TOMMASO d'Aquino, santo
La vita. - Per la biografia di Tommaso d'Aquino abbiamo a nostra disposizione fonti narrative più numerose che per altri grandi scolastici, tuttavia, anche nei suoi riguardi, molti punti rimangono oscuri. È un caso felice che il priore dei domenicani di Benevento, Guglielmo di Tocco, e il processo di canonizzazione dell'anno 1319 abbiano salvato alcuni particolari storici, proprio nell'istante in cui già storia e leggenda minacciavano di confondersi. Oltre agli atti del processo condotto a Napoli e a Parigi e alla Vita del di Tocco, entra in considerazione come fonte narrativa autonoma, quasi soltanto la breve biografia che Tolomeo da Lucca (v. fiadoni, bartolomeo) ha inserito nella sua Historia ecclesiastica. La Vita di Bernardo Guidonis composta verso l'epoca della canonizzazione, e più ancora quella di Pietro Calo, si fondano quasi esclusivamente su altre fonti superstiti. Alcune poche date ci sono state conservate anche da documenti nonché da vecchie cronache.
T. rampollo d'una antica stirpe longobarda, che fino al sec. XII teneva in Aquino l'ufficio di castaldo, nacque nel castello di Roccasecca. Suo padre, Landolfo d'Aquino, fu nominato nel 1221 da Federico II giustiziere della Terra di Lavoro, e rimase sempre fedele alla parte imperiale; la madre Teodora proveniva forse da una famiglia nobile di Napoli. Quanto all'anno di nascita le fonti contemporanee dissentono tra loro, senza che si possa decidere quale vada preferita, ma dovette essere verso il 1226. In età di cinque anni fu inviato come oblato a Montecassino per esservi educato; i genitori speravano altresì che egli potesse un giorno diventare abate del potente monastero. Da Montecassino passò allo studio di Napoli, ove apprese grammatica, logica e filosofia naturale, quest'ultima sotto il magister Pietro de Hibernia. A Napoli entrò contro il volere dei suoi parenti nell'ordine dei predicatori, ma durante il viaggio verso il settentrione fu arrestato dai suoi fratelli (uno di loro era Rainaldo, che molto probabilmente va identificato col rimatore Rinaldo d'Aquino), e per circa un anno tenuto prigioniero. Probabilmente la cattura avvenne alla fine del 1243 o nella primavera del 1244. Dopo la liberazione T. si recò in compagnia del generale dell'ordine Giovanni Teutonico a Parigi, e da lì a Colonia presso Alberto Magno. Che egli abbia studiato sotto Alberto a Parigi dal 1245 al 1248 è possibile, ma non è del tutto sicuro. Sotto Alberto, che nel 1248 era tornato a Colonia, T. terminò lo studio della teologia, e probabilmente fece anche da maestro nella locale scuola dell'ordine. Dietro preghiera di Alberto e con la mediazione del cardinale Ugo di S. Caro, legato papale in Germania, Giovanni Teutonico permise nel 1252 che T. si recasse, nonostante la sua giovinezza, a Parigi e che vi si preparasse per il dottorato in teologia. Qui probabilmente Tommaso tenne lezioni dal 1252 al 1253 come baccalarius biblicus sulla S. Scrittura, e dal 1253 al 1255 come baccailarius sententiarum sulle Sentenze di Pietro Lombardo. Frutti delle lezioni bibliche sono i commenti a Isaia, Geremia e alle Lamentazioni; delle lezioni sulle Sentenze i quattro libri di commento all'opera di Pietro Lombardo che trattano dell'intera teologia. In conseguenza della lotta tra gli ordini mendicanti e l'università, la concessione della licenza, da parte del cancelliere di Notre-Dame, si protrasse fino al principio del 1256; passò un tempo anche più lungo prima che tutti i membri della facoltà teologica si dichiarassero disposti, per ordine del papa, ad accogliere T. tra loro come maestro, il che avvenne nell'ottobre 1257. Dal 1256 al 1259 T. fu magister regens di teologia a Parigi. È di quest'epoca lo scritto Contra impugnantes Dei cultum et religionem, in cui difende gli ordini mendicanti dagli attacchi che erano stati loro mossi; vi sono difesi il diritto degli ordini di insegnare nelle università e di ricevere confessioni e di seguire la povertà dei mendicanti. Seguirono le Quaestiones de veritate, vasta rielaborazione delle dispute tenute in quegli anni come magister; parimenti almeno i Quodlibeta 7-8 sono frutto delle dispute pubbliche, che egli organizzava una o anche due volte all'anno. Nell'anno 1259 T. tornò nella provincia romana, e probabilmente insegnò in qualche convento dell'Italia centrale. Nel 1260 fu nominato dal capitolo generale di Napoli praedicator generalis, cosicché ottenne il diritto di prender parte ai capitoli provinciali. Probabilmente dopo l'elezione di Urbano IV, nel 1261, entrò come lector curiae nella corte papale, allora a Viterbo e più tardi ad Orvieto. Durante questo periodo deve esser nuovamente vissuto con Alberto Magno (che soggiornò in Italia dalla fine del 1261 alla primavera del 1263) e col noto traduttore di Aristotele, Guglielmo da Moerbeke. Dopo il 1259 fu ultimata la Summa contra Gentiles, cominciata a Parigi. Anche la Catena aurea, grande esegesi dei Vangeli, sorse sotto Urbano IV e durante la successiva sede vacante. Nel 1265 il capitolo provinciale di Anagni stabilì che T. assumesse la direzione dello studio di Santa Sabina a Roma. È probabile, ma non certo, che sia stato richiamato sotto Clemente IV da Roma a Viterbo come lector curiae alla corte papale. Frutti di questo periodo italiano d'insegnamento sono, oltre agli scritti già menzionati, le Quaestiones disputatae De Potentia e De spiritualibus creaturis, e anche i Quodlibeta 9-10. Dopo il 1265 T. cominciò l'elaborazione dell'opera capitale, la Summa theologiae, la cui prima parte fu compiuta già in Italia, e del grande commento ad Aristotele. L'Etica e il principio del commento alla Metafisica appartengono in ogni caso a questo periodo.
Il vertice dell'attività scientifica fu raggiunto da T. all'epoca del suo secondo insegnamento a Parigi (1269-1272). La situazione all'università era divenuta molto difficile per il suo ordine, e tra i "maestri d'arti" l'averroismo aveva suscitato una profonda crisi. Non si voleva un distacco dalla fede cristiana, ma si interpretavano Aristotele ed Averroè in maniera inconciliabile col dogma ecclesiastico, e si asseriva che l'erroneità di tali opinioni non poteva esser provata con la ragione. Capo degli averroisti era Sigieri di Brabante. T. compose contro gli averroisti il De unitate intellectus, impugnandoli anche in altri scritti. Nel clero secolare la vecchia prevenzione contro i nuovi ordini non era ancora scomparsa, e capo di questo partito era Geraldo di Abbeville; contro di lui T. difese lo stato religioso e il diritto di accogliere i novizî in età giovanile. Un'altra corrente tra i professori di teologia era diretta contro T. stesso e il suo sistema; si era malcontenti per il fatto che in molte questioni, non toccanti immediatamente la fede, egli seguisse Aristotele, e non Agostino e i vecchi maestri: specialmente la sua teoria dell'unità della forma sostanziale nell'uomo e il suo ripudio delle virtù germinali e della teoria agostiniana dell'illuminazione divennero pietre di scandalo nelle cerchie francescane. Contro questi avversarî T. battagliò con tranquilla superiorità negli scritti che risalgono a quest'epoca, e che sono principalmente: i Quodlibeta 1-6, le Quaestiones disputatae De anima, De malo, De virtutibus, De unione Verbi Incarnati: l'ultimo scritto fu composto forse a Napoli. T. scrisse inoltre a Parigi la seconda parte della Summa e cominciò la terza parte, portando anche a termine i 12 libri della Metafisica; anche il De anima e i Parva naturalia, quali si presentano oggi, risalgono a quel tempo, a meno che il De anima non sia già stato scritto in Italia. Furono iniziati il De caelo, il De meteoris, il De generatione et corruptione e il De interpretatione. Anche le lezioni su Matteo e sulle lettere di S. Paolo furono probabilmente tenute durante quest'epoca. Il capitolo generale di Firenze stabilì nel 1272 che T. assumesse la cattedra di teologia nell'università di Napoli. Egli vi insegnò dall'autunno del 1272 fino all'inizio del 1274. Durante quest'epoca lavorò alla terza parte della Summa e ai commenti di Aristotele, e parimenti al Compendium theologiae e all'esegesi di Giovanni anche i Quodlibeta 11-12 risalgono con molta probabilità a questa epoca. Al principio del 1274 T. si mise in viaggio col suo compagno Rainaldo da Piperno per Lione, dove lo aveva chiamato in occasione del concilio la fiducia di Gregorio X. Ammalatosi durante il viaggio, morì il 7 marzo 1274 nell'abbazia dei cisterciensi di Fossanova presso Terracina, dopo aver fatto sul letto di morte una commovente professione della sua fede, della sua umiltà e del suo amore per Cristo.
