SANTUCCI, Antonio delle Pomarance (Ripomarance)
– Così chiamato dal luogo di provenienza, nella Val di Cecina, nacque intorno alla metà del XVI secolo da Giovan Matteo, del ramo meno facoltoso dei Santucci, e dalla nobile volterrana Camilla di ser Enea Falconcini.
Ebbe (almeno) due fratelli: Cesare, prete, che a Pomarance fece costruire una chiesa dedicata a s. Carlo Borromeo poi divenuta della Compagnia della misericordia, ed Enea, pittore, che nel 1601 sarebbe diventato sacerdote.
Non si conservano notizie sulla sua formazione. Il suo nome comunque non appare tra quelli degli immatricolati presso lo Studio di Pisa. Stando a quel che Santucci avrebbe dichiarato, quando condusse l’osservazione della ‘stella nuova’ del 1572, egli era già al servizio, non si sa bene in quale veste, del cardinale Ferdinando de’ Medici, che l’anno precedente si era trasferito a Roma. In quegli anni, Santucci sarebbe comunque più volte ritornato in Toscana, visto che, per esempio, osservò la cometa del 1577 da Firenze, mentre quella del 1582 ancora da Roma, proprio dalla residenza di Ferdinando nel «Palazzo della Trinità dei monti» (A. Santucci, Trattato nuovo delle comete..., 1611, pp. 67 s.). Ed è in quest’ultimo anno che per la prima volta egli è chiamato ‘matematico’ in un documento: si tratta di un inventario della guardaroba romana di Ferdinando in cui si menziona una sfera armillare, che il cardinale gli aveva ordinato, facendola poi spedire a Giulio Battaglini, agente mediceo a Napoli. La sfera vi giunse danneggiata e, una volta riparata, nel 1583 fu inviata come dono a Filippo II unitamente a un ‘libro’, vale a dire un opuscolo illustrativo, credibilmente quello ora conservato a Genova. Essa è ancora esposta nella biblioteca dell’Escorial. A Roma, Santucci potrebbe aver realizzato una seconda sfera, di cui però si è persa ogni notizia.
Allorché Ferdinando, in seguito alla morte del fratello Francesco I (1587), abbandonando la porpora cardinalizia gli successe come granduca, Santucci ritornò con lui a Firenze. Ancora una volta non si sa bene in quale ruolo ufficiale, dato che all’epoca era Ostilio Ricci a essere indicato come ‘matematico’ del granduca, ma continuando senz’altro a occuparsi di strumenti scientifici: quello a cui in particolare egli deve la notorietà è la magnificente sfera armillare che realizzò tra il marzo del 1588 e il maggio del 1593. Ritenuta la più grande al mondo tra quelle conservatesi, essa è ora ospitata dal Museo Galileo di Firenze.
Dai documenti risulta che Santucci non solo progettò la sfera, ma partecipò fattivamente alla sua costruzione servendosi di poche maestranze, tra cui il fratello Enea. Essa dà forma alla ‘macchina universale’ del mondo secondo il sistema aristotelico-tolemaico. Il prezioso manufatto, con al centro la Terra, si compone di nove sfere concentriche, la maggiore delle quali del diametro di 2 metri circa. Nell’osservarla, gli studiosi sono rimasti sorpresi dal fatto che da una parte essa raffiguri sul globo anche territori all’epoca poco noti, mostrando dall’altra inesattezze nelle rappresentazioni dei cieli pur per quelle che erano le conoscenze del tempo.
Nel 1590 costruì un quadrante di 4 braccia e mezzo di diametro. Del 1593 è invece una lettera di raccomandazione di Jacopo Mazzoni al granduca in cui egli è descritto come un «valent’huomo» autore di molte «fatiche intorno alle matematiche» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 841, c. 174). La missiva può esser letta come testimonianza dell’evoluzione degli interessi di Santucci verso questioni più teoriche. Ciò non significa che abbandonasse i propri interessi pratici. Tra il 1593 e il 1594, per esempio, stese un inventario ragionato degli strumenti della guardaroba del granduca con indicazione dell’uso che se ne poteva fare: essa è la prima evidenza di una sua qualche attività didattica. Vi racconta infatti di essere in mare sulle galee toscane, in prossimità della Corsica e della Sardegna, intento a istruire nell’arte della navigazione. Due anni dopo lo si ritrova invece a dar lezioni di matematica all’Accademia del disegno. Nell’agosto dello stesso 1595, restaurò il globo terraqueo di Egnazio Danti, ora nella stanza delle carte geografiche di Palazzo Vecchio, e nell’anno successivo osservò una cometa che nella sua opera sull’argomento avrebbe erroneamente collocato nel 1597.
Nel frattempo, nel 1587, aveva sposato Argentina di Agnolo Incontri, da cui avrebbe avuto (almeno) tre figli: Giovan Matteo, Francesco e il reverendo Andrea.
