sapere (savere)
Le presenze di s. nell'opera, canonica o no, di D. assommano a 541 (Rime 43, Rime dubbie 20, Vita Nuova 46, Convivio 159, Inferno 71, Purgatorio 73, Paradiso 44, Fiore 78, Detto 7), distribuite su 67 tipi formali diversi, attestati con frequenza assai varia l'uno dall'altro.
1. A determinare questo squilibrio contribuisce in larga misura la presenza di forme flessionali arcaiche accanto ad altre naturali per i Fiorentini del tempo, appartengano esse o meno anche all'uso moderno; ma vi concorrono anche motivazioni di ordine contestuale, precise scelte linguistiche suggerite dall'adesione ai tradizionali modelli dei Siciliani e il ricorso a formule e moduli espressivi, talora ripetuti in modo addirittura ossessivo. La stessa presenza di forme con apocope della vocale finale, con enclisi di particelle pronominali o con epitesi di -e, nella misura in cui sembra suggerita da considerazioni stilistiche ed espressive, proprio per la sua stessa occasionale eccezionalità, coopera a rendere vario l'indice di frequenza per ciascuna delle forme morfologiche effettivamente occorrenti.
Non per nulla meridionalismi quali ‛ saccio ', ‛ sacciate ', ecc. ricorrono solo in 15 esempi, tutti appartenenti al Fiore e a rime di dubbia autenticità (Rime dubbie V, XVII, XXIV) o composte da D. in giovinezza (Rime XLII, XLIV, L); il fatto che essi non compaiano più nelle opere della maturità è l'evidente riflesso di un ripudio, da parte di D., della suggestione che su lui avevano esercitato i modelli della lirica siciliana e guittoniana che quei meridionalismi avevano offerto alla sua esperienza linguistica.
Difficile dire delle ragioni di alternanza fra ‛ sapere ' e ‛ savere '; sulla forma ‛ savere ' cfr. Rohlfs, Grammatica § 205; Contini, Rime 23. Particolarmente notevole, a stare alle edizioni, l'esempio di Cv II XV 3 si vuole sapere che... la Filosofia... è donna... mirabile di savere.
L'altissima frequenza dell'infinito (183 volte) è il riflesso della diffusa adozione di formule stereotipate cui si è già accennato; nel solo Convivio il modulo è da sapere che (o altri simili) è attestato 84 volte, mentre tutt'altro che rare sono nella Commedia e altrove locuzioni del tipo ‛ tu vuoi sapere ', ‛ vorrei sapere '. Analogamente l'alto indice di frequenza dell'indicativo presente (223 esempi, così distribuiti: Rime 26; Rime dubbie 13, Vita Nuova 24, Convivio 21, Inferno 30, Purgatorio 44, Paradiso 23, Fiore 36, Detto 6) e ancor più la netta prevalenza delle attestazioni al singolare (I pers. 80, II 55, III 52) e alla III plur. (20), mentre della I e II plur. si hanno rispettivamente 7 e 8 esempi, sono spiegabili con il diffuso autobiografismo di tanta parte dell'opera dantesca o con l'importanza che il dialogo fra D. come personaggio e i suoi interlocutori ha nella Commedia.
Ciò premesso, sarà sufficiente elencare le forme anomale effettivamente attestate, con la segnalazione del numero complessivo delle presenze o del luogo in cui ricorrono.
Indicativo presente: I singol. saccio (Rime XLIV 4, Rime dubbie XXIV 9); II singol. sa' (Rime dubbie VI 14, If XXI 129, Fiore 4, Detto 1); III singol. salsi (Pg V 135, XXXI 90), sape (sempre in rima: Pg XVIII 56, XXIII 45, Pd XXVIII 72), save (Fiore VIII 4, in rima); I plur. sapemo (Vn XXV 10, Cv III XIV 8, IV VIII 7, e If X 105); II plur. savete (Rime XL 1, LXX 1). Indicativo imperfetto: II singol. sapei; I plur. sapavam (Pg XIV 127).
Congiuntivo presente: II singol. sappi, sacci (Fiore LXII 1); III singol. saccia (Rime dubbie V 43, XVII 3, Fiore CLIX 2, CCIX 7, CCXI 8); III plur. saccian (Fiore CXXVI 6). Congiuntivo imperfetto: III singol. savesse (Pd XXI 19); II plur. saveste (Vn XIV 12 5).
Imperativo: II singol. sappie (If XXXIII 129, Pg XXII 49, Fiore CLI 12), sacci (Rime XLIV 10), saccie (Fiore CLX 7); II plur. sacciate (Rime XLII 5, L 29, Fiore CXCVIII 7, CCXVIII 3). Gerundio sappiendo (6 volte).
2. In un unico esempio s. compare come intransitivo con il valore di " aver sapore di ", usato in senso figurato da Cacciaguida per profetizzare a D. l'amarezza dell'esilio: Pd XVII 58 Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui; per l'origine della metafora, si confrontino Esd. 4, 14 " memores salis, quod in palatio comedimus " e l'analogo traslato cui ricorre D. nella sua risposta al trisavolo: a molti fia sapor di forte agrume (v. 117).
Per tutta la restante documentazione, e quindi per un'individuazione del significato fondamentale del verbo, occorre rilevare che, nel pensiero dantesco, il s. si configura come il soddisfacimento di uno stimolo innato nell'intelletto umano, il quale mediante il processo conoscitivo attua quanto ha in potenza dentro di sé, e perviene quindi al possesso della felicità.
È questa una dottrina di dichiarata derivazione aristotelica, dalla quale D. trae lo spunto per la propria speculazione in apertura del Convivio (I I 1 Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere; cfr. Metaph. I 1 " Omnes homines natura scire desiderant "), per richiamarla poi altre volte più o meno esplicitamente sia nel trattato sia nella Commedia (v. anche SETE: Il tema della sete del s.); cfr. ad es. Cv III XV 7 naturale desiderio [è]... a l'uomo di sapere, e sanza compiere lo desiderio beato essere non può; Pg XVI 88 l'anima semplicetta... sa nulla, / salvo che, mossa da lieto fattore, / volentier torna a ciò che la trastulla.
S. è dunque verbo delle facoltà intellettive: puramente potenziali nell'anima appena creata; attuantisi a mano a mano che la mente elabora i dati offerti dallo studio e dalla riflessione o ricevuti dall'insegnamento e dalla tradizione. Nel verbo è dunque implicita la possibilità di esprimere due momenti diversi del processo conoscitivo: da un lato esso indica il già acquisito possesso di ciò che comunque possa essere appreso dalla mente, dall'altro assume piuttosto un valore incoativo e semanticamente designa il momento dell'apprendimento nel suo farsi, accostandosi così ai valori di " essere informato ", " acquistare nozione " di un fatto. Ad esempio, in Cv IV XV 12 sono molti tanto presuntuosi, che si credono tutto sapere, e per questo le non certe cose affermano per certe, il verbo allude a cognizioni che si presumono già possedute dalla mente; al contrario, in XVIII 2 si procede per via probabile a sapere che ogni sopra detta virtude... proceda da nobilitade sì come effetto da sua cagione, per il fatto stesso che D. si appresta a " dimostrare " la verità di un'asserzione non ancora comprovata, nel verbo risulta prevalente il valore incoativo che dialetticamente coglie il processo conoscitivo nel suo farsi.
