VENANZIO FORTUNATO, santo
VENANZIO FORTUNATO, santo. – Nacque a Duplavenis, oggi Valdobbiadene (Treviso), poco prima del 540.
Il nome completo tramandato dai manoscritti è Venantius Honorius Clementianus Fortunatus. Egli però adoperò sempre soltanto l’ultimo elemento, l’unico che contenga un rimando significativo, connesso verosimilmente con il culto dell’omonimo martire aquileiese, diffuso in tutta la Venetia. Della famiglia egli menziona i genitori, un fratello, la sorella Tiziana e alcuni nipoti (Venanti Honori Clementiani Fortunati Carminum epistularum [...] Appendix carminum, a cura di F. Leo, 1881, l. XI, 6, verso 8 [da ora in poi C.]; ibid., Vita s. Martini, l. IV, versi 668-670 [da ora in poi M.]).
Ignoto è l’ambiente in cui trascorse infanzia e adolescenza e in cui ricevette l’istruzione primaria. A un dato momento egli entrò in contatto con quel Paolo che nel 557 sarebbe divenuto vescovo (scismatico) della metropoli aquileiese e che cercò di persuaderlo ad abbracciare la vita monastica (M., l. IV, versi 661-662). Ciò non implica ch’egli abbia trascorso parte della sua giovinezza ad Aquileia, dal momento che la frequentazione con Paolo può risalire a prima della consacrazione episcopale di costui e può perciò aver avuto luogo anche in altre località del bacino del Piave, ove non mancavano sedi vescovili in cui era possibile conseguire un’istruzione inferiore.
Venanzio completò la sua formazione a Ravenna – all’epoca massimo centro culturale dell’Italia settentrionale – con gli studi di grammatica e di retorica (e forse anche di giurisprudenza, mentre sembra che non abbia approfondito particolarmente lo studio del greco), che gli avrebbero aperto le porte per una carriera di insegnante, di poeta ma anche di funzionario pubblico (C., praef. 4; Pauli Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann - G. Waitz, 1878, l. II, cap. 13).
Nella tarda estate o nell’autunno del 565 Venanzio lasciò Ravenna per compiere un lungo viaggio che lo avrebbe portato, attraverso la Venetia, il Noricum, la Rhaetia e la Vindelicia fin nella Gallia dominata dai Merovingi, donde non avrebbe mai più fatto ritorno in patria.
Egli descrisse il percorso compiuto in due diversi luoghi della sua opera. Nel primo passo l’itinerario è punteggiato di soste in corrispondenza di celebri luoghi di culto (M., l. IV, versi 630-680): in conformità a ciò in altri due luoghi il viaggio è presentato quale pellegrinaggio di ringraziamento alla tomba di s. Martino a Tours (C., l. VIII, 1, verso 21; M., l. I, versi 43-44), poiché al suo intervento Venanzio attribuiva la guarigione da una malattia agli occhi (M., l. IV, versi 686-701). Nel secondo passo invece, conformemente al carattere di preambolo alla propria produzione poetica, egli non dà alcuna motivazione per il viaggio, presentandosi piuttosto come un letterato giovane e ambizioso in cerca di successo (C., praef. 4).
Venanzio giunse a Metz, capitale del regno di Sigiberto I, nella primavera del 566, in concomitanza con le nozze del sovrano con la principessa visigota Brunichilde, occasione in cui declamò un epitalamio di stile classico con la tipica ambientazione mitologica e costellato di reminiscenze dai poeti antichi (C., l. VI, 1).
Ciò gli guadagnò il favore del re e di molti dignitari, in primis di quelli provenienti dall’Aquitania orientale e dalla Provenza, territori a popolazione in maggioranza gallo-romana, ove la raffinata cultura latina della Tarda Antichità gallica aveva oltrepassato senza troppi danni il turbine delle invasioni.
Dopo le nozze Venanzio seguì Sigiberto nel viaggio che questi compì attraverso le principali città del regno per presentare la sposa ai sudditi, toccando Magonza, Colonia, Treviri, Verdun, Reims e forse Soissons. Ebbe così modo di stringere relazioni con diversi dignitari ecclesiastici e laici, di ceppo sia gallo-romano sia germanico.
Probabilmente al principio dell’estate del 567 (C., l. VI, 9, versi 13-16) passò a Parigi, capitale del regno di Cariberto I, cui dedicò un solenne panegirico in versi (C., l. VI, 2). Qui conobbe il vescovo Germano (C., l. II, 9-10), che gli commissionò la Vita s. Marcelli. Cariberto tuttavia morì alla fine di quell’anno; Venanzio, vista forse svanire ogni prospettiva di mecenatismo, lasciò Parigi e, ritornato nel territorio di Sigiberto, raggiunse Tours, dedicando un elogio al vescovo Eufronio (C., l. III, 3). Si portò quindi a Poitiers, città in cui Radegonda, vedova del re Clotario I, aveva fondato una comunità monastica. Ella, apprezzandone le qualità, lo invitò a stabilirvisi per curare gli interessi esterni dell’istituzione quale provisor.