T., che senza dubbio è fra i massimi rappresentanti della scienza ecclesiastica e non appare piccolo neppure accanto a un Agostino, è anche come uomo una figura straordinariamente attraente. Le testimonianze di contemporanei fanno apparire chiaramente i tratti del suo carattere. Grande e robusto fisicamente, imperterrito nei pericoli e dinnanzi a fenomeni paurosi della natura, di calma imperturbabile anche quando i circostanti perdevano la serenità, tradiva già nell'aspetto la sua provenienza da una stirpe abituata a tenere testa al nemico. I suoi compagni riferiscono quanto tenace e vasta fosse la sua memoria: per la Catena aurea, in gran parte composta di passi tratti dai Padri, egli aveva raccolto il materiale durante i mutevoli soggiorni della curia nei varî luoghi e lo aveva conservato a memoria; leggere, intendere, penetrare e accumulare nella memoria erano per lui la stessa cosa. Questa facoltà di afferrare rapidamente si congiungeva con una profonda dote speculativa e un'inconsueta capacità di concentrarsi, cosicché persino in compagnia di alti dignitarî secolari ed ecclesiastici poteva essere spiritualmente assente, e diveniva talvolta insensibile al dolore fisico. Era per lui una gioia immergersi nella speculazione del mondo spirituale. Nonostante la profondità di spirito e l'ampiezza della materia insegnata, era nell'esposizione della dottrina così semplice, chiaro e limpido, da divenire rapidamente persino a Parigi uno dei più celebrati maestri; il modo d'esporre, il metodo e la dottrina di lui furono accolti come qualcosa di assolutamente nuovo. Egli poté compiere un'opera tanto grande, perché si era dato completamente, dopo Dio, alla scienza. Beni, onori e potenza non lo attiravano; del resto con l'entrata in uno degli ordini nati allora aveva rinunciato a uno splendido avvenire, e nel suo ordine non ricoprì mai cariche elevate. Quando Clemente IV volle conferirgli l'arcivescovato di Napoli, rifiutò; quando il suo compagno di viaggio gli parlò della probabilità che al concilio il papa lo facesse cardinale, dichiarò che non avrebbe mai deposto il saio del suo ordine. Neppure cercava l'apparenza o l'onore del sapere; affermava che il commento del Crisostomo a Matteo era per lui più prezioso di tutto lo splendore della capitale francese. Coloro che lo conobbero sono unanimi nel lodarlo come un'anima candida, in cui non esisteva ombra né falsità; egli rimase il modesto, semplice frate, pieno di bontà e cordialità verso tutti. Quanto intimamente fosse unito a Dio, lo mostrano le parole, che egli disse allorché, tre giorni avanti la sua morte, gli fu recato il Viatico: "Io ti ricevo, prezzo di riscatto della mia anima, io ti ricevo, viatico del mio pellegrinaggio. Per amore tuo ho studiato, vegliato, lavorato, predicato e insegnato". Giovanni XXII lo canonizzò nel 1323 e Pio V lo dichiarò Dottore della Chiesa nel 1567. Questa l'onora con i titoli di Doctor communis e specialmente Doctor angelicus.
Opere. - Tommaso ha rivelato una sorprendente fecondità; negli ultimi anni della sua vita essa è stata così grande, che a stento si riesce a comprendere come un uomo, già assorbito dall'insegnamento, potesse produrre tanto. Il suo oggetto era anzitutto la teologia, in tutti i rami che venivano allora insegnati. Direttamente dalla sua attività di maestro provengono: il commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, le Quaestiones disputatae e i Quodlibeta; anche la Summa fu ideata come strumento per maestri e scolari. Frutto dell'esegesi della Scrittura nella scuola sono i commenti a libri dell'Antico e del Nuovo Testamento, ad eccezione di Giobbe e della Catena aurea, che hanno un carattere alquanto diverso. All'apologia della dottrina cristiana sono destinati anzitutto la Summa contra Gentiles, gli scritti De unitate intellectus contra Averroistas e De substantiis separatis, ed altri scritti minori contro i Greci. Alla difesa degli ordini religiosi sono dedicati gli scritti Contra impugnantes religionem, De perfectione religiosa e altri. I commenti ad Aristotele sono in parte nati dall'insegnamento, ma furono ideati come strumenti per maestri e scolari. Altri scritti minori trattano singoli problemi, come il De ente et essentia e il De principiis naturae; altri sono risposte a quesiti proposti.
Sull'autenticità delle opere maggiori, e anche della maggior parte degli scritti minori, non può sussistere dubbio alcuno. Per la maggior parte la tradizione manoscritta risale al sec. XIII. Di parecchie opere, ad esempio del III delle Sentenze, e dei I-III della Summa contra Gentiles esiste ancora l'autografo. Si possiedono inoltre elenchi degli scritti di T., che risalgono alla fine del sec. XIII o al principio del XIV e comprendono anche le opere minori. Questi elenchi si dividono in parecchi gruppi. I più importanti sono:1. un gruppo, di cui rappresentanti principali sono un catalogo, che fu presentato nel 1319 dal logoteta Bartolomeo da Capua al processo di canonizzazione, l'elenco di Nicolò Trivith negli Annales regum Angliae e un elenco dell'Ambrosiana; 2. il catalogo di Tolomeo da Lucca nella sua Igistoria ecclesiastica; 3. il cosiddetto catalogo di Stams con gli elenchi dipendenti da questo tipo; 4. il catalogo di Bernardo Guidonis nella sua Vita S. Thomae. Solamente nei riguardi di una serie di scritti minori, inclusi già negli elenchi antichi ma contro la cui autenticità vi sono ragioni interne, la questione non è ancora sufficientemente chiarita. Qui menzioneremo anzitutto gli scritti maggiori sistematici ed esegetici; quindi i cosiddetti Opuscula, indicati nell'ordine di successione delle edizioni romana e veneziana, tralasciando gli scritti di dubbia autenticità o certamente apocrifi; infine gli scritti ancora dubbî. Le date di origine poste tra parentesi sono in gran parte ancora problematiche, anche se in loro favore vi sono ragioni positive. Non indicheremo invece nulla là dove le date sono dovute a pure ipotesi.
I. Grandi opere sistematiche: 1. Il Commento ai 4 lilbri delle Sentenze di Pietro Lombardo: 1253-1255. 2. La Summa contra Gentiles: circa 1258-1262. 3. La Summa theologica: I, circa 1266-1268; 1-II e 2-II, 1269-1271; III, 1272-73. 4. Quaestiones disputatae: De veritate, 1256-59; De potentia, circa 1265-67; De spiritualibus creaturis, circa 1265-68; De anima, circa 1269-1270; De malo, 1269-1270; De virtutibus, circa 1271-1272; De unione Verbi Incarnati, circa 1272-73. 5. Quodlibeta: 1-6, 1269 1272; 7-8, 1257-59; 9-10, circa 1265-67; 11-12, 1272-73.
II. Commenti alla S. Scrittura: 1. Le esegesi di Isaia, Geremia, delle Lamentazioni, 1252-53; 2. Il commento a Giobbe e ai Salmi; 3. La Glossa continua o Catena aurea, circa 1261-65; i commenti a Matteo (dopo il 1264), a Giovanni, 1273-1274, alle lettere paoline.
III. Commenti ad Aristotele, al Liber de causis, allo pseudo-Dionigi e a Boezio.1. Perihermenias (l.1-l. 2 lect. 3) circa 1272; 2. Analytica priora; 3. Physica, circa 1268; 4. De caelo et mundo (l. 1-l. 3 lect. 8) circa 1272-73; 4. De generatione et corruptione (l. 1, lect. 1-17), circa 1272-1273; 5. De anima, dopo il 1266; 6. De sensu et sensato, dopo il 1266; 7. De memoria et reminiscentia, dopo il 1266; 8. Metaphysica (l. 1-12), circa 1266-1271; 9. Ethica; 10. Politica (l. 1-l. 3, lect. 6); 11. De causis, dopo il 1271; 12. De divinis nominibus; 13. De hebdomadibus; 14. De trinitate.