Da quanto è stato detto si desume che la sfera semantica di s. coincide in parte con quella di " conoscere " ma non s'identifica con questa. La differenza di valore fra i due verbi è anzi acutamente colta da D. allorquando, anche in questo caso con un esplicito rimando ad Aristotele, osserva che conoscere la cosa è sapere quello che ella è, in sé considerata e per tutte le sue c[au]se, sì come dice lo Filosofo (Cv III XI 1; cfr. Arist. Phys. I 1 " Tunc enim putamus cognoscere unumquodque, cum causas primas cognoverimus, et principia, et usque ad elementa "). Pertanto " conoscere ", in quanto indica la possibilità di distinguere una cosa da altre simili, designa un effetto del s.: lo comprova ulteriormente Pd XXI 19 Qual savesse qual era la pastura / del viso mio ne l'aspetto beato (cioè qual era il piacere che io provavo guardando Beatrice] / ... conoscerebbe quanto m'era a grato / ubidire a la mia celeste scorta; e si veda anche Cv III XV 10.
Di presumibile derivazione aristotelica è anche la dottrina esposta in Cv IV XXV 5, secondo la quale il ‛ desiderio di s. ', che è passione necessaria soprattutto all'adolescenza (§ 4), promana dallo stupore, cioè da uno stordimento d'animo per... meravigliose cose vedere. Già Aristotele, riprendendo e approfondendo uno spunto platonico (cfr. Teet. XI 155d), aveva riposto nell'ammirazione suscitata da ciò che è ignoto l'impulso alla meditazione e al filosofare, affermando che i filosofi amano il mito proprio in quanto il mito consiste di cose mirabili (cfr. Metaph. I 2, 928b 12 ss.). Forse per suggestione di questa considerazione dello Stagirita, a conforto della tesi appena esposta D., desumendolo da Stazio (Theb. I 395 ss.), ricorda il mito di Adrasto, il quale, visti Polinice e Tideo rivestiti di pelli di fiere, divenne stupido; e però... più disideroso di sapere (§ 6).
Di qua l'elogio della Filosofia come amistanza a sapienza, o vero a sapere (III XI 6; altro esempio nello stesso paragrafo), con l'avvertenza, però, che il comune amore [al sapere] (§ 7) non è di per sé sufficiente a essere filosofi: tali non sono coloro che non per sapere studiano ma per acquistare moneta o dignitade (§ 10), mentre 'l vero filosofo... nullo suo pensiero ad altre cose che non siano la sapienza lascia distendere (§ 12). Ed è per questo che al vecchio conviensi... essere prudente, cioè savio (IV XXVII 5) e conseguire così la perfezione in cui consiste il pieno soddisfacimento del naturale bisogno di s.: la vecchiezza, infatti, più belle e buone novelle pare dover savere per la lunga esperienza de la vita (§ 16).
3. Allorquando indica il possesso di determinate cognizioni, s. può reggere un complemento oggetto o una proposizione oggettiva: Vn XII 13 30 Sed ella non ti crede, / dì che domandi Amor, che sa lo vero; Cv IV XV 16 molti idioti... non saprebbero l'a.b.c., e vorrebbero disputare in geometria; Pg IV 96 Più non rispondo, e questo so per vero; Pd XIX 28 Ben so io che, se 'n cielo altro reame / la divina giustizia fa suo specchio, / che 'l vostro non l'apprende con velame (la ripetizione pleonastica della congiunzione ‛ che ' dopo una subordinata condizionale è frequente nella sintassi antica); Fiore CCXIX 14 ciaschedun sapea le Dicretale. Esempi analoghi in Cv IV V 9, VI 2, XVII 12 (qui ricorre il participio passato sapute con il significato di " conosciute ", " note "); Fiore CLVI 2, Detto 216 e 416.
In un esempio ricorre con valore passivo: Cv IV XV 14 molti... ostinati... non possono credere che né per loro né per altri si possono le cose sapere.
Nel Fiore e nel Detto le locuzioni ‛ s. a mente ' e ‛ s. per cuore ' (con evidente francesismo) sono usate in senso estensivo per indicare sicura padronanza di un testo, senza che per questo lo si sappia ripetere con esattezza parola per parola: Fiore XLVI 9 i' so la lezion tratutta a mente; e così CI 1, Detto 344; in un caso (Fiore CXLVIII 3, per cui v. oltre) ‛ s. per cuore ', detto di un'attività pratica, vale " conoscere a menadito ".
Piuttosto frequente è l'uso assoluto del verbo nell'accezione di " esser colto ", " avere dottrina ": Cv I I 9 liberalmente coloro che sanno porgono de la loro buona ricchezza a li veri poveri.
La definizione di Aristotele quale maestro di color che sanno (If IV 131), coronando l'esplicito e frequente riconoscimento reso nel Convivio e nelle opere latine al magistero dello Stagirita (v. ARISTOTELE), ne delimita l'autorità all'ambito della dottrina filosofica e della scienza nel momento stesso in cui il maestro e duca de la ragione umana (Cv IV VI 8) è posto al centro della filosofica famiglia (If IV 132). Più complesso appare, al confronto, l'omaggio reso a Virgilio, il savio gentil, che tutto seppe (If VII 3): elogio, questo, altissimo, allusivo - forse - a una dottrina capace di risolvere l'enigma racchiuso nelle parole di Pluto, ma soprattutto celebratore di una sapienza nutrita di poesia e di nobiltà, ché questo è il valore suggerito dagli appellativi di savio e di gentil, soli idonei a giustificare la solenne compiutezza della perentoria affermazione che tutto seppe. Con l'accezione di " esser sapiente " s. ricorre anche nella definizione dei Serafini quali cerchio che più ama e che più sape (Pd XXVIII 72): una sapienza, occorre appena avvertirlo, che sovrasta quella di tutte le altre creature in quanto i Serafini veggiono più de la Prima Cagione che nulla angelica natura (Cv II V 9).
Non del tutto limpido appare il senso di Pg III 78 perder tempo a chi più sa più spiace; l'interpretazione più immediata (" quanto più si è saggi, tanto più dispiace perder tempo ") dell'ammonimento di Virgilio, se trova concordi alcuni commentatori (Porena, Sapegno), è respinta da altri, ai quali quell'affermazione di saggezza appare una " inutile vanteria " (Mattalia). Si è così supposto che D. voglia dire che " la perdita del tempo dispiace maggiormente a colui che ne conosce e ne apprezza il valore " (Fallani), o " a chi è più consapevole di un grave compito da espletare e del tempo di cui dispone " (Chimenz). E vada qui anche Fiore CXLIV 12 Se non sai guari, non mi maraviglio, / ché giovan uom non puot'esser sottile, dove la locuzione vale semplicemente " se non sei molto esperta ".