Difficilmente un componimento elaborato come l’epitalamio poté essere steso in pochi giorni, né mancano indizi del fatto che l’arrivo di Venanzio a Metz non sia stato casuale ma, anzi, scrupolosamente preparato e il carme stesso commissionato (e perciò scritto ancora in Italia): egli al suo ingresso nel regno di Sigiberto fu accolto da un suo cortigiano che lo accompagnò fino alla capitale (C., l. X, 16, versi 1-6). Inoltre, il vescovo Vitale di Altino, che forse fu il primo suo mecenate (C., l. I, 1-2), aveva contatti nel regno franco (Pauli Historia Langobardorum, cit., l. II, cap. 4), e legami con Milano sono attestati per il vescovo Nicezio di Treviri (Epistolae Austrasicae, a cura di W. Gundlach, 1892, nn. 5-6), che Venanzio omaggiò al momento del passaggio per quella città (C., l. III, 11-12).
Sulla scorta dell’esilio comminato a Vitale di Altino da Narsete, Richard Koebner ha visto in Venanzio un simpatizzante dello scisma dei Tre Capitoli resosi perciò inviso all’autorità bizantina e rifugiatosi nella Gallia non coinvolta nella questione. Jaroslav Šašel ne ha al contrario fatto un agente diplomatico di Costantinopoli, incaricato di una sorta di offensiva culturale nei confronti dei re franchi a tutela dei comuni interessi in Italia, idea confutata con decisione da Brian Brennan. Gli studiosi recenti (Michael Roberts, Oliver Ehlen) più prudentemente ritengono che accanto alla motivazione religiosa, alla quale non vi è motivo di non dar credito, abbiano agito altre spinte non determinabili.
Nel periodo successivo Venanzio estese le relazioni del monastero tramite scritti e visite: passò la Loira e la Garonna diretto verso il Sud-Ovest della Gallia, toccando Bordeaux (C., l. I, 6 e 8-20) e raggiungendo Tolosa (ibid., l. I, 21 e II, 7-8): egli ricorda di essere giunto in vista dei Pirenei ricoperti di neve anche in piena estate (ibid., praef. 4), perciò Marc Reydellet ha supposto che possa essersi spinto fino a Braga nell’attuale Portogallo ove avrebbe incontrato il vescovo Martino (ibid., l. V, 1-2).
Allorché Radegonda, per aumentare il prestigio del monastero, volle ottenere dall’imperatore Giustino II un frammento della croce di Cristo, Venanzio compose dapprima alcuni carmi indirizzati a quel sovrano e a parenti della regina che avevano trovato rifugio presso la corte costantinopolitana (ibid., app. 1-3); in seguito, per la cerimonia di accoglimento della reliquia, concepì i due inni processionali Pange, lingua, gloriosi proelium certaminis e Vexilla regis prodeunt (ibid., l. II, 2 e 6). A ridosso della triste fine di Gelesvinta, sorella di Brunichilde andata sposa nel 568 al re Chilperico I (fratellastro di Sigiberto) e da questi fatta assassinare poco dopo, Venanzio compose, su esortazione di Radegonda, un’elegia consolatoria, tramite la quale la regina sperava (invano) di allontanare lo spettro della guerra tra i due sovrani (ibid., l. VI, 5). Nei primi anni del nuovo decennio egli celebrò con l’elegia De virginitate la benedizione di Agnese, discepola di Radegonda, quale badessa del monastero (ibid., l. VIII, 3). Fu poi a Nantes (ibid., l. III, 4-10), ad Angers ove l’abate Domiziano gli commissionò la Vita s. Albini (ibid., l. XI, 25, versi 9-10), a Nevers (ibid., l. III, 19) e in Bretagna (ibid., l. III, 16). Verosimilmente a questo periodo risale la stesura della Vita e delle Virtutes s. Hilarii, commissionategli dal vescovo Pascenzio, nonché della Vita s. Paterni, scritta su incarico di Marziano, abate di un monastero da questi fondato.