IV. Opuscula. -1. Contra errores Graecorum, 1261-1264; 2. Compendium theologiae, 1272-73; 3. Expositio orationis dominicae; 4. Expositio salutationis angelicae; 5. Expositio symboli apostolorum; 6. Declaratio quorundam articulorum contra Graecos, Armenos et Saracenos; 7. De duobus praeceptis caritatis et decem legis praeceptis, 1273; 8. De articulis fidei et ecclesiae sacramentis; 9 (10). Responsio ad magistrum ordinis Joannem Vercellensem de articulis 42, 1271; 10 (11). Responsio ad lectorem Venetum de articulis 36, 1271; 11 (12). Responsio ad lectorem Bisuntinum de articulis 6; 12 (15). De substantiis separatis seu de angelorum natura (dopo il 1268); 13 (16). De unitate intellectus contra Averroistas, 1270; 14 (17). Contra retrahentes a religionis ingressu, 1270; 15 (18). De perfectione vitae spiritualis, 1270; 16 (19). Contra impugnantes religionem, 1257; 17 (20). De regimine principum (l. 1-l. 2, c. 4); 18 (21). De regimine Iudaeorum; 19 (22). De forma absolutionis ad magistrum ordinis; 20-21 (23-24). Expositio primae et secundae decretalis; 22 (25). De sortibus; 23 (26). De indiciis astrorum; 24 (27). De aeternitate mundi (prima del 1266); 25 (30). De ente et essentia (circa 1254); 26 (31). De principiis naturae (circa 1254); 27 (33). De mixtione elementorum; 28 (34). De occultis operationibus naturae; 29 (35). De motu cordis; 30 (57). Officium corporis Christi, 1261-64; 31 (67). De emptione et venditione ad tempus; 32. De secreto (Tommaso e altri maestri di teologia), 1269; 33. Responsio ad Bernardum, abbatem Casinensem, 1273; 34. Principium in sacram scripturam, 1252; 35. Principium doctoratus, 1256; 36. Sermones.
V. Opuscula di autenticità ancora dubbia: 1 (9). Responsio ad fr. Joannem Vercellensem de articulis 108; 2 (13). De differentia verbi divini et humani; 3 (14). De natura verbi; 4 (29). De principio individuationis; 5 (32). De natura materiae; 6 (36). De instantibus; 7 (37). De 4 oppositis; 8 (38). De demonstratione; 9 (39). De fallaciis; 10 (40). De propositionibus modalibus; 11 (41). De natura accidentis; 12 (42). De natura generis; 13 (72). De concordantia in seipsum.
Il pensiero. - Individualità scientifica. - Tommaso d'Aquino fece già sui contemporanei l'impressione d'un pensatore straordinario, in cui si realizzò armonicamente il connubio fra lo scienziato e il santo. Ciò che nella scienza gli premeva era soltanto la ricerca delle verità naturali e soprannaturali, e ciò si manifesta nella circospetta impostazione dei problemi, nel chiaro svolgimento di idee e argomenti, e nella spassionatezza e quasi nell'impersonalità dell'esposizione. T. è anzitutto un genio speculativo: egli nelle altezze del pensiero agostiniano che penetra i misteri del cristianesimo non si sente meno sicuro che negli alti voli della metafisica aristotelica. Tuttavia la sua singolare disposizione per la metafisica non gl'impedisce di utilizzare ampiamente le cognizioni del campo psicologico, etico e sociologico - sebbene in quello delle scienze naturali non abbia raggiunto un Alberto Magno o un Ruggero Bacone - e di fondare così il suo sistema su una base empirica. Sebbene nelle sue opere prevalga l'elemento razionale, tuttavia da molti passi dei suoi scritti teologici spira un soffio di misticismo. Nel campo della teoria e teologia mistica, egli ha influito non soltanto sui mistici del suo ordine, specialmente in Italia e Germania, ma ha anche provocato un'eco nella mistica spagnola di S. Teresa e di S. Giovanni della Croce. Le sue poesie sono eternate nella liturgia eucaristica della Chiesa. Tutti ammirano il suo ingegno incomparabile per la sintesi, fusione e coordinazione di cognizioni particolari in modo da effettuare una grande unità scientifica. Soprattutto la Summa theologica costituisce, per la sua ripartizione e struttura generale, un mirabile capolavoro di architettura sistematica, da paragonarsi alle cattedrali gotiche dei suoi tempi protese verso il cielo.
In T. il lavoro personale di ricerca si congiunge con una prudente utilizzazione delle conquiste scientifiche dei tempi antecedenti; oltre a una speciale inclinazione per lo studio complessivo delle fonti, egli mostra nell'indovinata risoluzione di questioni di autenticità (ad es., del Liber de causis) sguardo penetrante in critica storica e sentimento dello sviluppo e del progresso delle scienze. La sua mente non abbraccia solo l'ampio materiale delle fonti latine di teologia e patristica a cominciare da Agostino e da Boezio, della scolastica primitiva e del diritto canonico, ma subisce anche, in misura maggiore che i suoi contemporanei, l'influenza dei Padri greci, Giovanni Crisostomo, Cirillo d'Alessandria e Giovanni Damasceno. In filosofia egli è nel Medioevo il migliore conoscitore e commentatore di Aristotele, e a lui è dovuta l'elaborazione dell'aristotelismo cristiano, iniziata già dal suo maestro Alberto Magno, e la sintesi di Aristotele e di Agostino in filosofia e in teologia. Conosce anche i commentatori greci di Aristotele, quali Alessandro d'Afrodisia, Temistio e Simplicio. Il suo confratello Guglielmo di Moerbeke dava con le sue traduzioni una migliore base filologica agli studî aristotelici di T. Quanto a fonti neoplatoniche, stavano a sua disposizione gli scritti dello pseudo-Dionigi, il Liber de causis, il libro De intelligentiis dello pseudo-Witelo (Adamo di Bocfeld?) e la Στοιχείωσις ϑελοψική di Proclo, tradotta nel 1268 da Guglielmo di Moerbeke. T. conosce e adopera ampiamente la filosofia arabogiudaica, cercando però di liberare Aristotele dalle alterazioni arabe. Egli preferisce Avicenna e Algazel ad Averroè, che egli combatterà sempre più decisamente chiamandolo peripateticae philosophiae depravator. Anche in quadri di pittori italiani (beato Angelico, Benozzo Gozzoli, ecc.) è glorificata la vittoria di S. Tommaso su Averroè e l'averroismo. Sebbene T. impugnasse energicamente ciò che in Averroè e nei filosofi arabi v'era di incompatibile con la fede, nondimeno condivideva varie dottrine della facoltà degli "artisti" di Parigi, di cui era allora il più insigne rappresentante Sigieri di Brabante. Si comprende quindi che, fra le 219 proposizioni dell'averroismo latino, condannate da Stefano Tempier vescovo di Parigi nel 1277, si trovassero anche nove tesi tomistiche, come pure che Dante (Parad., X, 133 segg.) abbia messo in bocca a T., nella gloria del paradiso, parole di elogio per Sigieri di Brabante (v. G. Busnelli, L'accordo di Sigieri di Brabantia e Tomaso d'Aquino secondo nuovi documenti, in La Civiltà cattolica, 1932, III, pp. 105-135; L. Perugini, Il tomismo di Sigieri di Brabante e l'elogio Dantesco, in Giornale Dantesco, XXXVI [1933], pp. 165-168). Dei filosofi giudaici T. respinge con fermezza Avencebrol, mentre accetta e utilizza concetti di Mosè Maimonide, sebbene con riserve specialmente in questioni di filosofia della religione. E. Gilson parla d'un umanesimo di Tommaso, che abbellisce e ravviva i suoi ragionamenti filosofici e teologici con citazioni di Orazio, Ovidio, Cicerone, Terenzio, Seneca, Sallustio, Livio, Valerio Massimo, ecc.
Relazioni fra filosofia e teologia. - T., come Aristotele, riporta l'origine della filosofia al desiderio insito alla natura umana di conoscere il mondo interno ed esterno nelle ultime cause e negli intimi nessi. La più alta perfezione raggiungibile dall'intelletto umano nell'indagine filosofica consiste nel fatto che tutto l'ordinamento dell'universo e delle sue cause s'iscriva nell'anima (ut in ea describatur totus ordo universi et causarum eius: in De Veritate, 2, 2). V'è un triplice ordine, che è il criterio principale secondo cui si divide la filosofia. Il primo ordine è quello delle cose fisiche, dell'essere reale, che non viene prodotto dall'uomo stesso, ma che questi trova e considera come preesistente. L'indagine di quest'ordine reale è il compito della filosofia naturale (filosofia reale in senso lato), la quale comprende qui anche la metafisica. Il secondo ordine è quello che la ragione umana effettua mediante gli atti ad essa proprî; quest'ordine è oggetto della filosofia razionale o logica. Alla logica incombe di ordinare gli atti della ragione umana in modo che l'uomo nella sua attività pensante proceda con ordine, facilità, e senza errore. La logica sta a capo di tutte le discipline filosofiche, e dev'essere studiata per prima anche perché insegna il metodo da seguirsi in tutte le scienze. Il terzo ordine è quello che la ragione produce con gli atti della volontà, cioè l'ordine di ciò che deve essere, ossia l'ordine morale; quest'ordine è oggetto della filosofia morale o etica. La filosofia reale o naturale, che ha per oggetto l'essere reale, è divisa da T. (in Boethium, de trinitate), dietro Aristotele e Boezio, in tre scienze secondo i gradi dell'astrazione. La filosofia naturale in senso più stretto, a cui appartiene anche la psicologia, ha per oggetto l'ens mobile, cioè le cose fisiche con tutte le qualità sensibili ed empiriche. Campo d'attività della matematica è l'ens quantum, considerando le cose fisiche solo secondo la loro estensione e astraendo dal moto della materia percepita sensibilmente. Infine si può considerare l'essere delle cose separato dalla materia sensibile, dal moto e dall'estensione, e tale è il campo della metafisica che investiga l'ens in quantum est ens, l'essere in quanto tale, con le sue qualità e relazioni più universali. La filosofia morale o pratica è suddivisa in etica, economica, e politica, secondo che regola la vita morale o dell'individuo, o della famiglia, o dello stato.