Pari latitudine di accezioni assume l'infinito sostantivato. D. lo usa per indicare la " suprema intelligenza " di Dio, lo cui saver tutto trascende (If VII 73), la " sapienza e scienza " accordate a Salomone (Pd X 113) e a Daniele (Pg XXII 147) per grazia divina, la " sapienza umana " di cui si ammanta la Filosofia... donna... mirabile di savere, gloriosa di libertade (Cv II XV 3 [già citato]; v. anche X 7 e 9). Ma può essere riferito anche alla " dottrina " e alla " cultura " dello studioso (IV XIII 8 'l disciplinato chiede di sapere certezza ne le cose, vuole cioè " arrivare a certezza di conoscenza, secondo quanta certezza è nella natura delle cose "; cfr. Arist. Eth. Nic. I 2). Vale " capacità di giudizio " in IV Le dolci rime 25 altri fu di più lieve savere, / che tal detto rivolse, / e l'ultima particula ne tolse (ripreso in III 5 e 7); D. vuole infatti dire che dimostrò maggior superficialità di Federico II chi, riprendendone la definizione della nobiltà quale antica possession d'avere / con reggimenti belli (vv. 23-24), ne accettò solo la prima parte, travolgendone così il senso. Può essere anche " prudenza ", " accortezza ", " senno ": doti, queste, il cui possesso non è sufficiente per dar modo all'uomo di opporsi ai disegni della Fortuna (If VII 85 Vostro saver non ha contasto a lei). Più concretamente indica addirittura un " comportamento prudente e accorto ": Rime XCI 96 con rei non star... / ché non fu mai saver tener lor parte; e così LXXXIII 28, Fiore LXXV 8, CXX 13.
Al linguaggio convenzionale della lirica cortese, e quindi assumendo una sfumatura semantica presente anche nel provenzale saber, si richiama l'uso documentato da Rime XLVII 1 Savere e cortesia, ingegno ed arte / ... con lo piacer di lor vincono Amore, dove il s. è identificato in una delle virtù cavalleresche che l'uomo deve possedere per poter aspirare a essere riamato; e si veda anche Rime dubbiose XX 2, Fiore LXXI 7. Origine dotta ha il verbo anche quando allude alla " capacità tecnica ", alla " padronanza dello stile " occorrenti perché l'espressione sia adeguata al sentimento: Rime CXVI 4 Amor... / dammi savere a pianger come voglia, / sì che 'l duol... / portin le mie parole com'io 'l sento. Resta del tutto isolato If XI 93 non men che saver, dubbiar m'aggrata, dove l'antitesi induce ad assegnare a saver il valore di " certezza ".
Alle accezioni ora illustrate si riallacciano i valori assunti dal participio passato quando è usato in funzione di aggettivo. Varrà perciò " sapiente " quando è riferito a Virgilio, la scorta mia saputa e fida (Pg XVI 8); " accorto ", ma di un'accortezza astuta e priva di scrupoli, quando la Vecchia lo attribuisce a sé stessa rimpiangendo di non aver saputo approfittare dei tanti amori avuti per diventar ricca: ma ciò mi pesa ch' i' non fu' saputa (Fiore CXLVI 8).
Per introdurre spiegazioni e definizioni, una volta nella Vita Nuova (XL 7) e spessissimo nel Convivio ricorrono le formule è da sapere che o altre consimili, tutte ugualmente allusive al possesso di determinate cognizioni o alla necessità di apprenderle. Le occorrenze dell'opera sono le seguenti: I IV 9, XII 8, XIII 2; II III 1 (è da sapere chi e quanti sono costoro) e 13, IV 2, VI 2 (da sapere è che), VII 3 e 8, XIV 5, XV 9 e 10; III I 7, III 2, IV 6 e 11, V 3 (è da sapere... come), 7 (basta... sapere che) e 9, VI 2, 4, 7 e 11, VII 2 e 8, VIII 6, 15 e 17, IX 6, X 2, XII 6, XIII 2, XIV 2, 4 e 13, XV 6, 11, 14 e 19; IV II 4 e 15, III 6, VI 3, VII 10, IX 4, 5 e11, X 1, 3, 8 e 9, XI 2, XIV 3, XV 2 e 11, XVII 2 e 9, XVIII 4, XXI 2 e 13, XXIII 3, 7 e 15, XXIV 8 e 12, XXV 11, XXVII 2, XXVIII 3, XXIX 8 e 10. Oltre a quelle già indicate si hanno le seguenti variazioni: si vuole sapere che, II XV 3 [già citato], III XII 2, IV XI 5, XII 2, XIX 4, XXIII 5, XXVI 3, XXX 2; si vuol sapere che, II I 2, IX 4; sapere si vuole che, II VI 9; si conviene sapere che, III XV 2, IV VI 8; sapere si conviene che, IV II 12.
4. In qualche caso s. allude al possesso di nozioni pratiche che si acquistano più con l'esperienza e con il tirocinio che non con la riflessione intellettuale: If XX 117 Michele Scotto... veramente / de le magiche frode seppe 'l gioco (ma il Mattalia: " veramente seppe assume, e qui la differenza nel confronto degli antichi, il moderno astrologo nella sfera della frode di alto livello intellettuale "); Fiore CCIX 13 Vergogna sapea... lo schermire, " era abile " nel battersi all'arma bianca. E così, nel Fiore, con riferimento al possesso di un'astuzia truffaldina e furbesca: C 4 Proteusso... / non seppe... il quarto di baratto / come fo io (ed è questo il vanto di Falsembiante); la Vecchia che 'l male e 'l ben sapea quantunque n'era (CXXXIX 2) e che ‛ sapeva ' ben la vecchia danza (LXXXIV 6), che era cioè bene esperta dei maneggi e degl'intrighi d'amore, prima di esporre a Bellaccoglienza la sua spregiudicata ars amandi, le assicura: ma i' so or ben per cuore / la pratica la qual ti fie qui detta (CXLVIII 3 [già citato]). E vada qui anche Rime dubbie XXVIII 5 ciascun om de' savere / che mal pittura sta senza vernice.
Può quindi significare " conoscere per esperienza, per prova fatta ": Cv IV XIII 11 Quanta paura è quella di colui che appo sé sente ricchezza...! Ben lo sanno li miseri mercanti che per lo mondo vanno; If V 123 Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore; e così in Rime CVI 122, CXI 3, Pg XX 117, Pd XVI 100. Con altra costruzione: Pg XVI 47 del mondo seppi, e quel valore amai / al quale ha or ciascun disteso l'arco. Riferito per estensione a cosa inanimata, in XXX 2 il settentrïon del primo cielo, / che né occaso mai seppe né orto.
In relazione all'ipotesi che il Fiore vada assegnato a D., particolare interesse hanno i seguenti esempi, nei quali è possibile rilevare una serie di riscontri lessicali e semantici o di analogie nelle congiunture ritmiche fra il poemetto e le opere canoniche. Così, le metafore presenti in If XXVII 77 (Li accorgimenti e le coperte vie / io seppi tutte, e... menai lor arte) si ritrovano anche in Fiore LXX 6 se sai alcuna via... / per Malabocca... metter in caccia, e LXII 1 convien che tu sacci' alcun'arte / per governar te e la tu'amica (e identica struttura si ha in Rime LXXV 9 tu sai un'arte, / che... tu ti puoi rifare). Né meno interessante appare l'analogia di ritmo nell'apertura di verso fra If X 81 che tu saprai quanto quell'arte pesa, e Fiore XLV 8 e tu 'l saprai ancor se no llo spalmi! (" se non ti liberi di lui ", di Amore). E si veda anche CXXXVII 12.