Numerosi furono in questi anni i carmi commissionatigli da Gregorio, vescovo di Tours dal 573. Su suo invito compose tra il 574 e il 575 la sua opera di maggior impegno: il poema epico-agiografico Vita s. Martini, parafrasi in quattro libri dell’opera omonima e del dialogo Gallus di Sulpicio Severo e, poco dopo, celebrò la conversione degli ebrei di Clermont, ottenuta dal vescovo Avito nel 576 (C., l. V, 5). Tra il 576 e il 577 Gregorio lo invitò a pubblicare tutte le poesie composte fino a quel momento, che andarono a formare gli attuali libri I-VII dei Carmina (rimasero esclusi i carmi indirizzati a Bisanzio e pochi biglietti d’indole strettamente privata, tramandati separatamente nella cosiddetta Appendix carminum). Inoltre, quale segno tangibile della sua stima, gli mise a disposizione un podere situato lungo il fiume Vienne (ibid., l. VIII, 19-20).
Nel 575 Sigiberto fu assassinato da sicari inviati da Chilperico e la guerra giunse a una svolta: quest’ultimo, cinte d’assedio Tours e Poitiers, le espugnò nel 579. Probabilmente in questo periodo, in cui si ebbe un diradarsi della sua produzione poetica, Venanzio ricevette l’ordinazione sacerdotale, con tutta verosimiglianza su esortazione di Radegonda, che intendeva così tutelare maggiormente l’indipendenza della sua istituzione.
Nel 580 Gregorio dovette rispondere davanti a Chilperico – dal quale, al pari di Venanzio, era mal visto a causa dei suoi legami con la corte di Metz – e a un sinodo di vescovi convocato a Berny-Rivière (presso Soissons) dell’accusa di aver diffuso voci calunniose su una presunta relazione adulterina della regina Fredegonda con il vescovo Bertrando di Bordeaux. Egli si discolpò con un giuramento e, a processo concluso, Venanzio pronunciò un solenne panegirico del re, riservando un cenno anche alle virtù della sua consorte (C., l. IX, 1).
L’elogio di due personaggi che Gregorio nella sua opera storiografica tratteggia a tinte fosche ha procurato a Venanzio da parte degli studiosi del passato l’accusa di adulazione e di opportunismo; ora Judith W. George (1992) vi ha invece riconosciuto un leale e generoso tentativo di venire in soccorso dell’amico: il ritratto di Chilperico quale principe ideale dovette essere concepito come un discorso retorico a carattere pedagogico-didascalico, ovvero quale tratteggio di un modello che il destinatario era invitato a contemplare per poi emulare in sé.
Nel 584 Chilperico venne a sua volta assassinato e di conseguenza Tours e Poitiers passarono a Childeberto II, figlio di Sigiberto. Ciò consentì a Venanzio di riallacciare i rapporti con i suoi estimatori della Gallia orientale e meridionale, ma poco dopo egli perse le due persone a lui più care, Radegonda e Agnese, morte a breve distanza nel 587. L’anno successivo si recò a Metz, con ogni probabilità accompagnando Gregorio, ch’era stato convocato da Childeberto per una missione diplomatica presso il re Gontrano suo zio. In tale occasione viaggiò a bordo del battello regale lungo la Mosella e il Reno, toccando Treviri e Coblenza e raggiungendo infine Andernach (C., l. X, 9). Ritornato a Poitiers, attese alla stesura della Vita Radegundis. Successivamente ritornò a Parigi, allo scopo di raccogliere materiali per la Vita s. Germani, commissionatagli dal successore Ragnemodo, la cui composizione fu seguita da quella della Vita s. Severini Burdigalensis.
Nella primavera del 589, quando Childeberto, con l’intento di limitare le esenzioni godute dalla chiesa turonense, inviò nella città gli esattori del fisco, Gregorio ricorse al talento poetico di Venanzio, che si portò a Tours e davanti agli esattori declamò un carme incentrato sui meriti di s. Martino (C., l. X, 11). Frattanto anche dopo la morte della fondatrice continuava a occuparsi del monastero e, quando in quello stesso anno le monache Basina e Crodielda, figlie rispettivamente di Chilperico e Cariberto, si sottrassero all’autorità della nuova badessa Leubovera riparando a Tours, Venanzio sollecitò Gregorio perché fosse posto fine allo scandalo (ibid., l. VIII, 12-13).
L’anno seguente Venanzio ebbe da Gregorio l’incarico di stendere didascalie in versi da apporre sotto le pitture che raffiguravano le storie di s. Martino nella nuova cattedrale di Tours, ricostruita dopo l’incendio del 561 (ibid., l. X, 6). Poco tempo dopo egli pubblicò tutta la sua produzione poetica successiva all’edizione dei primi sette libri: i due libri di carmi così raccolti andarono a formare gli attuali libri ottavo e nono.