Quale opera altamente originale e scientifica spicca, fra le correnti di quei tempi, la maniera con cui T. determina i rapporti della filosofia e delle scienze profane con la fede e la teologia. Contro la separazione averroistica della filosofia dalla rivelazione, e contro la valutazione esagerata della filosofia a scapito della teologia, T. inaugura il collegamento organico e la collaborazione metodica di ambedue le scienze. Egli respinge la tesi della doppia verità patrocinata da averroisti latini, opponendole l'armonia fra verità naturale e soprannaturale, di cui ognuna emana da Dio come dalla fonte comune. T. dimostra questa armonia mettendo in luce sia i servizî preziosi che il ragionamento filosofico può e deve rendere alla doctrina sacra o scientia fidei, sia il grande arricchimento che la fede e la teologia apportano alla filosofia. T. effettua l'unione organica di filosofia e teologia, anche trasportando, primo fra gli scolastici, il materiale scientifico aristotelico nella teologia e collegando così ambedue le scienze con un comune vincolo metodico. Contro l'agostinismo della scuola francescana, che valutava la filosofia e le scienze profane principalmente in vista dei servizî resi da loro alla teologia e che trasferiva il modo di pensare teologico in campo puramente filosofico, T. afferma l'autonomia della filosofia entro il proprio ambito e opera una divisione netta e una distinzione chiara - non però un distacco - di ambedue le scienze secondo l'oggetto, i principî ed il metodo. La filosofia deve orientarsi verso la teologia della rivelazione nelle questioni e negli argomenti che ha comuni con essa, benché consideri questi oggetti da un punto di vista diverso da quello della teologia; T. però protesta contro l'intromissione della teologia in campo nettamente filosofico; Nec video, quid pertineat ad doctrinam fidei, qualiter Philosophi verba exponantur (Responsio de articulis XLII, a. 33).
Teoria della conoscenza. - Benché T. non abbia esposto in un trattato organico una teoria della conoscenza, tuttavia si trovano sparse nelle sue opere numerose delucidazioni di questo argomento, tanto che se ne può fare un prospetto generale. Idea fondamentale di questa teoria è la percezione spirituale dell'essere intelligibile, astraendolo dai risultati della cognizione dei sensi, e la cognizione intuitiva dei primi principî, come punto di partenza per la spiegazione causale del mondo e della cognizione analogica di Dio. Tutte le nostre cognizioni intellettuali, sia la cognizione dell'essenza delle cose corporali, sia la cognizione di ciò che è puramente spirituale, etico, ecc., non si acquistano che per mezzo dell'astrazione. Oggetto adeguato della nostra cognizione intellettuale è l'essenza delle cose corporali, cioè la determinatezza dell'essere immanente nelle cose, che è principio della loro regolarità e attività. Queste entità, essendo imitazioni di idee divine, sono potenzialmente intelligibili e diventano attualmente intelligibili per la facoltà cogitativa (intellectus possibilis), in quanto per mezzo dell'attività astrattiva dell'intellectus agens il nucleo intelligibile dell'essenza viene liberato dal viluppo materiale e individuale e reso così percepibile all'intelletto. Il contenuto della cognizione intellettuale riceve, per questa attività astrattiva, l'impronta dell'universale. L'intelletto non rimane fisso alla periferia, ai fenomeni, a cui è diretta la cognizione dei sensi, bensì è ordinato alla cognizione dell'essere, di cui i fenomeni sono l'aspetto sensibile. L'intelletto conosce per natura l'essere e ciò che per sé appartiene all'essere in quanto tale. Su questa cognizione è basata anche quella dei primi principî, ad es., che non si può affermare e negare una cosa nello stesso tempo (Summa contra Gentiles, II, 83; Summe theol., I-II, 94, 2). T. accetta la dottrina aristotelica dei principî e, inserendovi talune idee agostiniane, ne fa il pernio di tutto il sistema filosofico. Quanto all'origine psicologica dei principî supremi, T. sostiene la base sperimentale di essi, in quanto i concetti da cui sono formati questi principî, si hanno mediante l'astrazione dall'esperienza. L'intelletto ravvisa relazioni fra i concetti universalissimi ottenuti per via dell'astrazione; appena questi contenuti concettuali sono conosciuti, se ne scorgono anche la relazione e il collegamento, e avviene l'evidente percezione della compatibilità o incompatibilità di due concetti universalissimi. Questi sono il germe di tutte le cognizioni dedotte da essi, ed anche dei principî delle scienze particolari, ottenuti mediante il sillogismo e l'esperienza. T. distingue come Aristotele tra primi principî assoluti, che sono comuni a tutte le scienze e composti di concetti trascendentali (quali l'essere, l'uno, l'atto, la potenza, ecc.), e principî che sono alla base delle scienze particolari. La certezza di cognizioni dedotte ulteriormente si fonda sulla loro riducibilità ai primi principî per sé evidenti; la cui importanza per la metafisica consiste nel fatto che questi, per il loro valore ontologico e trascendentale, costituiscono il punto di partenza per la spiegazione causale del mondo e della cognizione analogica di Dio. Questi principî, avendo valore ontologico, non sono soltanto principî cogitativi, ma anche entitativi, e poiché i concetti che sono alla loro base esprimono un contenuto semplice ed analogo, non riducibile a categorie, essi posseggono un valore trascendentale, sì da poter servire di base a un ragionamento che oltrepassi la cerchia del finito e del creato e che si riannodi alla realtà dell'essere divino; perciò essi offrono sufficiente certezza alla conoscenza naturale della verità. Con ciò T. respinge la teoria agostiniana dell'illuminazione, difesa da Bonaventura e dalla scuola francescana antica, la quale esigeva come fondamento della conoscenza naturale, oltre ai principî, un contatto immediato con la luce increata divina, vale a dire con le rationes aeternae.
Metafisica dell'essere. - Le dottrine sulla teoria della conoscenza indicano le vie per le quali l'intelletto si avvia verso l'ente e rappresentano l'atrio della metafisica ontologica; la quale, in T., è una sintesi magistrale della metafisica aristotelica ed agostiniana, pur sotto l'influenza della filosofia araba, specialmente di Avicenna, e di idee neoplatoniche. Aristotelica ne è la base empirica e la struttura; agostiniano ne è invece il coronamento che si eleva nella sfera del divino. L'ontologia tomistica ha per oggetto l'essere astratto dalla realtà empirica, ed è perciò costruita dal basso in alto, non dall'alto in basso come la metafisica neoplatonica. La tendenza dell'ontologia all'idea di Dio è d'indole agostiniana. L'essere finito e partecipato fa ascendere all'essere infinito e assoluto; le qualità trascendentali dell'essere, cioè l'unità, la verità e la bontà, hanno la loro origine nell'essere divino, e le cause dell'essere riconducono a Dio, prima causa. Secondo T. l'essere è ciò che l'intelletto apprende prima di tutto come il più noto, e in cui risolve tutti i concetti. Il contenuto di ogni altra idea aggiunge qualche cosa al concetto dell'essere determinandolo e precisandolo. Poiché all'essere non si può aggiungere se non ciò che esprima per sé stesso in qualche modo un essere, perciò il concetto dell'essere non è un concetto di specie, né concetto univoco, bensì analogo, estendendosi dai limiti del nulla fino all'essere assoluto di Dio. Questa dottrina dell'analogia dell'essere, fondamentale nella metafisica tomistica, diverge da quella di Duns Scoto, che considera il concetto dell'essere come concetto univoco. Aristoteliche sono le colonne dell'ontologia tomistica, ossia i concetti di atto e di potenza. L'essere si divide in essere "possibile" e "reale", cioè in potenza e in atto. La composizione di atto e potenza è propria a tutti gli esseri finiti, anche alle nature puramente spirituali. La potenza, ossia l'essere della possibilità, non rappresenta una mera possibilità logica nel senso di una mancanza di contraddizione intrinseca, bensì alcunché di reale nel senso d'un essere incompleto, che può diventare un determinato ente, pur non essendo ancora tale. Ciò che è in potenza, non si può realizzare da sé stesso, ma presuppone un essere in atto dalla cui causalità esso viene attuato. Su questa dottrina di atto e di potenza si basa anche la concezione di T. della reale distinzione fra essenza ed esistenza nelle cose create e finite. Benché questo problema, che ha le sue radici nel neoplatonismo, abbia raggiunto pieno sviluppo soltanto dopo che Enrico di Gand ebbe negato questa distinzione reale ed Egidio Romano discepolo di T. l'ebbe messa al contrario in particolare rilievo, tuttavia T. in molti passi delle sue opere afferma questa distinzione reale. In questo senso T. fu inteso anche dai suoi contemporanei, specialmente dai rappresentanti dell'averroismo latino, che appellandosi ad Averroè e Aristotele negavano la distinzione reale contro T., il quale invece con la sua opinione si riannodava ad Avicenna e Algazel. Da Aristotele T. prese anche la distinzione dell'ente sostanziale e accidentale, svolgendola poi indipendentemente. La metafisica tomista è metafisica della sostanza. La sostanza è un ente la cui natura è di non esistere in un altro ente come in suo soggetto; l'accidente invece è un ente la cui natura è di esistere in un altro ente come in suo soggetto. L'indipendenza, l'esistere in sé e non in un altro, è elemento primario nel concetto di sostanza, il che avviene in senso sovreminente in Dio; l'essere sostegno di accidenti è elemento secondario nel concetto della sostanza, che è proprio solamente alle sostanze create. Tommaso distingue come Aristotele tra sostanza prima, l'individuo concreto, e sostanza seconda che è l'essenza specifica o universale, percepita dalla nostra mente e predicata dell'oggetto particolare.