5. Più frequentemente s. significa " essere a conoscenza " di un fatto, di un avvenimento, di una condizione, di un modo di essere: Cv II VI 6 lo dicitore... massimamente dee intendere a la persuasione... come li rettorici [s]anno; Fiore VIII 4 mastro Argus... / fece a conto regole e ragione / e le diece figure, com'on save.
L'oggetto può essere espresso da un pronome neutro: Vn XII 7 di ciò chiama testimonio colui che lo sa; If X 105 nulla sapem di vostro stato umano; XXX 120 sieti reo che tutto il mondo sallo; Pg V 135 salsi colui che 'nnanellata pria / disposando m'avea con la sua gemma. Altri esempi in If XVIII 99, Rime dubbie XXVI 11, Fiore LI 13, CXVI 12. Più raramente si ha un complemento di argomento: If XV 103 saper d'alcuno è buono; Pg VIII 126 La fama che la vostra casa onora è diffusa ovunque, sì che ne sa chi non vi [nei vostri paesi] fu ancora.
La locuzione ‛ s. novella ' è per lo più usata con l'accezoine di " essere a conoscenza " di una notizia: Vn XXIII 24 55 Che fai? non sai novella? / Morta è la donna tua, ch'era sì bella (con minor potenza fantastica così rielaborato nella prosa: Or non sai? la tua mirabile donna è partita di questo secolo, § 6); Pg VIII 117 se novella vera / di Val di Magra... / sai, dillo a me; e così XXVII 93. In altri esempi, invece, ricorre con valore incoativo, acquistando così il significato di " venire a conoscenza ", " apprendere " una notizia: If V 53 La prima di color di cui novelle / tu vuo' saper...; Pd X 111 La quinta luce [cioè l'anima di Salomone] ... / spira di tale amor, che tutto 'l mondo / là giù ne gola di saper novella.
Molto frequente è la costruzione con una proposizione oggettiva: Vn XXX 3 simile intenzione so ch'ebbe questo mio primo amico; Cv IV VIII 7 sapemo che a la più gente lo sole pare di larghezza... d'un piede; Pg XIV 127 Noi sapavam [nel Casella sapevam] che quell'anime care / ci sentivano andar; Fiore CLXXXI 12 Ben so che voi avete un'altr'amanza. E così in Vn IX 5, Cv III XIV 8, Pg XXX 75, Fiore CXLI 5, CLXVII 13, CCIX 7. In due casi la subordinata è un'interrogativa indiretta: Rime dubbie I 3 un ser costui / ...'nd' ha partiti, sapete da cui? (il predicato della subordinata è sottinteso); Pd XXIX 46 Or sai tu dove e quando questi amori / furon creati.
Appartiene all'uso del tempo il ricorso al passivo con maggior frequenza di quanto non avvenga nell'italiano moderno: Vn V 3 lo mio secreto fue creduto sapere da le più persone che di me ragionavano; XXXVII 3 acciò che questa battaglia che io avea meco non rimanesse saputa pur dal misero che la sentia, propuosi di fare un sonetto; Pg XXXI 39 Se tacessi... / non fora men nota / la colpa tua: da tal giudice sassi!: altri esempi in Cv II III 2, XIV 6.
Quando il complemento oggetto è un sostantivo di cosa o di persona, il valore del verbo si accosta a quello di " conoscere ": Vn XIV 9 Se questa donna sapesse la mia condizione...; If XXII 37 I' sapea già di tutti quanti 'l nome; Fiore XVIII 3 i' non so al mondo sì gran dama / che di lui dovess'esser refusante. E così in Vn XVIII 1, Rime LXXXIV 5, If IX 30, Pg VII 110, Fiore CLXXXIX 14.
In un gruppo di esempi assume accezioni più limitate e determinate delle precedenti. Significa " non aver dubbi ", " esser certo ", in Pd VIII 137 perché sappi che di te mi giova, / un corollario voglio che t'ammanti; Fiore CXCVIII 7, in forma parentetica; " prevedere ", in Cv III XII 10 non sarebbe da laudare la Natura se, sappiendo prima che li fiori d'un'arbore in certa parte perdere si dovessero, non producesse in quella fiori; " rendersi conto " di uno stato di fatto: Vn XLII 2 di venire a ciò [cioè a degnamente trattare di Beatrice] io studio quanto posso, sì com'ella sae veracemente; Cv I V 12 lo latino molte cose manifesta concepute ne la mente che lo vulgare far non può, sì come sanno quelli che hanno l'uno e l'altro sermone; Pg XI 139 Più non dirò, e scuro so che parlo; Pd VI 140 se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe / mendicando sua vita... / assai lo loda, e più lo loderebbe. E così in Vn XIV 12 5, Rime LXVII 18 (costruito con ‛ di '), Rime dubbie XIII 14. Anche " avvedersi ": XVII 3 [Amore] prima invola il cor ch'altri lo saccia.
Per rendere più efficace il valore espressivo del verbo, spesso lo si determina mediante l'avverbio ‛ bene ' usato in funzione asseverativa: If III 129 Quinci non passa mai anima buona; / e però, se Caron di te si lagna, / ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona; Pg XIII 76 Ben sapev'ei che volea dir lo muto; / e però non attese mia dimanda, / ma disse; e così in Rime CIV 18, Rime dubbie V 24, Fiore XXXIX 12, CLXIV 1, CCXIV 12, Detto 298.
Nella prima persona singolare dell'indicativo presente lo stesso effetto stilistico è ottenuto esprimendo il pronome personale in posizione enfatica: Rime LXVI 9 Io so che a voi ogni torto dispiace; Vn XL 3 Io so che s'elli fossero di propinquo paese, in alcuna vista parrebbero turbati; Fiore CLXXXVI 11 Ed i' lassa dolente, malaurata, / so che vitiperata ne sarei. Altri esempi in Vn XIX 13 57 (ripreso ai §§ 15 e 21), XLI 13 12 (anticipato al § 8). E vada qui, per l'analogia della costruzione, anche Rime XCI 32 s'io 'l credesse far fuggendo lei, / lieve saria; ma so ch'io ne morrei.
7. Seguito da un infinito s. indica spesso l'idoneità a compiere determinate operazioni che richiedono il possesso di facoltà intellettuali o di attitudini particolari: la forza di persuasione (Vn XII 14 37 [Amore] le saprà contar mia ragion bona), la gentilezza d'animo (Rime LXXX 1 Voi che savete ragionar d'Amore, / udite la ballata mia pietosa), l'accortezza (If XXXII 96 non mi dar più lagna, / ché mal [" inutilmente "] sai lusingar per questa lama; Rime dubbie VI 14), o anche la capacità di trarsi d'impaccio: Cv IV VII 7 lo cammino che altri sanza scorta ha saputo tenere, questo scorto erra; If XXI 129 deh, sanza scorta andiancì soli, / se tu sa' ir; e, in un contesto metaforico, Pd II 126 Riguarda bene... com'io vado / ... al vero che disiri, / sì che poi sappi sol tener lo guado. In Vn XXVI 2 il verbo si riferisce alla sapienza e preveggenza divina: benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilmente sae adoperare!; cfr. Cv III XII 9. Alcune volte l'infinito non è espresso e dev' essere ricavato a senso: If VIII 92 Sol si ritorni per la folle strada: / pruovi, se sa; e così in XV 90, Detto 86.
