et a mano come anco di rilievo» (Venturelli, 2013, pp. 208 s.). Il 4 e l’8 luglio del medesimo anno, anche in nome dei fratelli, Giovanni Ambrogio vendette quindi a Maurizio Visconti, per 2000 scudi d’oro, parte di questi manufatti, con il patto che il Visconti sborsasse anche i soldi necessari per comprare l’oro e le gioie utili per concludere alcuni pezzi.
Il 9 maggio 1600 Gabriele, figlio di Giovanni Ambrogio (q. Bartolomeo), si sposò a Mantova nella chiesa di S. Silvestro con Margherita Corio, nata dall’intagliatore di pietre dure milanesi Girolamo, stabilitosi a Mantova e qui impegnato per la corte Gonzaga; da lei, trasferitasi il 26 giugno nella casa milanese di abitazione del marito, nacquero in data imprecisata Ambrogio e «Hieronimo», attestati il 6 luglio 1626 (Venturelli, 2013, p. 220).
Non cessarono nel frattempo le commissioni di pregio da parte di «diversi prencipi», dell’imperatore Massimiliano e dell’«arciduca Ernesto» suo figlio (Morigia, 1595, p. 293; Venturelli, 2013, p. 215). Acquisti di cristalli lavorati presso la bottega di Giovanni Ambrogio, destinati all’elettore Cristiano II di Sassonia, si effettuarono nel 1601 (Kris, 1929, p. 118 nota 7).
L’anno seguente il nome di questo Saracchi venne registrato nei libri mastri della Mensa Arcivescovile di Milano in relazione a nove vasetti di cristallo (da donare al cardinale Francesco Maria del Monte) e a una «cassetta» di cristallo (da offrire alla «Castellana» di Milano), unitamente a nove «Agnus Dei» d’oro (per i Principi di Savoia); il 9 aprile 1604 si annotarono invece gli esborsi per un Agnus Dei di cristallo, legato in oro, regalato a Bologna al cardinale Gabriele Paleotti (Venturelli, 2013, pp. 216 s.). Il 3 ottobre 1605 e il 2 settembre dell’anno successivo la corte di Praga effettuò pagamenti nei confronti di Giovanni Ambrogio per opere diverse (Heinzl-Wied, 1973, pp. 56 s. nota 22).
Nel frattempo continuarono le realizzazioni per i Gonzaga. Il 5 gennaio 1601 Gabriele sollecitò presso la corte i pagamenti dovuti al padre Giovanni Ambrogio, ammontanti a 2000 ducatoni; tra il gennaio e il marzo del 1603 Gabriele e la bottega famigliare eseguirono una «nave» di cristallo e due vasi in diaspro (uno in forma di «babuino et l’altro d’aquila»), mentre il 15 maggio 1605consegnarono un vaso a sagoma di «gallo» e un altro di «serpe», entrambi di diaspro, oltre a una «nave» (Venturelli, 2002; Venturelli, 2005b, pp. 165-168). Per ottemperare alle numerose richieste di questa corte, intorno al 1611 Gabriele si trasferì a Mantova. Durante la primavera del 1612 venne inviato in territorio svizzero per acquistare cristallo di rocca. Nel 1614 fu impegnato per volere del duca Ferdinando Gonzaga nella stima dei vasi di cristallo e pietre dure della celebre collezione mantovana. Dei molti manufatti gemmati in cristallo di rocca o lapislazzuli realizzati, l’11 maggio 1616 Giovanni Ambrogio sollecitò il pagamento (11.000 ducatoni), affermando che tale cifra era destinata a maritare una sua figlia, già «promessa».
Anche Michele Saracchi, tra il 4 agosto e il 23 settembre 1611, si recò in Svizzera per acquistare cristallo di rocca, con i colleghi Giovanni Angelo Benzone (testimone il 2 luglio 1600 alla stesura degli atti relativi alle pratiche per il matrimonio di Gabriele con Margherita Corio) e Giovanni Antonio Pedrini, su ordine di Juan Fernández de Velasco, duca di Frías, contestabile di Castiglia, e governatore di Milano. Con Giovanni Angelo Benzone e Pietro Francesco Cingardi, il 12 marzo 1612Michele valutò alcuni vasi di cristallo, diaspro orientale e agata, appartenuti al defunto conte Pedro Enríquez de Acevedo conte di Fuentes, da inviarsi ai sovrani spagnoli.
Non sono invece chiari i motivi per cui Gaspare nel giugno 1610 si recò in Germania, in compagnia del gioielliere fiorentino Vincenzo di Nello.