Conforme alla terminologia della storia dei dogmi, è chiamata "supposito" o "ipostasi" una sostanza singolare in sé completa e indipendente; se tale ipostasi è una natura razionale, ha nome di "persona". Persona dice la più grande perfezione nella natura, cioè il sussistere a sé dell'individuo razionale; questa indipendenza si attua nella persona soprattutto per la coscienza del proprio essere e la libera determinazione di sé stesso; cosicché il concetto ontologico della persona è base del valore psicologico ed etico-giuridico della persona e personalità. L'idea della sostanza nell'ontologia tomista è intimamente connessa con quella della causalità. T. desume da Aristotele le quattro cause, efficiente (movente), materiale, formale e finale; vi aggiunge la causa esemplare platonico-agostiniana, e amplia la dottrina della causa efficiente, con una teoria minuziosa della causa strumentale in vista dei problemi cristologici e sacramentarî. La legge della causalità è espressa e applicata con formulazioni aristoteliche: tutto ciò che è mosso bisogna che sia mosso da un altro e niente di potenziale può essere ridotto in atto se non da ciò che è già in atto. Anche la causa finale ha in T. un ampliamento e una vasta applicazione nella filosofia naturale, psicologia ed etica; la visione tomistica del mondo e della vita è dominata dalla considerazione causale e finale.
Tèodicea. - Coronamento della metafisica riguardante l'essere e la sostanza è la teodicea. Vi si trovano in primo luogo gli argomenti per l'esistenza di Dio, nella cui formulazione sono stati utilizzati anche elementi dottrinali preesistenti. T. rigetta più risolutamente che i suoi contemporanei l'argomento aprioristico di S. Anselmo (v. ontologico, argomento), persuaso che l'esistenza di Dio deve essere provata dal ragionamento a posteriori, il quale risalga dagli effetti noti ad una causa prima. Ciò avviene per cinque vie o argomenti. Il primo argomento, d'origine aristotelica, parte dal fatto empirico del moto e conclude da ciò ad un primo motore immobile; questa illazione parte dalla considerazione che non v'è cosa che si possa muovere da sé, e per conseguenza deve essere mossa da un altro, e che una serie infinita di moventi è impossibile. La seconda prova, di cui T. trovò un tipo in Avicenna, è l'argomentazione tratta dalla subordinazione delle cause efficienti; la serie di queste cause non può essere infinita, ma richiede una prima causa efficiente che non abbia sopra di sé un altro motivo della sua esistenza. Il terzo argomento, al quale Maimonide poté contribuire con alcuni elementi, si basa sulle nozioni di contingenza e di necessità e conclude ad un essere necessario; poiché gli esseri cosmici, i quali, in quanto contingenti, potrebbero anche non esistere, in realtà esistono, se ne conclude l'esistenza di un essere necessario e precisamente di un essere necessario primo, essendo inammissibile una serie infinita di esseri necessarî. Il quarto argomento procede dai varî gradi di perfezione nelle cose; la cognizione delle diverse gradazioni del vero, del buono, ecc., conduce ad un essere supremo e perfettissimo, che sia la causa d'ogni bontà e perfezione delle cose: T. ha rafforzato questo argomento, ispirato ad Agostino ed Anselmo, aggiungendovi il principio di causalità. Il quinto è l'argomento teleologico, cioè l'illazione dall'ordine e dalla finalità del cosmo ad una intelligenza ordinatrice superiore; esso era noto anche ai classici latini, quali Cicerone e Seneca, e già elaborato da Padri e Scolastici antichi (Summa theol., I, 2, 3). Al centro dell'idea di Dio sta il concetto che Dio è l'ente senz'altro, in cui non è possibilità di non essere, è l'essere senza limiti e senza fine. Esso però non è l'essere astratto universalissimo, ma un essere infinitamente reale, comprensivo, spirituale e personale. T. ha una visione del mondo teocentrica; sulla sua fisica domina l'idea di Dio, come in S. Agostino; sulla sua teodicea filosofica s'eleva, come immensa cupola, la teodicea soprannaturale, cioè la dottrina della Trinità, che sulla base della rivelazione espone, in armonico collegamento di teologia positiva e speculativa, l'infinita pienezza vitale di Dio trino.
Dio e il mondo. - Con la teodicea si ricollega la considerazione dei rapporti tra Dio e il mondo, già insinuata dagli argomenti dell'esistenza di Dio. Tutto ciò che esiste, è creato da Dio, perchk ogni essere porta il contrassegno dell'essere partecipato, prodotto da una causa cui l'essere convenga per essenza non per partecipazione. Creare significa produrre una cosa in tutta la sua sostanza, senza substrato preesistente. La creazione non è informamento di materiale, ma posizione di sostanza, non la singolarizzazione di un essere propria all'attività di cause finite, ma è posizione d'essere. Come tale, la creazione è azione di Dio a lui esclusiva ed impartecipabile. Dio ha creato le cose secondo le sue idee eterne, essendo egli anche la causa esemplare d'ogni essere; egli è anche l'ultima causa finale del mondo, essendo a lui ordinato l'universo, con tutte le sue parti e con tutti i suoi fini parziali. In tutte le creature è riflessa la potenza, sapienza e bontà di Dio. Per gli esseri razionali, Dio è in modo particolare fine ultimo, inquantoché essi possono e devono ordinarsi a lui mediante la conoscenza e l'amore e trovarvi la loro felicità. Una dottrina specificamente tomistica è la teoria della possibilità d'una creazione eterna del mondo. Mentre T. considera la creazione del mondo come una verità apoditticamente provabile, prende una posizione critica riguardo al "quando" di tale creazione. Egli si domanda se la ragione è in grado di dimostrare in modo apodittico che il mondo debba avere necessariamente un inizio nel tempo, e che in conseguenza non possa essere creato fin dall'eternità. Mentre gli arabi, Motacallimum, Bonaventura e la maggioranza degli scolastici, rigettano la possibilità della creazione eterna del mondo come qualche cosa di intrinsecamente comraddittorio, T. sostiene la tesi che dell'inizio temporale del mondo non si ha certezza che dalla fede, e che con la sola ragione non si può provare con evidenza l'impossibilità della creazione eterna. Egli si decise a questa posizione specialmente per la considerazione apologetica che si nuoce alla fede con raziocinî presentati come stringenti pur non essendo tali (Summa theol., I, 46, 3). In molti passi delle sue opere, massime nella Summa contra Gentiles (II, 31 seg.) e nel suo commentario alla Fisica (VIII, lect. 2), egli respinge come contraria alla fede l'asserzione dell'eternità del mondo e del moto, che era una delle principali dottrine dell'averroismo parigino (Sigieri di Brabante, De aeternitate mundi) riducibile ad Aristotele e Averroè. T. porta, coerentemente, alle ultime conseguenze il suo concetto della creazione, e perciò anche di Dio: mentre nel concetto di creazione, con il rilievo dato alla distanza infinita fra l'essere divino essenziale e l'essere creato, contingente e partecipato, risulta la trascendenza di Dio, si manifesta poi la sua immanenza nel mondo nella conservazione di questo da parte di Dio, nella cooperazione e nella provvidenza. La conservazione del mondo è l'incessante comunicazione dell'essere, conferito nella creazione, è quindi una creazione continuata. Poiché nella creazione e nella conservazione Dio comunica l'essere, ossia ciò che vi è di più intrinseco alle cose, egli opera anche collaborando in tutte le cose nella maniera più intima, premovendo e indirizzando la potenza delle cose all'attività corrispondente alla loro natura, senza però che l'attività propria alle creature resti volatilizzata in maniera occasionalistica, né che il libero arbitrio delle creature razionali resti paralizzato in maniera deterministica. La provvidenza è l'eterno piano, esistente nell'intelletto divino, dell'ordinamento di tutte le cose al loro fine. L'attuazione nel tempo di questo piano eterno è compiuta dal governo divino del mondo. T. sostiene, in opposizione alla filosofia araba, che la provvidenza divina si estende anche alle cose ed agli avvenimenti particolari; rigetta anche la teoria che gli astri esercitino un influsso coercitivo sulle azioni libere dell'uomo. La dottrina della provvidenza fornisce anche la soluzione del problema del male sia fisico sia morale; i mali fisici, Dio non li vuole direttamente o per loro stessi, ma soltanto indirettamente come mezzi per uno scopo più alto, in quanto il male fisico d'una cosa contribuisce al perfezionamento dell'altra o anche al perfezionamento e abbellimento dell'universo; il male morale, Dio non lo può volere né direttamente né indirettamente, ma lo permette, potendo egli nella sua onnipotenza, sapienza e bontà far risultare un bene dal male. Questa teodicea del male e del peccato riceve nella luce della rivelazione un enorme ampliamento nell'incarnazione e nell'atto espiatorio del Figlio di Dio.