In altri esempi indica il possesso di abilità tecniche occorrenti per compiere azioni pratiche: If XXIX 113 I' mi saprei levar per l'aere a volo; Fiore CCXVII 14 la dea... sapea ben guidare i colombi del suo cocchio; e così in CCIX 11, CCXXV 3; If XXIX 126 (qui la frase è ironica); Detto 421. Più frequentemente, nel Fiore, mira a dar rilievo alla sagace capacità di simulare propria di Falsembiante o alla spregiudicata avvedutezza con la quale, secondo la Vecchia, dovrebbe comportarsi Bellaccoglienza: C 9 i' so mia fazzon sì ben cambiare / ched i' non fui unquanche conosciuto; CLX 7 saccie far sì che ciascuno addenti / insin ch'a povertà gli metterai; altri esempi in C 13, CII 7, CLII 8, CLV 8, CLIX 2, CXCVII 4.
In un esempio vale piuttosto " conoscere i mezzi, le vie più adatte " per conseguire un determinato scopo: Rime LXXVII 14 Di Bicci e de' fratei posso contare / che... / sanno a lor donne buon cognati stare (per l'interpretazione di tutto il verso, v. COGNATO).
Può anche avere valore puramente fraseologico, come in Fiore CXXII 13 non convien mostrar che vi si' amaro / a largamente sapermi donare; CXXXIX 4, CCXXXII 2.
8. Molto varia e articolata è l'area semantica di s. anche quando è accompagnato da una negazione o fa parte di una proposizione di significato negativo.
Nel suo uso più immediato vale " ignorare " qualche cosa perché non ne siamo venuti a conoscenza: Cv I II 7 le parole sono fatte per mostrare quello che non si sa; Pg V 93 Qual forza o qual ventura / ti travïò sì fuor di Campaldino, / che non si seppe mai tua sepultura?; e così Vn XII 17, XL 2, Cv IV IX 8, Pg XVIII 56. Ma più che a mancanza d'informazione può alludere a difetto di esperienza (Fiore XXXIII 13 Non sa che mal si sia chi non assaggia / di quel d'Amor) o di preveggenza (Cv IV VII 9 li malvagi... non sanno dove rovinano [in traduzione da Prov. 4, 18 " nesciunt ubi corruant "]); indica che il fatto in sé è noto, mentre sfuggono le cause che lo determinano: If XXIV 112 qual è quel che cade, e non sa como, / per forza di demon ch'a terra il tira; e così in Pg XXIII 36. Di qua l'accezione di " non rendersi conto " di un fatto o di una circostanza: Vn XXIII 5 cominciando ad errare la mia fantasia, venni a quello ch'io non sapea ove io mi fosse; Rime CIV 105 [i miei nemici] far mi poterian di pace dono. / Però nol fan che non san quel che [io] sono; Pg XII 128 vanno / con cosa in capo non da lor saputa (cioè non si rendono conto di avere qualche cosa sul capo). Né diverso valore il verbo ha nella similitudine delle pecorelle, introdotta a descrivere il comportamento degli scomunicati: la schiera delle anime si arresta, a ridosso delle prime che si sono fermate, così come si arresta e si accalca un gregge, " senza sapere il perché " (Pg III 84 e 93); e vada qui anche Pd XXIX 106 le pecorelle, che non sanno, / tornan del pasco pasciute di vento, dove però non sanno allude alla mancanza di cultura e di discernimento dei fedeli che si lasciano frastornare dalle parole di predicatori ampollosi e vacui.
Nelle accezioni ora illustrate il verbo ricorre frequentemente alla I singol. dell'indicativo presente; interessa notare come in questo caso cada sempre in apertura di verso o al principio del secondo emistichio: Pg XXIV 76 " Non so ", rispuos'io lui, " quant'io mi viva... "; XIV 29 E l'ombra... / si sdebitò così: " Non so; ma degno / ben è che 'l nome di tal valle pèra... "; e così in Rime CVI 93, Rime dubbie XIX 7, XX 9, XXIV 9, XXVI 13; If XXX 59, XXXIII 10, Pg XXI 57, Pd V 127; e vada qui anche Fiore LXXIV 14 ma lui non so com'altri l'appellava.
Sempre accompagnato da una negazione, da solo o come rafforzativo di ‛ potere ', vale " non esser capace ", " non essere in grado ", " non riuscire " in qualche cosa. A seconda del contesto, l'incapacità ad agire appare motivata dalle scadenti condizioni fisiche, dall'avversità delle circostanze, da mancanza di abilità tecnica, da uno stato d'incertezza psicologica, da un insufficiente approfondimento intellettuale.
Di questo uso si hanno i seguenti esempi: Cv I XI 5 li ciechi... sono caduti ne la fossa de la falsa oppinione, de la quale uscire non sanno; II 6 del non potere e del non sapere ben sé menare le più volte non è l'uomo vituperato; If XII 24 quel toro... / c'ha ricevuto già 'l colpo mortale / ... gir non sa, ma qua e là saltella; XIX 60 quai son color che stanno, / per non intender ciò ch'è lor risposto, / quasi scornati, e risponder non sanno; Pg IV 72 la strada / che mal [" con suo danno "] non seppe carreggiar Fetòn. E così in Rime CIII 13, Rime dubbie III 9 19, Cv I XI 16, XII 1, Fiore CCXXXII 7.
Com'è noto, la locuzione sapere dire (Vn XXV 5) di per sé indica il possesso dei mezzi linguistici e culturali occorrenti per poetare. In questo senso, in una proposizione negativa, essa ricorre però solo in Cv I XI 17, mentre, anche nella forma ‛ non s. ridire ', è assai frequente per significare atteggiamenti psicologici molto vari.
Nel suo significato più immediato dà risalto alla confessata incapacità di D. di rendersi compiutamente ragione di un fatto o per la limitatezza delle sue cognizioni (Pd XXVII 101 Le parti sue [del Primo Mobile] ... / sì uniforme son, ch'i' non so dire / qual Beatrice per loco mi scelse; e così If XXXI 86) o perché l'animo suo è dominato dallo smarrimento e dall'inquietudine: If I 10 Io non so ben ridir com'i' v' intrai, [nella selva] / tant'era pien di sonno; sottolinea con enfasi un suo sentimento di gratitudine, quale quella provata per Stazio che gli aveva spiegato perché la montagna del Purgatorio avesse tremato: non saprei dir quant'el mi fece prode (Pg XXI 75).