Il suo incarico dovette comunque essere relativamente occasionale se, nell’estate del 1596, egli scrisse una lettera al granduca con cui chiedeva un impiego stabile. Gli venne concesso un piccolo stipendio e, tre anni dopo, forse perché «favorito dalla Granduchessa» (lettera di Costanzo da Cascio a Galileo Galilei, Napoli, 24 maggio 1604, in Galilei, X, 1900, p. 108), la cattedra di matematica allo Studio di Pisa. Qui si portò dietro il quadrante e probabilmente con esso osservò la nova del 1604.
Tra il 1600 e il 1606, realizzò alcune carte geografiche per il granduca e nel 1611 pubblicò a Firenze un Trattato nuovo delle comete..., riedito postumo nel 1619, in cui si presenta già come «cosmografo del Gran Duca di Toscana». Si ignora quando il titolo, che si ritrova in altri suoi manoscritti difficilmente databili, gli fosse ufficialmente conferito.
Nel Trattato, inteso a dimostrare, contro l’opinione aristotelica, che le comete fossero corpi celesti e non effetti prodotti «nella regione dell’aria», Santucci espone le sue osservazioni sulle comete del 1577, 1582, 1596 e 1607 nonché sulle ‘stelle nuove’ del 1572 e del 1604. Le argomentazioni dello scritto, che pur mostra una certa indipendenza di giudizio, sono minate da ripetitività nonché da grossolani errori nei dati osservativi. Contro di esso e contro opere analoghe anni dopo, in difesa dell’opinione aristotelica, scrisse Scipione Chiaramonti. Vi è però da ricordare che Raffaello Magiotti paragonò la qualità del Trattato al lavoro di Mario Guiducci e quindi, indirettamente, in qualche modo all’opera dello stesso Galilei.
Tra l’estate e l’autunno del 1612, inserendosi (pur senza alcuna eco) in un dibattito sulle cause del galleggiamento dei corpi, in risposta al Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono di Galilei compose un Breve discorso sopra il Trattato del Signor Galileo Galilei delle cose, che galleggiano sopra l’acqua..., rimasto manoscritto. L’opera, benché «di poco momento» (Nelli, 1793, p. 322), com’è stata definita, sembra nondimeno essere stata l’unica tra quelle composte per l’occasione a non aver completamente frainteso la nozione di ‘gravità in specie’ proposta da Galilei.
Santucci occupò la cattedra di matematica fino alla morte, avvenuta nel 1613 (o al più a fine 1612), quando gli successe Benedetto Castelli.
Se il giudizio su Santucci come costruttore di strumenti, nonostante alcune sue imprecisioni, non può che essere positivo, è difficile esprimerne uno sulla sua spesso debole produzione scientifico-letteraria. Essa andrebbe valutata come l’esito dello sforzo di un artigiano intellettualmente vivace che con il passar del tempo, forse anche per innalzare il proprio status, cercò, pur con mezzi limitati, di confrontarsi su temi particolarmente controversi, in ciò mostrando anche una certa autonomia intellettuale. In tal senso, in termini non troppo ironici andrebbe intesa la considerazione di Benedetto Castelli, per il quale «il transito [di Santucci] da ciabattino all’esser lettore di matematica era stato un gran fare [...]» (Benedetto Castelli a Galileo Galilei, 10 dicembre 1613, in Galilei, 1901, XI, p. 604). Inoltre, proprio a Santucci sembra riferirsi Galilei nella Lettera a Madama Cristina di Lorena, quando ricorda: «E l’A.V. sa quel che occorse al matematico passato dello Studio di Pisa, che messosi in sua vecchiezza a vedere la dottrina del Copernico con la speranza di poter fondatamente confutarla (poi che in tanto la reputava falsa, in quanto non l’aveva mai veduta), gli avvenne che non prima restò capace de’ suoi fondamenti, progressi e dimostrazioni, che ei si trovò persuaso, e d’impugnatore ne divenne saldissimo mantenitore» (ibid, 1895, V, p. 328). Insomma Santucci, che, almeno all’inizio, non dovrebbe avere avuto gli strumenti culturali per intraprendere una lettura autonoma del De revolutionibus, negli ultimi anni della sua vita, forse con l’aiuto di qualcuno, potrebbe essersi applicato al copernicanesimo, da cui sarebbe stato infine conquistato.