Filosofia naturale. Ilomorfismo tomistico. - La filosofia naturale è caratterizzata soprattutto dalla teoria dell'ilomorfismo aristotelico-scolastico, riguardante la materia prima e la forma sostanziale. Benché oggi l'ilomorfismo sia giudicato dalla scienza fisica insufficiente per la spiegazione delle sostanze corporee, dato il cambiamento della visione scientifica del cosmo, tuttavia dal punto di vista storico T. compì una grandiosa opera scientifica, trasformando e perfezionando l'ilomorfismo aristotelico. Il metodo da lui seguito autorizza la conclusione che egli valorizzerebbe oggi risultati e ipotesi delle scienze naturali moderne per la sua filosofia, con eguale larghezza di mente di quando inquadrò nel suo sistema la fisica aristotelica (cfr. A. Mitterer, Wandel des Weltbildes von Thomas bis heute, I: Das Ringen der alten Stoff-Form-Metaphysik mit der heutigen Stoff-Physik, Innsbruck 1935). Del resto sembra che egli non escludesse eventuali mutamenti del quadro cosmico scientifico, giacché riguardo all'astronomia tolemaica afferma che le ipotesi, le quali reggono un dato sistema astronomico, non divengono verità dimostrate solo perchè le loro conseguenze s'accordano con l'osservazione (De caelo et mundo, II, lect.1). Egli inoltre trasse le sue conclusioni dai presupposti cosmologici del suo tempo con grande circospezione, di modo che dal carattere provvisorio delle sue dottrine naturalistiche non vengono scossi i fondamenti della sua metafisica, la quale è principalmente metafisica dell'essere e racchiude in sé importanti elementi agostiniani. Ogni cosa naturale, pertanto, cominciando dall'essere inorganico fino all'uomo, è una sintesi di materia e forma. Di fronte alla scuola francescana, che ammette, sotto l'influsso di Avencebrol (v. ibn gěbīrōl) la composizione di materia e forma anche negli esseri puramente spirituali, T. designa gli esseri spirituali come forme sussistenti, e gli esseri puramente spirituali, non congiunti con un corpo a formare un'unità naturale, come forme separate (substantiae, formae separatae). La materia prima è il substrato indeterminato e determinabile di tutte le cose fisiche, è il soggetto permanente di ogni generazione e corruzione naturale, tuttavia è reale potenzialità dell'intera natura fisica. Quale potenza pura, la materia non ha esistenza propria, ma ha l'essere soltanto in quanto le è unita la forma sostanziale. Con questa dottrina della pura potenzialità della materia prima è respinta l'opinione della scuola francescana, che i germi reali (rationes seminales) delle successive forme sostanziali, sviluppate dalle cause efficienti, sarebbero contenuti nella materia. La materia indeterminata viene determinata dalla forma sostanziale nelle varie specie degli esseri fisici. La forma sostanziale unita con la materia prima è il principio che conferisce la determinatezza all'essere, e per esso una cosa riceve l'essere e viene costituita come sostanza. Poiché dall'essere emana l'operare, la forma è anche principio d'attività, e in quanto tale la forma è anche principio di finalità nei fatti naturali. Anche la natura è contemplata teleologicamente. La forma rappresenta la regolarità e finalità (ratio) delle cose, il cui momento ideale è oggetto del pensiero. T. elaborò questa teoria partendo dalla dottrina dell'unità della forma sostanziale e da quella del principio d'individuazione. Egli afferma l'unità e unicità della forma sostanziale negli esseri inorganici, nelle piante, negli animali ed anche nell'uomo. La forma sostanziale dà alle cose fisiche l'essere primo e sostanziale, costituendo, per es., un essere organico nello stesso tempo come corpo e come corpo vivente; tutte le altre forme aggiuntevi non sono che forme accidentali. Questa dottrina dell'unità della forma sostanziale era impugnata, persino come offensiva della fede, dalla scuola francescana, che ammetteva più forme sostanziali nel medesimo soggetto, per le quali questo verrebbe costituito, ad es., come corpo, come corpo animato, e come uomo. Nei decreti condannatorî del vescovo di Parigi, Stefano Tempier (1277) e degli arcivescovi di Oxford, Roberto Kilwardby (1277) e John Pecham (1284), fu inclusa questa dottrina di T. dell'unità della forma sostanziale, concepita allora come un'innovazione. Il principio dell'individuazione, cioè la ragione per cui nelle cose fisiche essenza ed individuo non s'identificano, ma per cui molti individui possiedono la medesima essenza specifica, è, secondo T., la materia, non però la materia prima, bensì la materia signata, in quanto soggiacente a quantità ed estensione. Nell'ambito degli esseri puramente spirituali, coincidono individuo e specie, non essendovi composizione di materia e forma, cosicché ogni essere puramente spirituale si differenzia dall'altro secondo la specie. Anche questa dottrina del principio d'individuazione, la quale T. ha comune con Sigieri di Brabante ed altri rappresentanti dell'averroismo latino, veniva respinta dalla scuola francescana e fu condannata dal vescovo Stefano Tempier (1277).
Psicologia. - L'indirizzo aristotelico della filosofia di T. appare forse anche più nella psicologia, particolarmente estesa. L'anima è l'aristotelica "entelechia" o prima realtà d'un corpo fisico capace di vivere, e quindi organico; ma questo concetto è poi accresciuto con elementi agostiniani e portato alle ultime conseguenze. L'anima umana è il primo e immanente principio dell'attività intellettuale. Dall'attività pensante T. deduce l'incorporeità e la spiritualità dell'anima umana. L'uomo può conoscere le nature corporee col suo intelletto; ma se l'anima umana fosse corporea, dovrebbe svolgerc la sua attività pensante con organi corporali e sarebbe perciò talmente determinata e limitata da non poter conoscere le entità corporee. L'illimitata capacità espansiva del pensiero umano, la coscienza di sé stesso, e le differenze fondamentali tra l'attività pensante e quella dei sensi, provano che il principio dell'attività pensante è qualche cosa d'immateriale. Con l'immaterialità dell'anima è intimamente connessa la sostanzialità di essa. L'anima, in quanto pensante, esercita funzioni a cui il corpo non partecipa; ma ciò che opera da sé stesso, esiste anche da sé stesso, cioè è sussistente, giacché il modo entitativo e operativo si corrispondono a vicenda. Il corpo non partecipa all'operazione del pensare, non potendo essere organo d'attività intellettuale; nell'attività spirituale esso entra in questione solo indirettamente, in quanto gli organi corporali apportano all'intelletto il materiale conoscibile. Dalla spiritualità e sussistenza dell'anima umana consegue la sua incorruttibilità ed immortalità. Essendo l'anima umana un'entità sussistente, non cessa di esistere, nel caso che il corpo unito ad essa sia distrutto. Con questa considerazione ontologica è congiunto un argomento psicologico; nell'anima umana è immanente il desiderio di esistere per sempre (appetitus perpetuitatis; in De anima, a. 14); ma siffatta brama naturale non può essere del tutto vana, e quindi l'anima umana è immortale. Quanto alle relazioni fra anima e corpo, T. si scosta dalla concezione platonico-agostiniana, per cui l'anima è l'uomo vero e proprio e il corpo è soltanto l'organo dell'anima, non già costitutivo dell'essenza umana. T. definisce l'uomo come un'unità costituita di corpo e d'anima, e applicando la dottrina aristotelica della materia e della forma, assegna all'anima la funzione di forma sostanziale del corpo umano (Summa theol., I, 76,1). L'anima è unica nell'uomo, e per essa l'uomo è un essere che pensa, sente e vive, ed è una sostanza e una cosa. Essendo l'anima spirituale l'unica forma sostanziale nell'uomo, l'unione di corpo e anima è immediata, non effettuata mediante un'altra forma interposta. Anche qui T. porta alle ultime conseguenze la sua tesi fondamentale dell'anima come forma sostanziale, e respinge il monopsichismo di Averroè e dell'averroismo latino, secondo cui per tutti gli uomini esiste un'anima unica cioè l'intellectus agens, separato dall'individuo umano e congiunto con i singoli uomini soltanto mediante l'unità dell'operazione. Contro questa dottrina T. sostiene esistere tante anime spirituali, ossia forme sostanziali umane, quanti sono i corpi umani; d'altra parte la dottrina dell'anima come dell'unica forma sostanziale nell'uomo, si oppone alla teoria della scuola francescana, secondo cui esistono più forme sostanziali nell'individuo umano. L'anima inoltre eseguisce le sue operazioni non immediatamente, ma attraverso facoltà o potenze, realmente distinte dalla sostanza dell'anima; questa teoria aristotelica, sviluppata da Avicenna, diverge da quella agostiniana, che negava la differenza tra la sostanza e le facoltà dell'anima. T. ammette con Aristotele cinque specie fondamentali di facoltà psichiche, secondo i rispettivi oggetti specifici: facoltà vegetative; funzionalità di percezione sensitiva (i cinque sensi esterni ed i quattro interni: sensorio comune, fantasia, giudizio e memoria sensitivi); appetito sensitivo; facoltà della libera mozione; potenze spirituali dell'intelletto e della volontà. L'intelletto è duplice: l'intellectus agens e l'intellectus possibilis. T. svolge la dottrina aristotelica del νοῦς παϑητικός e del νοῦς ποιητικός, interpretata in maniera diversa già dai commentatori greci d'Aristotele, Alessandro d'Afrodisia, Temistio e Giovanni Filopono, e poi dagli arabi e dagli scolastici, nel senso, che sia l'intellectus agens e sia l'intellectus possibilis sono due potenze spirituali, distinte fra loro, e che hanno la loro radice e sede comune nella sostanza dell'anima. L'intelletto umano, per sé passivo e ricettivo, è simile a una tabula rasa su cui non è scritto niente. L'intelletto agente mediante l'astrazione dai fantasmi, che sono le immagini degli oggetti trasmesse dai sensi, estrae ciò che vi è in essi di universale o ideale creando così le immagini intellettuali, (species intelligibiles); queste, nell'atto della cognizione intellettuale, inducono l'intelletto potenziale (intellectus possibilis) all'atto di cognizione intellettuale e all'apprensione concettuale dell'essenza delle cose. T. salvaguarda l'oggettività di tale cognizione, designando come oggetto della cognizione non l'immagine intellettuale, ma l'essenza immanente delle cose. La dottrina aristotelica dell'intelletto agente riceve una sfumatura agostiniana in ciò, che il lume di questo intelletto è concepito come una partecipazione all'intelletto divino.