Ma la sua maggior pregnanza e ricchezza poetica ' non s. dire' l'acquista allorquando ricorre in correlazione con uno dei temi fondamentali e più diffusi della poesia dantesca, e cioè l'ammissione dell'inadeguatezza della parola a esprimere nella sua compiutezza un'esperienza di amore e di dolore che supera i limiti delle capacità umane. Questo dell'impotenza espressiva è tema già presente nelle opere antecedenti alla Commedia; se ne hanno esempi in Rime CXVI 8 Amor... / Tu vuo' ch'io muoia, e io ne son contento: / ma chi mi scuserà, s'io non so dire / ciò che mi fai sentire?; Vn XXVI 3 quelli che la [Beatrice] miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto che ridicere non lo sapeano; XXXI 15 62 quale è stata la mia vita, poscia / che la mia donna andò nel secol novo, / lingua non è che dicer lo sapesse, e 16 64; Cv II Voi che 'ntendendo 3 (ripreso in VI 3), III Amor che ne la mente 13. Ma " il senso di sconfitta dello scrittore che tenta di tradurre in parole quanto ha veduto " (Momigliano), ora più ora meno sensibile, permea tutta la terza cantica come l'emozione ineffabile della visione e del suo ricordo: Pd I 6 Nel ciel che più de la sua [di Dio] luce prende / fu' io, e vidi cose che ridire / né sa né può chi di là sù discende; XIV 105 in quella croce lampeggiava Cristo, / sì ch'io non so trovare essempro degno; XXIII 45 la mente mia... di sé stessa uscìo, / e che si fesse rimembrar non sape. E si veda anche Pg XXXI 99 ‛ Asperges me' sì dolcemente udissi, / che nol so rimembrar, non ch'io lo scriva.
Con il significato di " non esser capace ", ‛ non s. ' compare anche in un passo variamente interpretato: Vn XXXVI 5 14 ma [i miei occhi] lagrimar dinanzi a voi non sanno. Il Barbi, ed è questa la spiegazione più convincente, intendeva che D. attendesse a piangere quando la Donna gentile non fosse presente, per timore di rivelare la miseria del suo stato d'animo con il pianto; il D'Ancona, invece, vedeva nel verso la prima confessione del nuovo amore nascente nell'animo del poeta e l'ammissione della virtù rasserenatrice della bellezza della Donna gentile.
In un gruppo piuttosto numeroso di esempi, seguito da una proposizione interrogativa indiretta, s. esprime dubbio o incertezza piuttosto che mancanza d'informazione. Di questo uso si hanno le seguenti occorrenze: Vn XIII 6 mi facea stare quasi come colui che non sa per qual via pigli lo suo cammino, e che vuole andare e non sa onde se ne vada; If XXIV 11 come 'l tapin che non sa che si faccia; Pg XXIV 14 La mia sorella, che tra bella e buona / non so qual fosse più; Fiore CLXVII 9 ella non sa quale riman preso, / insin ch'ella no gli ha tarpata l'ala. E così in Vn XIII 9 9 (ripreso due volte al § 10) e 9 10, XIV 2; Rime L 36, LXXXIII 69 tratterò il ver di lei, ma non so cui (il predicato della proposizione secondaria è sottinteso: " non so a chi rivolgermi "); CVI 65, Rime dubbie II 11, III 3 1; If XXIV 67, Pg II 132, VIII 40, IX 36, Pd XIII 126; Fiore II 3, XXXI 11, XXXV 2, CVII 10, CLIII 13, CCXI 10. Anche con la particella dubitativa ‛ se ': Cv I VI 6 se conosce da lungi uno animale, non conosce quello perfettamente, perché non sa se s'è cane o lupo o becco; If XIX 88 Io non so s'i' mi fui qui troppo folle (ma, commenta il Mattalia, " il dubbio è puramente formale ", ché lo sdegno suscitato in D. dalla simonia di Niccolò III sgorga da retta coscienza, e D. lo sa); Pg XI 60 non so se 'l nome suo già mai fu vosco. E così in If XXXII 77, Pg VI 46, XVIII 127, XXXII 92, Detto 44. E vada qui anche If XXIV 36 non so di lui, ma io sarei ben vinto.
Per Vn II 1 la gloriosa donna de la mia mente... fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare, è ormai comunemente accolta l'interpretazione proposta dal Giuliani, così sintetizzata dal Barbi (ad l.): " fu da molti chiamata Beatrice, i quali non sapevano... che nome proferire per indicar lei. La chiamavano Beatrice, desumendo il nome dalla beatitudine che dava il suo aspetto ". Fra le varie lezioni congetturali e le interpretazioni proposte merita di esser citata quella degli Editori Milanesi i quali, leggendo sì [" così "] chiamare, spiegavano: " non sapevano indursi a chiamarla con altro nome, tanto le era appropriato quello di Beatrice ".
Due volte, sempre per esprimere dubbio e incertezza, ricorre il sintagma ' chi sa ' seguito da un'interrogativa o da una dubitativa: Cv IV XV 7 Chi sa se li spiriti de li figliuoli d'Adamo vadano suso? (che traduce Eccl. 3, 21); Pg III 52 " Or chi sa da qual man la costa cala ", / disse 'l maestro mio.
9. In tutte le accezioni finora esaminate, s. ricorre, per dir così, nel suo aspetto perfettivo e indica quindi un sapere già acquisito. Molto meno numerosi sono i casi nei quali il verbo è presente con il suo valore incoativo e quindi con le accezioni di " apprendere ", " acquistare nozione di un fatto ", " venir messo a parte di una notizia ".
Anche per queste accezioni sono attestate reggenze sintattiche assai varie (determinazione mediante un avverbio; complemento oggetto; complemento di argomento; proposizione oggettiva; proposizione interrogativa indiretta): Vn III 14 lo principio de l'amistà tra lui e me, [fu] quando elli seppe che io era quelli che li avea ciò mandato; IV 1 molti... si procacciavano di sapere di me quello che io volea del tutto celare ad altrui; Cv IV III 10 de la imperiale autoritade sapere non si può [" non è cioè possibile apprendere in che cosa essa consista "] se non si ritruovano le sue radici; XXIII 9 Là dove sia lo punto sommo di questo arco [cioè il punto medio della vita umana]... è forte da sapere (a " stabilire ", a " determinare "); If X 132 da lei saprai di tua vita il vïaggio; XXXIII 21 quel che non puoi avere inteso, / cioè come la morte mia fu cruda, / udirai, e saprai s'e' m'ha offeso; Pd V 111 Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia / non procedesse, come tu avresti / di più savere angosciosa carizia. Altri esempi in Vn XXVI 4, Cv II V 3, IV VIII 3, Pd XIII 97, XXV 58, Fiore CXVI 5 e 10, CLXXXVI 9. In due esempi compare con il ‛ si ' passivante: Cv III II 16 tutte queste... vertudi... [Aristotele] sì chiama insieme con questo vocabulo del quale si volea sapere che fosse, cioè mente; Rime dubbie V 43.
Un opportuno e frequente spunto all'uso di s. nel significato di " apprendere ", " essere informato " è offerto dal desiderio provato da D. di ricevere spiegazioni o notizie sull'aldilà che va visitando: If III 73 or mi concedi / ch'i' sappia quali sono, e qual costume / le fa di trapassar parer sì pronte; XXII 63 " Domanda ", disse, " ancor, se più disii / saper da lui... "; Pg IV 85 se a te piace, volontier saprei / quanto avemo ad andar; XIV 74 Lo dir de l'una e de l'altra la vista / mi fer voglioso di saper lor nomi. E così in If VI 83, XIX 36, XXII 44, XXIX 133, XXXII 137, Pg XIX 98, XX 146, XXI 79.
