SANVITALE, Giberto conte di Belforte
– Figlio di Antonio e di Anastasia Rusca, nacque nel 1372, forse a Fontanellato, il principale castello che il casato possedeva nel territorio di Parma.
Le prime notizie attendibili su Giberto risalgono al 1395, in occasione dell’acquisto del titolo ducale da parte di Gian Galeazzo Visconti: egli era infatti uno dei cinque aristocratici inviati a Milano a giurare fedeltà al duca per conto del Comune di Parma insieme a Niccolò Pallavicino, Giberto e Gerardo da Correggio e Pietro Rossi.
Conformemente agli orientamenti dell’aristocrazia territoriale lombarda al tempo di Gian Galeazzo, Giberto svolse, a partire dagli anni immediatamente successivi, diversi incarichi al servizio del principe nel governo delle periferie. Il primo officio di cui abbiamo notizia è la podesteria di Bergamo, assunta nel giugno del 1397, pochi mesi prima della morte del padre Antonio e tenuta fino al giugno del 1399, in un periodo reso particolarmente complicato dalla virulenza dello scontro fra le fazioni. Giberto fu in seguito podestà di Tortona nel 1402; e ancora, sotto Giovanni Maria Visconti, di Piacenza nel 1405, quando riuscì a proteggere i guelfi piacentini dalla rappresaglia indiscriminata progettata da Ottobuono Terzi nei loro confronti, e di nuovo tra 1407 e 1408.
In quel confuso periodo seguito all’improvvisa morte di Gian Galeazzo Visconti nel settembre del 1402, Giberto e il fratello Giovan Martino cercarono di sfruttare la situazione per espandere i loro possedimenti territoriali, contrastando ad un tempo le ambizioni dei rivali Rossi, ancora abbastanza potenti da nutrire mire di signoria sul centro urbano. Ripresi pienamente i ruoli di signore territoriale e di capoparte accanto a quello di funzionario del principe, i rapporti di Giberto (e del fratello) con Milano si svilupparono all’insegna dell’ambiguità: nel 1401 Gian Galeazzo aveva infeudato ai Sanvitale Belforte, castello nell’alta valle del Taro fra Borgotaro e Berceto, e il privilegio fu confermato due anni più tardi dal nuovo duca Giovanni Maria, insieme alle esenzioni per Fontanellato e le ville circostanti. Nell’intervallo, tuttavia, proprio i Sanvitale avevano dato inizio ai disordini nel territorio di Parma con l’occupazione di Noceto (1402); nonostante ciò nel 1407 Giovanni Maria riconobbe il fatto compiuto, creando Giberto e Giovan Martino conti di Belforte, Fontanellato, Noceto e Oriano: tali località, distribuite sulla riva destra del Taro dalla bassa pianura fin quasi al crinale appenninico, costituivano il nucleo principale dei domini del casato, assieme ai territori gravitanti attorno a Sala, Maiatico e San Vitale nella media Val Baganza.
Le concessioni viscontee legittimavano – seppur disciplinandolo in forme feudali - il potere che i Sanvitale esercitavano nel territorio parmense, ma l’eminenza del casato non si basava solo sulle fortezze, le giurisdizioni e i sudditi del contado. Occorre considerare infatti anche la tradizionale influenza che essi esercitavano sulla società politica cittadina, come capi della fazione o squadra che portava il loro nome almeno dalla metà del Trecento; né irrilevante era la presa sulle istituzioni ecclesiastiche urbane, in ispecie sul monastero femminile benedettino di San Quintino, dove una figlia di Giberto, Maddalena, sarebbe divenuta badessa nel 1456 succedendo alla parente Giovanna.
Con l’aggravarsi della crisi del Ducato visconteo, la gravitazione nell’orbita milanese fu perturbata da tentazioni centrifughe nuove e vecchie: Giberto e Giovan Martino si avvicinarono dapprima a Ottobuono Terzi, che si era insignorito di Reggio, Borgo San Donnino e Parma, per poi abbandonarlo e riannodare i tradizionali legami con gli Este.
Fu proprio Giberto ad avvertire il marchese di Ferrara di un agguato tesogli dal Terzi, che intendeva catturarlo, e dopo l’eliminazione fisica di Ottobuono nel 1409, fu lo stesso Giberto a introdursi in Parma e a suscitare il tumulto che consentì a Niccolò III d’Este di impadronirsi della città.
Negli anni successivi i Sanvitale furono i più efficaci sostenitori della signoria estense su Parma, ma dopo il ritorno della città ai Visconti nel 1420 il loro ruolo fu ridimensionato, mentre lentamente si vennero riassestando gli equilibri tra le principali casate dell’aristocrazia territoriale parmense e le fazioni ad esse collegate. I rapporti di Giberto e del fratello con il nuovo duca Filippo Maria furono inizialmente ispirati alla diffidenza reciproca, tra dure imposizioni fiscali e concessioni di immunità, conferme di privilegi e abbattimenti di fortezze (come nel 1421 il castello di Madregolo, che era stato donato ai Sanvitale da Niccolò d’Este), addirittura revoche di concessioni feudali: nel febbraio del 1426 i sospetti di Filippo Maria sulle trame filoestensi di Giberto e del fratello portarono infatti alla temporanea occupazione del castello di Belforte.