Il 5 settembre 1613 Michele morì a Milano, all’età di 55 anni. Tra il 2 e il 23 ottobre del 1619 mancò invece il nipote Gabriele (Venturelli, 2013, p. 618).
Intorno al 1620 dei figli di Giovanni Ambrogio rimanevano attivi sia Costanzo, sia il fratello Gaspare, quest’ultimo dimorante a Roma. Di Gaspare, «virtuoso» nella sua arte ma non quanto Gabriele, scrisse in termini non certo elogiativi il 31 marzo 1620 Maurizio Visconti. In una lettera inviata alla corte mantovana raccontò di quando, impiegando Gaspare in «Germania», egli, con diverse «furberie», procurò a lui e ad altri personaggi danni per diverse migliaia di scudi, venendo addirittura «imprigionato» ad Augusta (Venturelli, 2002, p. 247, p. 252 nota 100; Ead., 2005b, p. 171 nota 56).
Malgrado che ancora nel 1641 fosse attestato a Milano il «cristallaio» Giovanni Ambrogio Saracchi, presumibilmente il figlio di Giovanni Angelo, la grande stagione di questa dinastia artigiana si chiuse con la morte di Gabriele (1619), all’interno di un quadro di più generale crisi produttiva delle manifatture suntuarie milanesi (Venturelli, 2013, pp. 63-66).
Fonti e Bibl.: A. Corazzino, Relatione della partita di sua Maestà da Castiglia et del parentado et nozze seguite in Saragozza tra li serenissimi Duca di Savoia et infanta donna Catharina d’Austria, Saragozza 1585; P. Morigia, La nobiltà di Milano…, nella stampa del quondam Pacifico Pontio, Milano 1595, pp. 292-294; H. Simonsfeld, Mailänder Briefe..., in Abhandlungen der historischen Classe der Koniglich Bayerischen Akademie der Wissenschaften, XXII (1902), pp. 231-575; E. Kris, Meister und Meisterwerke der Steinschneidekunst in der italienischen Renaissance, I, Vienna 1929; B. Heinzl-Wied, Studi sull’arte della scultura in pietre dure durante il Rinascimento in Italia: i fratelli Sarachi, in Antichità Viva, XII (1973), 6, pp. 37-58; R. Distelberger, Die Saracchi Werkstatt und Annibale Fontana, in Jahrbuch der Kunsthistorisches Sammlungen in Wien, LXXI (1975), pp. 95-164; D. Angulo Íñiguez, Catálogo de las alhajas del Delfin, ed. Milano 1989; P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi. Storia, arte moda (1450-1630), Cinisello Balsamo 1996; Ead., Il “Piatto dei Dodici Cesari”. I Saracchi e Annibale Fontana, in Artes, VI (1998a), pp. 58-69; Ead, “Nel buon gusto greco”. Francesco Tortorino e un vaso di cristallo al Prado, in Itinerari d’arte in Lombardia dal XIII al XX secolo. Scritti offerti a Maria Teresa Binaghi Olivari, a cura di M. Ceriana - F. Mazzocca, Milano 1998b, pp. 195-206; Ead., “Havendo hanimo a tutti li christalli, e altri vasi, cameo grande et altri camei”. Oggetti preziosi della collezione Gonzaga, in Gonzaga. La Celeste Galeria. Le raccolte (catal., Mantova), a cura di R. Morselli, Milano 2002, pp. 233-252; R. Distelberger, Die Kunst des Steinschnitts. Prunkgefässe, Kameen und Commessi aus der Kunstkammer (catal., Vienna), Milano 2002; P. Venturelli, “Raro e Divino”. Annibale Fontana (1540-1587), intagliatore e scultore milanese. Fonti e documenti (con l’inventario dei suoi beni), in Nuova Rivista Storica, 89 (2005a), pp. 205-225; Ead., Le collezioni Gonzaga. Cammei, cristalli, pietre dure, oreficerie, cassettine, stipetti. Intorno all’elenco dei beni del 1626-1627 (da Guglielmo a Vincenzo II Gonzaga), Cinisello Balsamo 2005b, sub indice; Ead., Il Tesoro dei Medici al Museo degli Argenti. Oggetti preziosi in cristallo e pietre dure nelle collezioni di Palazzo Pitti, Firenze 2009; Ead, Splendidissime gioie. Cammei, cristalli e pietre dure milanesi per le Corti d’Europa (XV-XVII secc.), Firenze 2013.