In attacco di verso, si registra la locuzione ‛ voler s. ': If II 85 Da che tu vuo' saver cotanto a dentro, / dirotti brievemente; Pd IV 136 Io vo' saper se l'uom può sodisfarvi / ai voti manchi... con altri beni, puntualmente ripreso nella risposta di Beatrice in V 13 Tu vuo' saper se con altro servigio, / per manco voto, si può render tanto. E si vedano anche If XXXII 55, Pd IX 112, X 91.
La stessa locuzione ricorre anche in tre esempi delle Rime: XCI 90 espia... de la sua setta, / se vuoi saver qual è la sua persona; XCIII 5; Rime dubbie XXIV 1 Saper vorria da voi, nobile e saggio, / ciò che per me non son ben conoscente (si noti il sottile gioco semantico fra saper, saggio e non... conoscente).
A queste formule corrisponde quella di ‛ far s. ', che vale " informare ", " riferire ": If XXVIII 76 fa sapere a' due miglior di Fano / ... che... / gittati saran fuor di lor vasello, e X 113; Vn XIX 9 30.
10. Molto spesso alle implicazioni oggettive proprie dei concetti di conoscenza e di apprendimento si accompagnano valori suggeriti da atteggiamenti affettivi; queste sfumature, meglio rilevabili mediante un'interpretazione attenta ai valori psicologici del testo, sono più evidenti e frequenti allorquando il verbo cade alla seconda persona singolare in contesti d'intonazione colloquiale.
È perciò usato in formule introduttive nel ricordare cose ovvie o note: Rime CII 25 Segnor, tu sai che per algente freddo / l'acqua diventa cristallina petra; Cv III Amor che ne la mente 77 Tu sai che 'l ciel sempr'è lucente e chiaro (ripreso in IX 3 e 5); If XXXII 66 fu nomato Sassol Mascheroni; / se tosco se', ben sai omai chi fu; Pg V 109 Ben sai come ne l'aere si raccoglie / quell'umido vapor che in acqua riede; Fiore LI 7 tu sa' ben ch'egli [Malabocca] è un mal tranello. E così in Rime L 67, Rime dubbie V 7, Fiore II 5, XIV 8, XXV 12, CLV 5. In un esempio ricorre in un inciso: If XXVII 104 Lo ciel poss'io serrare e diserrare, / come tu sai. Alla medesima formula, per quanto abbia coscienza che il suo interlocutore non ha affatto notizia di ciò che gli sta per dire, ricorre con enfasi Virgilio nell'apprestarsi a spiegare a D. quale sia la forma dell'Inferno: Ed elli a me: " Tu sai che 'l loco è tondo... " (XIV 124).
In proposizioni dubitative usate come inciso, ricorre come formula che accompagna la richiesta di una spiegazione o l'invito a fare qualche cosa: If VI 60 ma dimmi, se tu sai, a che verranno / li cittadin de la città partita; Pg II 59 Se voi sapete, / mostratene la via di gire al monte; XXIV 10 Ma dimmi, se tu sai, dov'è Piccarda; e così in If VI 41, Pg VII 37 (dove la formula è se tu sai e puoi), XXI 34, XXII 98. Con forte funzione asseverativa, sottolineata dall'uso del pronome personale, dalla posizione in apertura o in clausola finale di verso e dal ricorso all'enclisi o all'antitesi: Rime CXVI 47 Qual io divegno sì feruto, Amore, / sailo tu, e non io; Pg XVII 93 Né creator né creatura mai / ...fu sanza amore / ... e tu 'l sal; Pd I 75 s'i' era sol di me quel che creasti / novellamente... / tu 'l sai.
Inserito in una proposizione relativa, e talora coniugato con la particella pronominale in funzione rafforzativa, serve a indicare persone o cose ben note ma che non si vogliono nominare; è uso peculiare del Fiore e imprime al contesto un'intonazione furbescamente allusiva o addirittura equivoca: LXIV 14 Prendila [la donna] e falle il fatto che ti sai!; CXXXIII 10 una truffola levaste [" metteste in giro una calunnia "] / sopra 'l valletto che vo' ben sapete; e così CLXXIX 8.
Nell'imperativo, e in forme equivalenti più o meno attenuate (fra le quali è piuttosto frequente il congiuntivo esortativo), s. ha valore vario che va dal tono ammonitorio alla semplice funzione d'introdurre un'informazione o una notizia, e - in ogni caso - è un modo di richiamare e trattenere l'attenzione dell'interlocutore: Rime L 29 sacciate che l'attender io non posso; If XIII 17 sappi che se' nel secondo girone; Fiore CLI 12 sappie ched io ho ferma intenzione / ch'i' sarò ancora per te vendicata; CXXVI 6 saccian che co' mie' mastri divini [" con l'aiuto dei miei teologi "] / i' proverò ched e' son Paterini. E ancora in If XV 106, XVII 68, XXXI 31, XXXIII 129, Pg XXII 34, Pd IX 115, XXXII 40. In particolare, è formula usata da alcuni personaggi della Commedia per rivolgersi a D. e rendergli nota la propria identità: If XXVIII 134 sappi ch'i' son Bertram dal Bornio; XXXII 68, Pg XIV 81; con un giro di frase lievemente diverso: XXVII 100 Sappia qualunque il mio nome dimanda, / ch'i' mi son Lia. Serve a introdurre una spiegazione scientifica: Pg XXV 68 sappi che, sì tosto come al feto / l'articular del cerebro è perfetto, / lo motor primo a lui si volge lieto; Cv I VII 14 sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra transmutare; IV XXIII 16; Pg XXII 49, XXXIII 34, Pd XXVIII 44.
Per far battere meglio l'accento sull'affermazione che si sta per fare, in luogo del semplice s. alcune volte è usata una circonlocuzione formata dai verbi ‛ volere ' o ‛ dovere '; queste locuzioni cadono sempre in apertura o in clausola finale di verso: If IV 62 E vo' che sappi che, dinanzi ad essi, / spiriti umani non eran salvati; XXXIII 13 Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino; e così in IV 33, XII 34, Pg XXVIII 118, Pd XXVIII 106. In qualche esempio la perifrasi con ‛ dovere ' esprime l'idea che l'interlocutore sia già al corrente della notizia che gli si sta per dare; in questo caso, essa ricorre in un inciso: Rime CIV 45 Poi cominciò: " Sì come saper dei, / di fonte nasce il Nilo picciol fiume... "; If XXXIII 136 Tu 'l dei saper, se tu vien pur mo giuso: / elli è ser Branca Doria; Pd V 51.
In tre esempi lo scrittore si serve dell'imperativo di s. per richiamare l'attenzione del lettore su ciò che sta dicendo; la natura ‛ comica ' dei componimenti in cui cadono queste occorrenze spiega l'intonazione familiare di un simile schema formale: Rime LXXIII 6 Di mezzo agosto la truovi infreddata; / or sappi che de' far ogni altro mese!; Fiore XVI 4 Quand'i' vidi lo Schifo sì addolzito / ... sappiate ch'i' mi tenni per guarito; CCXVIII 3 e sì sacciate ch'ell' [Venere] era guernita / e d'arco e di brandon.
