Sapia
Gentildonna senese, protagonista di un ampio episodio del canto XIII del Purgatorio (vv. 85-154); originalmente caratterizzata, nei versi di D., da singolari e risentiti tratti umani, ne restò a lungo oscura l'identificazione storica. Gli antichi commentatori o tacciono, in proposito, o sommariamente accennano a quella che ritenevano essere la sua famiglia. " Uxor domini Cyni, militis de Pigozo de Senis " la dice il postillatore cassinese, e non dissimilmente Benvenuto annota: " Erat enim Sapia nobilis domina de illis de Bigotio, vel maritata in illa domo [la famiglia dei Soarzi, che possedeva il Castello dei Bigozzi presso Strove], quod est unum castellum in territorio Senarum longe a Colle de Valdelsa forte per quattuor milliaria "; rispettivamente " de Provincianis de Senis " e " d'una famiglia chiamati i Salvani " la dicono Pietro e le chiose edite dal Vernon.
Né molto di più successivamente aggiunsero i cronisti e gli storici senesi e i dantisti, sino al Vernon e all'Aquarone, i quali, nel secolo scorso, basandosi su un fondamento documentario non perentorio ma soddisfacente, identificarono la Senese con la moglie di Ghinibaldo Saracini, tesi di poi confermata dalle successive ricerche della Luisi, del Frittelli, del Lisini e di altri studiosi. Sì che non sembra ora dubbio, sotto il rispetto storico, che la S. di D. sia una Salvani zia paterna di Provenzano (Pg XI 121 ss.), sposa di Ghinibaldo Saracini, fondatrice, col marito, dell'ospizio di Castiglion Ghinibaldi (o Castel Ghinibaldo, oggi Castiglionalto di Monteriggioni), cui il 17 maggio 1274, poco avanti la sua morte, lascia cospicui beni immobili e mobili, avendo precedentemente ceduto al comune di Siena, già vedova, il castello dove aveva a lungo abitato col marito (1269).
S'intrecciano ai dati biografici interessanti questioni di carattere interpretativo. Ricercando le ragioni dell'odio della Senese, da viva, per i suoi concittadini, o cercando di ‛ rinfamarla ' (e cioè " riabilitarla "), taluni studiosi insistettero sul guelfismo, altri sul ghibellinismo di lei. Per il Lisini, seguito dai più, S., diventata guelfa dopo le nozze col Saracini, avrebbe odiato i Senesi per ragioni politiche; per il Frittelli invece, cui si accosta il Sanesi, S., donna non cattiva come appare nell'episodio dantesco, anzi generosa benefattrice, sarebbe rimasta, col marito, fedele al partito ghibellino, e avrebbe odiato il nipote Provenzano Salvani a motivo della sconfitta di Colle Val d'Elsa (8 giugno 1269), dovuta al tradimento di lui, ghibellino, d'accordo coi Fiorentini guelfi. Ora, a parte il fatto che il rinfami dantesco andrà inteso come allusivo al desiderio della donna di render noto il suo stato di anima purgante ma non dannata (nonostante la sua vita ria), sembra probabile che l'invidia fosse passione in lei profondamente connaturata, a prescindere dalle sue inclinazioni politiche.
Così almeno sembra ritenere D. che, evidentemente riecheggiando la fama proverbiale della Senese, ne rappresenta il vizio come viscerale e sostanzialmente immotivato, sì da conferire al personaggio la fisionomia inconfondibile che lo contraddistingue. Nell'anima purgante, cui è venuta meno la possibilità di peccare e che certo non odia più, affiorano tuttavia i risentiti tratti della sua indole, le angolosità ineliminabili del suo carattere. Ciò sia quando rievoca - esempio singolarissimo d'invidia - la letizia... a tutte altre dispari (v. 120) che provò allorché vide messi in fuga, a Colle Val d'Elsa, i suoi concittadini, e la blasfema e insieme sciocca esclamazione che segue (gridando a Dio: " Omai più non ti temo! " [v. 122]), pronunziata - atteggiamento d'icastica e rilevata potenza - con l'ardita faccia rivolta in sù (v. 121); sia quando, dopo il sommesso e intenso accenno alla propria conversione e ai meriti di Pier Pettinaio (vv. 124-129) e il breve scambio di battute col pellegrino terrestre, definisce crudamente vana la gente senese, che spera ora in Talamone, così come scioccamente aveva prima sperato di trovare nel sottosuolo della città il leggendario corso d'acqua denominato Diana.
