SAQQĀRA (v. vol. VI, p. 1119)
Un'intensa attività archeologica si è svolta nella zona di S. a partire dagli anni Sessanta. Dal 1964 l'Egypt Exploration Society ha ripreso le indagini a S. Nord, nell'area degli ipogei (con relative strutture cultuali in superficie), delle vacche sacre, dei babbuini e degli altri animali sacri. Le scoperte più notevoli sono quelle degli ipogei degli ibis: un pozzo (profondo 10 m) che termina con gallerie è stato utilizzato come necropoli per migliaia di ibis sacri, là sepolti, avvolti accuratamente di bende, spesso decorate e contenenti amuleti preziosi, entro giare di terracotta, sigillate. Dalle gallerie degli ibis sono venute alla luce, con altro materiale archeologico e papiraceo importantissimo, anche alcune stele di stile greco-cario e con iscrizioni in questa lingua.
Una missione anglo-olandese ha ritrovato, nel settore SO di S., la tomba che il generale Horemheb si era fatto costruire prima di salire al trono (verso il 1340 a.C.), e dalla quale furono asportati, dalla metà del secolo scorso, molti rilievi che si trovano in musei europei e americani. Dal 1975 la missione ha esplorato la cappella di Horemheb anche nelle sue infrastrutture (pozzi e camere sotterranee per Horemheb e per sua moglie, la principessa Mutnegiemet) e ha proceduto al restauro delle soprastrutture della cappella (che presenta la pianta di un tempio con vestibolo, pilone d'ingresso, corti con colonne, tre cappelle) ricollocando al loro posto i frammenti dei rilievi ritrovati in sito e i calchi dei blocchi con rilievi asportati nell'800, e conservati presso vari musei (Leida, Berlino, Vienna, Louvre, Brooklyn, Bologna).
La stessa missione ha localizzato nel 1986, nella stessa area, la cappella funeraria di Maia, capo del tesoro di Tutankhamon, e di sua moglie Merit: le vicende di questo monumento somigliano a quelle della tomba di Horemheb: soprastrutture già note nel secolo scorso e rilievi decorati dispersi in vari musei; lo stile dei rilievi è splendido e li fa considerare tra i capolavori della scultura della XVIII dinastia. Nelle stanze sotterranee, di cui in passato non si sospettava l'esistenza, le pareti sono coperte da rilievi dipinti, con una notevole prevalenza del colore giallo. Adiacente alla tomba di Horemheb, è stata scoperta un'altra grande cappella, databile alla XIX dinastia (appartenente a Tia e a sua moglie, una sorella di Ramesse II), caratterizzata dalla presenza di una piramide di ridotte dimensioni sovrapposta alla cappella di culto.
A S. Sud, una missione francese diretta da J. Leclant prosegue dal 1972, con successo, l'esplorazione e la ricostruzione della Piramide di Pepi I (VI dinastia), attorno alla quale ha riconosciuto (1988-89) la presenza di nuove piramidi satelliti - quelle delle regine di Pepi I; l'indagine è tuttora in corso. Un'altra missione francese, diretta da A.-P. Zivie, opera dal 1980 nell'area della falesia Í di S. e nell'area del Bubastèion le tombe rupestri scavate nella falesia, di diversa importanza e in diverso stato di conservazione, sono databili alla XVIII dinastia (fino all'epoca amarniana). L'ipogeo più interessante e il meglio esplorato finora è la tomba d'Aperia (o Aper-El), un semita egittizzato vissuto in epoca amarniana (ne fa fede lo stile dei rilievi che ornavano le pareti della tomba) e che portava il titolo di visir e di «primo servitore di Aton». Altre tombe contigue, indagate dalla stessa missione, sono di funzionari dell'amministrazione del tesoro, Merira (scoperta nel 1982) e Merisekhmet (lo stile della tomba permette di situare i due ipogei al tempo di Amenophis III); l'ipogeo di Nehesy è più antico, secondo l'archeologo che l'ha scoperto, e data dal regno di Hatshepsut-Thutmosis III.