La prima persona dell'indicativo presente, preceduta da negazione e seguita da un pronome interrogativo, forma locuzioni che accennano vagamente a persone o a cose lasciandole indeterminate; a differenza del sintagma del tipo ‛ che tu sai ' già ricordato, questa locuzione non sottintende l'idea che il soggetto alluda a persone o cose a lui note ma che non vuol nominare. Esempi di questo uso si hanno in Rime LXXVII 1 Bicci novel, figliuol di non so cui, / s'i' non ne domandasse monna Tessa; Pg X 114 non mi sembian persone, / e non so che, sì nel veder vaneggio; e così in Vn XXIII 23 45, Pg XXIV 107 e 118. Come nell'uso moderno, il sintagma ‛ non so che ', seguito da una particolare determinazione, indica un'impressione difficilmente esprimibile o precisabile: Pg II 23 d'ogne lato ad esso m'appario / un non sapeva [nella '21 sapea] che bianco; XXIV 37 El mormorava; e non so che " Gentucca " / sentiv'io; Pd III 59 Ne' mirabili aspetti / vostri risplende non so che divino; e così Cv IV XXV 12.
Con un uso tuttora assai vivo, il sintagma ‛ Dio sa ', posto in principio di frase, ha funzione efficacemente asseverativa, quasi a chiamare Dio a testimone della verità di ciò che si afferma: Pd III 108 Iddio si sa qual poi mia vita fusi (che è, per Piccarda, un modo per invocare la presenza di Dio a far fede di un " dolore, che chiuso nel segreto di una coscienza, è rimasto ignoto agli uomini " [Sapegno]. E, per una reticenza altrettanto memore e pudica, va citato il sospiro di Pia: Pg V 135 salsi colui che 'nnanellata pria / disposando m'avea con la sua gemma, già citato). Nonostante l'analogia formale, tutt'altra intonazione ha naturalmente la beffarda e ironica affermazione di Falsembiante sul conto di Costretta-Astinenza: Fiore CII 12 Iddio sa ben sed ell'è spiritale!
In altri esempi un richiamo alla sapienza divina (ma anche a quella dei beati) ricorre accennando a cose la cui natura, le cui cause o i cui fini siano ignoti o incomprensibili per l'intelligenza umana: Cv II V 17 lo qual movimento [quello della rivoluzione diurna, comune a tutti e nove i cieli], se esso è da intelletto alcuno [da un'Intelligenza angelica], o se esso è da la rapina del Primo Mobile, Dio lo sa; che a me pare presuntuoso a giudicare. Di Bertram dal Bornio, che ha il capo reciso, ma lo tiene con una mano sospeso per i capelli: ed eran due in uno e uno in due; / com'esser può, quei sa che sì governa (If XXVIII 126). Quando D. cade svenuto per i rimproveri di Beatrice, quale allora femmi, / salsi colei che la cagion mi porse (Pg XXXI 90). Con riferimento all'ineffabile bellezza del canto dell'aquila nel cielo di Giove: con canti quai si sa chi là sù gaude (Pd XIX 39; ma, secondo il Mattalia, in si sa è incluso " un altro significato: può formare, produrre ").
11. L'ampiezza e la varietà delle accezioni, dei costrutti sintattici e dei moduli espressivi attestati per s. trovano, sia in prosa sia in poesia, una naturale integrazione nel frequente ricorso a figure retoriche appartenenti al genere della replicazione.
Nelle opere in prosa casi di replicazione del verbo, talvolta usato in accezioni diverse facilmente ricavabili dal contesto, si hanno in Vn XXV 10 (due volte), Cv IV XIII 2 (tre volte), 3 (due volte) e 9 (tre volte), XXIV 12 (due volte). Particolarmente interesse hanno però due passi: per Vn XIV 10 propuosi di dire parole, ne le quali... significasse la cagione del mio trasfiguramento e dicesse che io so bene ch'ella non è saputa, e che se fosse saputa, io credo che pietà ne giugnerebbe altrui, la maggior parte degl'interpreti accoglie la spiegazione più ovvia (" so bene che la cagione del mio trasfiguramento non è conosciuta "); il Fraticelli, invece, riferendo ella a Beatrice e attribuendo a saputa funzione aggettivale, spiega " questa non è consapevole, non ha cognizione di ciò ", accentuando così la differenza di valore fra la prima occorrenza e le due successive. Oltre che per l'impiego di s. in accezioni diverse, l'esempio di Cv IV XXVII 5 nullo dicerebbe savio quelli che si sapesse [" avesse il coraggio, la forza d'animo "] bene trarre de la punta d'uno coltello ne la pupilla de l'occhio, così non è da dire savio quelli che ben sa [" è capace di "] una malvagia cosa fare, interessa per il ricorso al parallelismo e alla figura etimologica fra savio e si sapesse.
A un impegno retorico e stilistico di sicura derivazione guittoniana (v. GUITTONE) va attribuito il sottile gioco di replicazioni che caratterizza i tre sonetti di risposta della tenzone con Dante da Maiano: Rime XL 1, 2 e 4 Savete giudicar vostra ragione, / o om che pregio di saver portate; / per che... / com so rispondo a le parole ornate; XLII 3, 5, 6 e 9 per non saver... / Sacciate ben... / che di saver... / Poi piacevi saver...; e così ancora in XLIV 4 e 10, L 56 e 60. Si veda anche, al di fuori della tenzone, XCI 20 e 22, Rime dubbie VII 14 (due volte).
Tutt'altro timbro e più sovrana padronanza stilistica hanno naturalmente gli esempi della Commedia. Domina, fra le figure retoriche, l'anafora, magistralmente inserita nel ritmo del verso (Pg XIV 4 Non so chi sia, ma so ch'e' non è solo) e resa più efficace dalla ‛ variatio ' (Pd VI 37 Tu sai ch'el fece..., 40 E sai ch'el fé..., e 43 Sai quel ch'el fé...), dal parallelismo (If XIX 38 e 39 tu se' segnore, e sai ch'i' non mi parto / dal tuo volere, e sai quel che si tace) o dal consapevole impiego del verbo in accezioni diverse (XX 114 così 'l canta / l'alta mia tragedia... / ben lo sai tu che la sai tutta quanta). E si vedano anche Pd XIX 31 e 32, XXII 7 e 8.
Esempi di replicazione in qualche modo collegabili all'anadiplosi sono attestati nel Fiore: LXXV 4 e 5 Già per me nol sai; / e se 'l sapessi, già non vi 'nterrai; CLXI 7 e 8, CCXI 8 e 9. A un maturo intento d'imprimere efficacia e vigore al dettato s'ispirano gli esempi della Commedia: Pg XI 65 e 66 io ne mori', come i Sanesi sanno, / e sallo in Campagnatico ogne fante; Pd XXV 74 e 75 [David] ‛ Sperino in te ', ne la sua teodïa / dice, ‛ color che sanno il nome tuo ': / e chi nol sa, s'elli ha la fede mia?, movenza - questa - cui prelude il tu sai del v. 32.
Non sono inquadrabili in precise figure retoriche i seguenti esempi: If XIX 67 e 69 Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto / ... sappi ch'i' fui vestito del gran manto; Pg I 72 e 73 libertà va cercando, ch'è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte; XXVI 88, 89 e 90 Or sai nostri atti e di che fummo rei: / se forse a nome vuo' saper chi semo, / tempo non è di dire, e non saprei.