Estetica. - Nel concetto della bellezza, secondo T., si distingue un elemento oggettivo, qualità inerente alla cosa stessa, e un elemento soggettivo, piacere estetico provato nella contemplazione del bello. L'elemento oggettivo risponde a tre postulati. Il primo è l'integrità, dovendo essere perfetta e compiuta una cosa designata come bella. Il secondo è la proporzione e la simmetria: le singole parti devono essere in giusta proporzione fra di loro, ed essere collegate in armonia, pur nella loro varietà. Il terzo è la chiarezza: una cosa, per essere bella, deve avere in sé un certo splendore, una irradiazione di perfezione interna, che nelle cose corporee consiste in colori belli e luminosi (Summa theol., 39, 8). L'elemento soggettivo del concetto di bellezza risulta dal diverso ordinamento del bello e buono alle potenze dell'anima umana. Il buono è ciò a cui tende ogni cosa; è dunque dell'essenza del buono che tale tendenza resti appagata nel possedimento di esso, mentre è dell'essenza del bello che l'appetito umano sia appagato nel contemplarlo. Il bello aggiunge al buono una certa ordinazione alla facoltà conoscitiva; perciò buono è ciò che soddisfa semplicemente l'appetito, bello invece ciò la cui percezione e visione è piacevole all'appetito e suscita una sensazione di piacere estetico (Summa theol., I-II, 27,1). Una conformità tra il bello e la facoltà conoscitiva è scorta anche nel fatto che, tanto nell'oggetto bello quanto nella potenza conoscitiva, si trova simmetria e proporzione, e che perciò i sensi e in genere ogni potenza conoscitiva provano diletto degli oggetti rispettivamente proporzionati (ibid., I, 5, 4). Il concetto della bellezza, nel quale si congiunge l'elemento oggettivo-metafisico con quello empirico-psicologico, è universale. Non esiste soltanto la bellezza corporale nella natura o nell'arte, ma anche la bellezza spirituale, risultante dall'armonia delle virtù e dallo splendore della vita della grazia, e infine dalla bellezza di Dio Trino, fonte e prototipo d'ogni bellezza.
Etica. - L'etica di T., che ebbe nella seconda parte della Summa theologica un'esposizione monumentale, suscitò già l'ammirazione dei suoi contemporanei e costituisce senza dubbio l'etica più importante del Medioevo. T. non si propose di delineare un'etica puramente filosofica, ma un'etica cristiana, che risultò una sintesi grandiosa di concetti aristotelici, di elementi stoici e neoplatonici, con la morale della Bibbia, di S. Agostino e della scolastica antecedente. La morale è il motus rationalis creaturae ad Deum. Nella Summa I-II è delineato questo moto in maniera generale, e nella II-II è presentato in particolare come la realizzazione dell'ideale della vita cristiana; ultima meta ne è la beatitudine, fine della creatura razionale. Essa consiste primariamente nell'immediata visione di Dio nell'oltretomba; da questa visione, che è l'operazione più sublime della facoltà più nobile, cioè dell'intelletto, intorno all'oggetto più eccelso, Dio, emana amore e gaudio illimitato per la volontà umana. I mezzi che conducono a questo ultimo fine sono le azioni dell'uomo, esaminate come azioni morali. T. prima dimostra sottilmente quale parte abbia la volontà nell'azione morale, insistendo sulla libertà della volontà, quale pressupposto dell'atto morale e base della moralità. La libertà della volontà ha la sua radice nella ragione, che propone alla volontà gli oggetti a cui deve tendere e i motivi per cui deve agire. La volontà umana aspira a tutte le cose contemplate come buone. Mentre il bonum universale, oggetto della felicità, muove la volontà necessariamente, l'uomo tuttavia rimane libero nei riguardi dei beni parziali, potendo scegliere o no oppure scegliere in modi diversi. Le varie valutazioni di un oggetto non costringono la volontà, la quale si decide da sé stessa muovendosi verso un dato oggetto. Le azioni morali sono da giudicarsi buone o cattive secondo che posseggono o no, quanto all'oggetto, alle circostanze e al fine, la misura di essere richiesta in loro, o il grado di perfezione che loro conviene. Le ultime ragioni di queste valutazioni oggettive sono in Dio, prototipo e causa d'ogni bontà creata. In questa morale si fonde nella maniera più intima l'etica con la metafisica. Benché ragione e volontà siano le facoltà principali per l'azione morale, pure la vita affettiva dell'uomo, nella quale s'incontrano lo spirito e il senso, ha anch'essa una parte importante nelle azioni morali, e l'importanza del sentimento è rilevata in un'analisi finissima della vita affettiva. Gli atti morali presuppongono anche principî interni ed esterni; gli interni sono gli abiti di virtù naturali o soprannaturali, il cui contrario è il peccato, che fa deviare l'uomo dal suo ultimo fine; principio esterno è Dio, il quale con la sua legge dà norma, materia e sanzione all'atto morale, e per la sua grazia movente ed elevante conferisce a queste azioni l'intrinseca proporzione all'ultimo fine della vita eterna. L'influsso direttivo divino è ridotto, come da S. Agostino, alla lex aeterna, al divino piano governativo del mondo che offre il carattere d'una legge. Impronta di questa legge eterna nello spirito umano è la legge di moralità naturale, che si promulga nell'uomo quando ha raggiunto l'uso della ragione. L'uomo conosce con facilità i principî supremi dell'atto morale, riducibili a questa norma: fa ciò che è buono ed evita ciò che è cattivo. Quest'abito della ragione, per il quale essa vede con facilità questi supremi principî, è designato col nome di synteresis, concetto psicologico-etico familiare già alla scolastica pretomistica (Philippus Cancellarius). La sinteresi evoluta è la coscienza che applica i principî morali alle singole azioni.
Nella Summa II-II è costruito l'edifizio delle virtù cristiane, ove la capacità di architettura intellettuale di T. raggiunge il culmine. Centro di questa morale cristiana è il sacrario della carità, dell'amicizia con Dio, dell'amore soprannaturale verso Dio e il prossimo. Le 189 questioni, che formano questa parte, terminano con un apprezzamento razionale dell'ideale cattolico dell'ordine e della perfezione, e da esse trapela armonica ed equilibrata, tutta dedita a Dio e non mai aliena dal sentire umano, la vita interiore di T.