Nel 591 salutò in versi l’ingresso a Poitiers del nuovo vescovo Platone (ibid., l. X, 14), il quale occupò la cattedra soltanto per qualche anno, se a succedergli fu Venanzio stesso (Pauli Historia Langobardorum, cit., l. II, cap. 13), verosimilmente preconizzato da Childeberto su istanza di Gregorio; se poi questi fu pure colui che lo consacrò, si avrebbe un terminus ante quem nel novembre del 594, data di morte del presule turonense. Anche il suo episcopato durò soltanto pochi anni: la data di morte è sconosciuta, ma deve certamente collocarsi entro il primo decennio del VII secolo.
I suoi estimatori curarono la pubblicazione in due libri (decimo e undicesimo) degli scritti da lui lasciati, tra i quali vi sono, oltre a numerosi biglietti di carattere privato indirizzati a Radegonda e Agnese, l’Expositio orationis dominicae e l’Expositio symboli (evidentemente risalenti agli anni dell’episcopato, periodo cui dovrebbe essere assegnata, se autentica, anche l’elegia In laudem sanctae Mariae).
Fu sepolto nella basilica di s. Ilario e già dopo pochi anni era venerato come santo (Pauli Historia Langobardorum, cit., l. II, cap. 13): le sue ossa furono infine disperse dagli ugonotti nel 1562.
Opere. Venanti Honori Clementiani Fortunati Carminum epistularum expositionum libri undecim. Appendix carminum. Vita s. Martini, in MGH, Auctores antiquissimi, IV, 1, a cura di F. Leo, Berolini 1881, pp. 1-380; Venanti Honori Clementiani Fortunati Vitae sanctorum, ibid., IV, 2, a cura di B. Krusch, Berolini 1885, pp. 1-54; De vita sanctae Radegundis libri duo, ibid., Scriptores rerum Merovingicarum, II, a cura di B. Krusch, Hannoverae 1888, pp. 358-377; Epistolae Austrasicae, ibid., Epistolae, III, a cura di W. Gundlach, Berolini 1892, pp. 128 s., 149; Vita Severini episcopi Burdegalensis auctore Venantio Fortunato. Vita Germani episcopi Parisiaci auctore Venantio Fortunato, ibid., Scriptores rerum Merovingicarum, VII, a cura di B. Krusch - W. Levison, Hannoverae-Lipsiae 1920, pp. 205-224, 337-418; Venance Fortunat, Poèmes, I-III, a cura di M. Reydellet, Paris 1994-2004; Venance Fortunat, Œuvres, IV, Vie de saint Martin, a cura di S. Quesnel, Paris 1996. Pauli Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann - G. Waitz, in MGH, Scriptores rerum langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1878, l. II, capp. 4 e 13.
Fonti e Bibl.: W. Meyer, Der Gelegenheitsdichter Venantius Fortunatus, Berlin 1901; R. Koebner, Venantius Fortunatus. Seine Persönlichkeit und seine Stellung in der geistigen Kultur des Merowinger-Reiches, Leipzig-Berlin 1915; D. Tardi, Fortunat. Étude sur un dernier représentant de la poésie latine dans la Gaule mérovingienne, Paris 1927; J. Šašel, Il viaggio di Venanzio Fortunato e la sua attività in ordine alla politica bizantina, in Aquileia e l’Occidente, Udine 1981, pp. 359-375; B. Brennan, The career of Venantius Fortunatus, in Traditio, XLI (1985), pp. 49-78; J.W. George, Venantius Fortunatus, a Latin poet in Merovingian Gaul, Oxford 1992; Venanzio Fortunato tra Italia e Francia. Atti del Convegno internazionale di studi..., Valdobbiadene-Treviso... 1990, Treviso 1993; B. Brennan, Venantius Fortunatus: Byzantine agent?, in Byzantion, LXV (1995), pp. 7-16; Clavis patrum Latinorum, a cura di E. Dekkers - E. Gaar, Steenbrugis 1995, pp. 322 s., 337-341, 343, 570 e 632; Venanzio Fortunato e il suo tempo. Valdobbiadene, chiesa di s. Gregorio Magno 29 novembre 2001- Treviso, casa dei Carraresi 30 novembre - 1 dicembre 2001, Treviso 2003; É. Delbey, Venance Fortunat ou l’enchantement du monde, Rennes 2009; M. Roberts, The humblest sparrow. The poetry of Venantius Fortunatus, Ann Arbor 2009; O. Ehlen, Venantius-Interpretationen. Rhetorische und generische Transgressionen beim ”neuen Orpheus”, Stuttgart 2011; D. Manzoli, Musa medievale. Saggi su temi della poesia di V. Fortunato, Roma 2016, ad indicem.