La condizione di spirito eletto (v. 143) propria di S. non osta, evidentemente, all'enunciazione perentoria di una siffatta sentenza, certo condivisa da D., pur se richiami nella forma l'antico abito peccaminoso, e risenta del forte agrume dei taglienti giudizi espressi in vita, che dovevano aver resa famosa in tutta la Toscana la gentildonna senese. A ben vedere, non sembrano quindi degne d'incondizionato avallo le perplessità di quegl'interpreti che, come il Fatini, constatano la presenza, nell'episodio, di una " stonatura " e di " una contraddizione " dal punto di vista psicologico come sotto il rispetto artistico; il grido di S. (v. 122) paleserebbe anzi " un'insincerità di pentimento, che non può essere ammessa dopo che Dio ha giudicata l'anima degna del Purgatorio " (G. Fatini, La S. dantesca..., p. 10). Sì che sembra allo stesso critico che si possa parlare solo di " poesia minore, dall'accento non sempre caldo e bene intonato " (p. 18). Per contro sarà invece da vedere nell'episodio e nel personaggio una singolare varietà di componenti psicologiche, che attestano la capacità insuperabile da parte del poeta di cogliere e rendere magistralmente la complessità del cuore umano, nel quale possono convivere la fermezza del ripudio di un abito vizioso, e insieme i moti dell'indole e del carattere, inerenti all'umanità di S., la quale d'altronde, anima purgante, non ha ancora bruciato nella visione beatifica del creatore la traccia e l'eco della vita terrena.
Ben giudica, così, il Momigliano S. " uno dei più complessi e delicati impasti di ritratto " della Commedia: " la carità che mortifica dolcemente la natura d'un tempo, il ricordo del peccato... un discretissimo chiaroscuro di brio e di malinconia fanno di questa donna l'immagine di una peccatrice veduta per trasparenza dietro quella d'una penitente ". Ma oltre che i tratti strettamente inerenti alla sua antica qualità di peccatrice se ne intravedono altri, che contribuiscono a determinare un carattere di estremo interesse: ad esempio quella sorta di puntiglioso amore per l'esattezza che la induce alla precisazione iniziale (ma tu vuo' dire / che vivesse in Italia peregrina [vv. 95-96]) e alla convincente ed esatta esemplificazione della sua ‛ follia ', che contraddice il suo nome, riferentesi a quando l'età sua non più giovanile (già discendendo l'arco d'i miei anni [v. 114]) avrebbe dovuto indurla a saviezza. È un abito cui è connessa una sorta di arguzia sentenziosa, che si riflette nella citazione proverbiale del v. 123 (come fé 'l merlo per poca bonaccia), come nel verso conclusivo della parlata (ma più vi perderanno gli ammiragli), che riecheggia la notorietà regionale del fatto. E a tale caratterizzazione si unisce senza sforzo, contribuendo a determinare il complesso e delicato impasto cui allude il Momigliano, l'intensità struggente di talune espressioni: ad es. l'attacco iniziale (O frate mio, ciascuna è cittadina / d'una vera città [vv. 94-95]), percorso come da un senso di sottile nostalgia, e anche dall'abbandono fiducioso del v. 108 (lagrimando a colui che sé ne presti), cui aggiunge suggestione il rimendo del verso precedente felicemente restituito nell'edizione Petrocchi (rimondo leggono la '21 e il Casella), dove andrà colto il richiamo agli occhi cuciti della penitente, che sta, nella seconda cornice, " rammendando " e " ricucendo ", nel tormento e nell'attesa, la sua vita sbagliata.
Bibl. - E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1846, I 590-591; G.G. Warren Lord Vernon, L'Inferno di D.A. disposto in ordine grammaticale e corredato di brevi dichiarazioni, Londra 1858-65, II 575; B. Aquarone, D. in Siena, Città di Castello 1889, 120-125; Rapporto della Commissione istituita dalla Società senese di storia patria municipale per la ricerca di tutto ciò che in Siena si riferisce a D.A. e alla D.C., in " Bull. Soc. Senese St. Patria " I (1865-67) 50-51; I. Luisi, S. nel c. XIII del Purgatorio e la battaglia di Colle, in " Miscell. Storica Valdelsa " XIII (1900) 2; Bassermann, Orme 316-319; U. Frittelli, Si può " rinfamar " S.?, Siena 1920; ID., A proposito di Ghinibaldo Saracini marito di S., ibid. 1920; A. Lisini, A proposito di una recente pubblicazione sulla S. dantesca, in " Bull. Senese St. Patria " XXVII (1920) 61-89; P. Rossi, D. e Siena, Siena 1921, 75-81; I. Sanesi, S., in " Studi d. " VI (1923) 98-111; G. Fatini, La S. dantesca e un recente affresco, Trapani 1955; G. Pischedda, La tecnica dell'episodio di S., in Tematica dantesca, Roma 1955; F. Biondolillo, Una politicante senese nel Purgatorio dantesco, in " Ausonia " XXV (1970) 2-3, 40-46. Fra le letture: A. Zenatti, Il XIII c. del Purgatorio, Firenze 1909;. E. Santini, Il c. XIII del " Purgatorio ", in Lett. dant. 255-272 (già in " Atti Accad. Scienze Lettere Arti Palermo " s. 4, XIV [1954] II); F. Biondolillo, Il c. XIII del Purgatorio, in " Letterature Moderne " V (1954) 513-522; C. Musumarra, Il C. XIII del Purgatorio, in Lect. Scaligera II 442-471; P. Conte, Il c. XIII del Purgatorio, in Nuove letture IV 129-148.