Negli anni Trenta la situazione sembrò normalizzarsi. Giberto agì ancora da officiale per Filippo Maria Visconti e fu capitano generale della Martesana (luogo nevralgico ai confini con la Repubblica di Venezia) nel 1430; negli eventi bellici che precedono la seconda pace di Ferrara (1433) lo troviamo schierato al fianco di Filippo Maria contro i Correggio di Casalpò. Al pari di altri signori del Piacentino e del Parmense, Giberto dovette subire a metà degli anni Quaranta un processo per usurpazione di diritti giurisdizionali. Fu quindi condannato a cedere al duca il castello di Oriano con la villa di Robbiano sul Taro, oltre a Sala e Maiatico lungo il Baganza e Bianconese nella bassa pianura; mentre il nipote Angelo, figlio di Giovan Martino (morto nel 1432), fu costretto a consegnare il castello di Noceto e le ville di Sanguinaro, Bellena, Parola e Toccalmatto; a entrambi, inoltre, fu proibito di tenere un mercato a Fontanellato. È molto probabile tuttavia che – come nei casi analoghi dei Rossi e degli Scotti – la sentenza non sia mai stata eseguita.
Provvisto come tutti i membri dell’aristocrazia territoriale parmense di un palazzo in città, situato nella vicinia di San Michele del Canale, Giberto risiedeva di preferenza a Fontanellato, dove fece costruire la chiesa di Santa Croce. Morì a Fontanellato il 17 maggio del 1446, e non del 1447 come erroneamente riportato da varie fonti (e anche da un autore in genere molto attendibile come Angelo Pezzana).
La descrizione della sua morte e delle sue esequie, conservata in copia coeva nell’archivio di famiglia (Obitus Magnifici Comitis Ghiberti de Sancto Vitali, Archivio di Stato di Parma, Arch. Sanvitale, b. 871, 1446 maggio 17, s.l.), restituisce appieno l’immagine di un’ampia rete di relazioni parentali e politiche, estesa alla corte viscontea e all’aristocrazia lombarda, ma anche a Ferrara e a casa d’Este. I funerali, celebrati a Fontanellato tre giorni dopo la sua morte, videro la presenza di più di centoquaranta ecclesiastici, di rappresentanti di tutti i casati della nobiltà castellana locale e di un gran numero di cittadini di Parma dei più prestigiosi, preceduti dai dottori in legge della fazione sanvitalese; ma anche la partecipazione degli inviati e degli "amici" provenienti da tutto il Parmense e in particolare da comunità del rilievo di Borgo San Donnino e Borgotaro. Gli succedette nei possessi territoriali e nella guida del casato e della fazione cittadina il figlio Stefano.
Giberto sposò in prime nozze Costanza Terzi e successivamente Antonia Beccaria e Beatrice Vicedomini di Piacenza: da costei ebbe l’unico figlio maschio legittimo, Stefano. È noto anche un figlio maschio illegittimo, Gabriele; con ogni probabilità erano illegittime Maria Bianca, maritata ad Andrea Gualenghi di Ferrara; e Maddalena, monaca e dal 1456 badessa a San Quintino.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Parma, Archivio Sanvitale, 4. A.I. 54, 1430 dicembre 31, Vimercate; 4 A.I. 67, 1445 maggio 20, Milano; b. 868, 1407 novembre 12, Pavia; b. 871, 1446 maggio 17, s.l.; Archivio di Stato di Parma, Notarile, N. Zangrandi filza 41, 1426 aprile 13, Belforte; filza 48, 1438 aprile 4, Parma; Parma, Biblioteca Palatina, Parm. 789, Diverse Antichità della Città di Parma, e varie cose in essa accadute dall’Anno MCXI avanti Cristo fino all’anno 1570 a Nativitate, c. 202r; B. Angeli, Historia delle città di Parma et descrittione del fiume Parma, Parma 1591 (rist. anast., Bologna 1969), ad ind.; Chronicon Bergomense guelpho-ghibellinum ab anno 1378 ad annum 1407, a cura di C. Capasso, in RIS2, XVI, 2, Bologna 1926-1940, pp. 65, 93.
C. Poggiali, Memorie storiche di Piacenza, VII, Piacenza 1759, pp. 91, 97; I. Affò, Vita della beata Orsolina da Parma […], Parma 1786, p. 54; A. Pezzana, Storia della città di Parma, II, Parma 1842 (rist. anast., Bologna 1971), ad ind.; G. Chittolini, Infeudazioni e politica feudale nel ducato visconteo-sforzesco, in Id., La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli XIV e XV, Torino 1979, pp. 36-100: in particolare p. 68 e nota, p. 88 e nota; M. Gentile, Terra e poteri. Parma e il Parmense nel ducato visconteo all’inizio del Quattrocento, Milano 2001, ad ind.; L. Arcangeli, «Gentiluomini di Lombardia». Ricerche sull’aristocrazia padana nel Rinascimento, Milano 2003, pp. 306, 314; A. Talignani, I Sanvitale: vicende e insediamenti dagli esordi all’età moderna, in P. Ceschi Lavagetto - C. Mambriani - A. Talignani, Palazzo Sanvitale a Parma: storia, architettura, arte, Torino 2006, p. 44.