Opere. Le opere rimaste di Antonio Santucci si suddividono in: 1. fogli e libri a stampa; 2. manoscritti; 3. strumenti conservatisi. Il Museo Galileo di Firenze, sulla propria piattaforma, ha reso disponibili in forma digitale gran parte degli scritti e delle immagini degli strumenti. 1. Dichiarazione della ruota perpetua, nuovamente ad utilità comune posta in luce, nella quale perpetuamente si trova l’ora del levar del sole [...] le feste mobili [...] cominciando dalla nuova Riforma, Firenze 1590; Trattato nuovo delle comete, che le siano prodotte in cielo, e non nella regione dell’aria, come alcuni dicono, [...] con l’aggiunta che le sfere del fuoco, e dell’aria non si muouino di moto circolare delle 24 hore, Firenze 1611 (riedito nel 1619). 2. Firenze, Biblioteca Marucelliana, cod. C.82: Trattato di diversi istrumenti matematici, che si conservano al presente nella Guardaroba del Gran Duca di Toschana...; Genova, Biblioteca Universitaria, F.VII.6: Trattato sopra la nuova inventione della sfera armillare ad istantia dell’Illustrissimo et Reverendissimo Monsignore Don Ferdindo [sic] Cardinal De Medici; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Magliabechiano, cl. XXII, cod. IV: Nuova inventione di tavole per sapere le cognuntioni della luna col sole, e tutti, gli aspetti che fanno fra di loro, con tutte le feste mobili di qual si voglia anno proposto…; cl. XIII, cod. XVIII: [Trattato di cosmografia] In questa presente hopera, si dimostra quanto la terra sia maggiore dell’acqua e dell’elemento dell’aria, e similmente quanto la sfera del fuoco, sia magiore della terra, et in oltre si da una regola di trovare con maravigliosa facilità, quante miglia si vede lontano dalla proposta altezza tanto i mare come in terra…; Gal. 316: Breve discorso sopra il Trattato di Galileo Galilei delle cose che galleggiano sopra l’acqua... 3. Presso la biblioteca dell’Escorial, Madrid: sfera armillare (terminata nel 1582). Presso il Museo Galileo, Firenze: ruota perpetua; sfera armillare (terminata nel 1593).
Fonti e Bibl.: Albero genealogico (incompleto) della famiglia Santucci: Volterra, Biblioteca Guarnacci, Archivio Maffei, Genealogie volterrane, c. 374; estimo del 1571: Pomarance, Archivio storico del Comune, f. 1356. Sulla sfera armillare dell’Escorial: Archivio di Stato di Firenze, Guardaroba Medicea, 79, c. 41; Mediceo del Principato, 5112, cc. 572 s. Sulla sfera armillare di Firenze: Archivio di Stato di Firenze, Guardaroba Medicea, 134, cc. 662 s.; 142; 143, n. 8; 174, c. 13; 195, n. 5, c. 1rv, 10r, 39rv, 40v. La lettera di Jacopo Mazzoni al granduca Ferdinando: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 841, c. 174. Su S. all’Accademia del disegno: Archivio di Stato di Firenze, Accademia del disegno, 27, c. 29v.
L. Delle Colombe, Risposte piacevoli e curiose alle considerazioni di certa Maschera saccente nominata Alimberto Mauri, fatte sopra alcuni luoghi del discorso del medesimo Lodovico dintorno alla stella apparita l’anno 1604, Fiorenza 1608, p. 10b; S. Chiaramonti, De tribus novis stellis, Cesena 1628, pp. 515-571; Lettere inedite di uomini illustri, a cura di A. Fabroni, II, Firenze 1775, pp. 259 s. (riedito in A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, XXVII, Riccardo White, in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1911-1912, vol. 71, pp. 21 s.); G. Targioni Tozzetti, Notizie d’alcuni aggrandimenti delle scienze fisiche, accaduti in Toscana, regnando il Serenissimo Granduca Cosimo II, I, Firenze 1780, pp. 75 s.; A.G. Pingré, Cométographie; ou, Traité historique et théorique des comètes, I, Paris 1783, p. 541; G.B.C. Nelli, Vita e commercio letterario di Galileo Galilei, Firenze 1793, p. 322; F. Meucci, La sfera armillare di Tolomeo costruita da A. S., Firenze 1867; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, I, Modena 1870, pp. 420 s., II, 1871, p. 217; G. Galilei, Opere, a cura di A. Favaro, V, Firenze 1895, p. 328; X, 1900, pp. 108 s.; XI, 1901, pp. 331 s. e 603-605; M.L. Righini Bonelli, The armillary sphere in the library of the Escorial in Madrid, in Vistas in astronomy, 1967, vol. 9, pp. 35-40; Ead., Di alcuni manoscritti inediti di A. S. delle «Ripomarance», in Annali dell’Istituto e museo di storia della scienza, III (1978), 2, pp. 59-67; T. Settle, A. S., his «New Tractatus on comets», and Galileo, in Novità celesti e crisi del sapere, Atti del Convegno..., Pisa, Venezia, Padova, Firenze... 1983, a cura di P. Galluzzi, Firenze 1984, pp. 229-238; F.P. de Ceglia, «De natantibus». Una disputa ai confini tra filosofia e matematica nella Toscana medicea (1611-1615), Bari 1999, pp. 156-163, 221-239; M. Bertini, Il Trattato di diversi istrumenti matematici di A. S., in Nuncius, XVII (2002), 1, pp. 247-262; Istituto e Museo di storia della scienza, Catalogue of orbs, spheres and globes, Firenze 2004, pp. 80-84; M. Bocci, Minuzie volterrane riguardanti san Carlo Borromeo, in Studia Borromaica, 2006, vol. 20, pp. 395-403; P. Bocci Pacini, A. S., un geografo alla corte di Ferdinando I, in Medicea, 2009, vol. 2, pp. 92-94.