A S dell'area del Bubastèion si trova una serie di ipogei da datare a partire dalla prima epoca saitica, in certi casi restaurate e rimesse in uso dal IV sec. a.C. (dalla XXX dinastia). In questa zona opera dal 1974 Ia missione archeologica dell'Università di Pisa, nella grande e splendida tomba del visir Bakenrenef e nella tomba di Pasherientaisu (scoperta dalla missione italiana nel 1975), e, gradualmente, nelle tombe contigue. La più antica delle tombe rupestri a S., d'età saitica, finora nota, è quella di Bakenrenef; questa tomba è di estrema rilevanza per lo schema architettonico della sua pianta e delle sue infrastrutture, comprendenti pozzi e gallerie (finora solo in parte esplorate, essendosi le risorse della missione spostate nel 1985 -1987 sull'impegno del consolidamento della roccia e sulle problematiche dell'anastilosi). La tomba è un esempio - forse il più importante in Egitto - di ipogeo privato con caratteri regali (si spiega con l'alta posizione del proprietario, un visir, e coi suoi legami con la famiglia dinastica saitica della XXVI dinastia). L'ipogeo si inoltra nella roccia per più di 40 m, con una struttura affine a quella degli ipogei tebani della XXV-XXVI dinastia, ma con una maggiore importanza data al cortile aperto preceduto da pilone; le pareti del vestibolo, della sala con pilastri, della sala trasversa, come quelle del santuario e delle due stanze laterali, sono rivestite di blocchi di calcare finemente scolpiti, sia in rilievo sia a incavo. Splendidi esempî dell'arte del rilievo saitico menfita, le scene del vestibolo e della sala trasversa appaiono ispirarsi ai modelli della scultura parietale delle mastabe della VI dinastia; i soffitti piatti e a volta presentano i motivi tipici delle tombe regali tebane del Nuovo Regno: scene astrali nel vestibolo, figure delle «Ore del Giorno e della Notte» davanti a ognuna delle quali sta l'immagine del visir Bakenrenef in adorazione sul soffitto a volta della sala a pilastri, figure di avvoltoi con ali spiegate nel santuario. La tomba è stata notevolmente danneggiata da saccheggi compiuti all'inizio di questo secolo (intere pareti e parti di soffitto si trovano presso musei americani), ma la Missione dell'Università di Pisa sta realizzando un progetto di restauro. L'indagine archeologica protrattasi per dieci anni in questa tomba, utilizzata dal VII sec. a.C. al II sec. d.C., ha restituito migliaia di reperti, fra i quali una tela dipinta o sudario, veramente straordinaria per i temi religiosi funerari, lo stile ellenistico e la conservazione dei colori.
La seconda tomba sopra citata presenta una struttura simile, ma senza il rivestimento di blocchi decorati; preparata durante la XXVI dinastia, fu riutilizzata nel IV sec. a.C. da un sacerdote di Memfi, di nome Pasherientaisu, con l'aggiunta di un portale di blocchi di calcare; le scene e i testi che ornano il portale sono esemplari, nella loro perfezione freddamente tecnica, della scultura dell'ultima epoca faraonica.
Una recente scoperta (1985 e 1986) riguarda il Serapeo ed è stata compiuta dagli archeologi egiziani in servizio presso l'ispettorato di S.; si tratta della scoperta nei corridoi dei «grandi sotterranei» di circa un centinaio di stele fra intere e frammentarie; nessuna è un epitaffio ufficiale per la sepoltura dei tori sacri a Ptah, ma sono stele dedicate da privati, scritte in geroglifico e in demotico. La datazione varia tra la XIX dinastia, l'epoca persiana (numerose stele sono datate dal regno di Dario I) e la XXIX dinastia. I colori che ornano le scene scolpite sulle stele sono in molti casi eccezionalmente ben conservati.
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E. Bresciani e altri, Saqqara, IV. Tomba di Bakenrenef (L. 24). Attività del Cantiere Scuola 1985-1987, Pisa 1988; A.-P. Zivie (ed.), Memphis et ses nécropoles au Nouvel Empire, Parigi 1988; G. T. Martin, The Memphite Tomb of Horemheb, Commander-in-Chief of Tut'ankhamun, I. The Reliefs, Inscriptions, and Commentary, Londra 1989; A.-P. Zivie, Découverte à Saqqara. Le visir oublié, Parigi 1990; G. T. Martin, The Hidden Tombs of Memphis. New Discoveries from thè Time of Tutankhamun and Ramesses thè Great, Londra 1991; M. J. Raven, The Tomb of Iurudef: a Memphite Officiai in thè Reign of Ramesses II, Leida-Londra 1992; M. Ibrahim Aly, A propos du prince Khàemouaset et de sa mère Isetneferet. Nouveaux documents provenant du Sérapéum, in MDIK, XLIX, 1993, pp. 97-105; H. D. Schneider, The Memphite Tomb of Horemheb, II, Londra 1994.
(E. Bresciani)