Filosofia sociale e politica. - T. inserì per primo la Politica d'Aristotele, tradotta da Guglielmo di Moerbeke, nella filosofia sociale e politica del Medioevo, fino allora orientata quasi esclusivamente verso l'agostinismo, creando così una sintesi di Agostino e di Aristotele. Essa è dedotta dall'ordine morale, basata su fondamento metafisico ed etico, e animata dalla convinzione di valori perpetui, immutabili, radicati ultimamente in Dio. Lo stato è una esigenza dell'ordine morale. La natura umana è disposta socialmente e tende per sé stessa alla formazione di società nella famiglia, nella comunità e nello stato. Il potere statale è un elemento costitutivo dello stato, risultante dalla disposizione sociale dell'uomo, ed è, come lo stato stesso, esigenza e prodotto dell'ordine etico naturale. Il potere statale è fondato sulla norma morale oggettiva, esistente nella relazione della natura umana verso sé medesima, il prossimo e Dio. T. non estende le sue ricerche all'origine storica dei singoli stati ed al fondamento giuridico dello stato. Seguendo Aristotele, egli si diffonde sulle varie specie e i vari abusi del potere statale. Forma ottima di governo è per lui la monarchia, cioè il dominio giusto e ordinato secondo le leggi, esercitato da una persona sola, dalla quale egli richiede un'idoneità morale e intellettuale non comune; nel suo opuscolo De regimine principum, traccia la figura ideale d'un principe cristiano, inaugurando così il tipo letterario medievale delle istruzioni e degli "specchi" dei principi. La peggiore forma di governo è la tirannia, il dispotismo ingiusto d'un individuo; tuttavia non è lecita l'uccisione del tiranno. Per prevenire la tirannia è raccomandata una costituzione mista, che, oltre al principio monarchico, conceda una partecipazione al governo anche all'elemento aristocratico e democratico. Fine dell'individuo e della società è l'eterno destino nell'oltretomba; allo stato indirettamente spetta di condurre i sudditi con la loro buona vita a questo fine, e direttamente di compiere doveri riguardanti la vita terrena. I fini particolari dello stato sono riconosciuti forniti di valore autonomo, benché inquadrati nell'ultimo fine dell'al di là. Lo stato ha l'obbligo di custodire la giustizia legislativa e giurisdizionale, di favorire il benessere materiale dei sudditi con l'agricoltura e il commercio, e di promuovere la cultura, le virtù civili e la moralità pubblica. Essendo irraggiungibili questi scopi economici e culturali se non c'è pace, T. vede nella conservazione della pace uno dei più alti doveri dello stato, benché non neghi la legittimità della guerra giusta. Nelle incombenze culturali dello stato entra pure la protezione ed il promovimento della vita religiosa. T. ha davanti agli occhi lo stato confessionale, che era il tipo di stato dei suoi tempi, ed era ben lontano dall'idea di tolleranza civile e di libertà di religione e di coscienza. Nelle relazioni fra Chiesa e Stato, è assegnato a questo indipendenza e autonomia negli affari temporali, e altrettanto alla Chiesa negli affari spirituali. Ambedue i poteri sono fondati in Dio: ma una subordinazione dello Stato alla Chiesa è ammessa in quanto le cose temporali si riferiscono alla salute delle anime (in his quae ad salutem animae pertinent). T., le cui orme sono seguite anche dal predicatore fiorentino Remigio de' Girolami, maestro di Dante, non può essere addotto quale rappresentante della teoria della potestas directa, difesa da Egidio Romano, Agostino Trionfo e altri, la quale sostiene il potere assoluto del papa sulle cose secolari e spirituali indistintamente. T. invece è indirizzato verso la teoria della potestas indirecta in temporalibus, elaborata dal generale dei domenicani, Juan de Torquemada, verso la fine del Medioevo e piú tardi ultimata dal cardinale Bellarmino. Egli conosce il diritto internazionale (ius gentium), nel senso di ottimi principî che appaiono alla ragione come indispensabili per la convivenza degli stati e dei popoli, e che di regola vengono osservati presso tutti i popoli. Questi principî (ad es., l'obbligo di mántenere i patti, di rispettare gl'inviati quali persone inviolabili, di risparmiare donne, bambini e innocenti in caso di guerra) costituiscono la base naturale-giuridica del diritto internazionale espresso in patti e accordi. I germi di diritto internazionale ricorrenti in T. furono poi sviluppati nella scolastica spagnola da Francesco da Victoria e dal Suárez, dai quali e sua volta dipende Ugo Grozio.
Efficacia del pensiero tomistico. - L'importanza di T. nella storia della filosofia e teologia cattolica sino ai giorni nostri è superata forse solo da quella di S. Agostino, benché da principio si sia affermata attraverso molte difficoltà. Nei primi 50 anni dopo la sua morte si svolsero aspre lotte attorno alle dottrine particolari a lui. Queste, riguardate quali innovazioni, come del resto tutto l'aristotelismo elaborato in senso cristiano da lui, erano in preferenza d'indole filosofica: tali la teoria dell'unità della forma sostanziale, specialmente nell'uomo; la teoria del principio d'individuazione, e della differenza reale tra l'essenza e l'esistenza nelle creature; la possibilità d'una creazione eterna del mondo; la teoria psicologica della preminenza dell'intelletto sulla volontà e della dipendenza di tutta la cognizione intellettuale dalla percezione dei sensi. L'opposizione incontrata da queste opinioni, fin dal tempo del secondo professorato di T. a Parigi, si palesa poco dopo la sua morte nelle condanne del vescovo di Parigi Stefano Tempier (7 marzo 1277) e dell'arcivescovo di Canterbury Roberto Kilwardby (18 marzo 1277), i quali rigettarono, oltre a sentenze averroistiche contrarie alla fede, anche tesi tomistiche. Queste furono cancellate dall'elenco parigino di proscrizione solo dopo la canonizzazione dell'Aquinate (18 luglio 1323). Il caso di Roberto Kilwardby, domenicano come T., mostra che costui aveva avversarî anche nel proprio ordine. Quest'antagonismo fra domenicani disparve in seguito all'intervento dei capitoli generali dell'ordine, e specialmente alla difesa di discepoli entusiasti, ma ancora nel sec. XIV ebbe in Durando di San Porciano un fiero rappresentante. I principali avversarî della filosofia tomistica erano i teologi francescani, d'indirizzo agostiniano e specialmente il discepolo di Bonaventura, Guglielmo del Mare, col suo Correctorium fratris Thomae, scritto verso il 1278. Parecchie risposte polemiche a questo scritto furono pubblicate da discepoli domenicani di T.; il più importante è l'Apologeticum veritatis di Ramberto dei Primadizzi di Bologna (morto nel 1308). Anche il più insigne teologo della facoltà di Parigi, appartenente al clero secolare, Enrico di Gand, s'oppose nei suoi Quodlibeta a varie dottrine di T. L'ostilità della scuola francescana contro T. ebbe l'espressione più netta in Giovanni Duns Scoto; ma questa opposizione, che nelle opere del Doctor subtilis aveva una forma oggettiva ed impersonale, s'inasprì nelle contese tra le due scuole, cosicché gli scritti in difesa del tomismo assunsero un'importanza sempre maggiore. Il più insigne difensore ne fu il generale dei domenicani Hermus Natalis (morto nel 1323). Nel sec. XIV potente avversario del tomismo e in genere della teologia scolastica fu il nominalismo, il cui rappresentante principale, Guglielmo di Occam attaccò sia T. sia il proprio confratello Duns Scoto. Il domenicano francese Giovanni Capreolus, il princeps thomistarum (morto nel 1444), col suo libro Defensiones theologiae D. Thomae Aquinatis, la più importante apologia del sistema tomistico che sia stata composta, rispose in maniera definitiva agli avversarî medìevali. T. ebbe fin dal principio anche in Italia discepoli ardenti e partigiani fedeli. Reginaldo di Piperno, chiamato da T. socius carissimus, fu a Napoli erede e custode letterario degli scritti di T. Altri celebri discepoli furono lo storico Tolomeo da Lucca e Giovanni di Napoli (morto nel 1336), uno dei più profondi tomisti di tutti i tempi. I domenicani italiani Alberto di Brescia (morto nel 1314), Rainerio di Pisa (morto nel 1351), Antonino di Firenze (morto nel 1459) e Girolamo Savonarola (morto nel 1498) valorizzarono la teologia tomista specialmente per la cura d'anime e la predicazione. La Tabula aurea di Pietro di Bergamo (morto nel 1482) è il primo e finora unico indice di tutte le opere di T. La metafisica tomista ricevette esposizioni profonde dai domenicani Pietro Barbo Soncina (morto nel 1494) e Domenico di Fiandra (morto nel 1500) che svolgeva la sua attività in Italia. Anche fuori dell'ordine domenicano l'opera scientifica di T. incontrava, specialmente in Italia, sommo apprezzamento. Il nome del massimo teologo italiano è collegato con quello del massimo poeta italiano: la teologia della Divina Commedia mostra un'impronta particolarmente tomistica, mentre la filosofia di Dante sta più sotto l'influsso di Alberto Magno e del neoplatonismo. Verso la fine del Medioevo, il credito e l'efficacia di T. si estesero anche alla teologia bizantina, e varî teologi come Demetrio Kydones e il patriarca Giorgio Scolario tradussero in greco le opere principali di T. Già in precedenza missionarî domenicani avevano tradotto in armeno varî suoi scritti. Ulteriore sviluppo ebbe la teologia di T., quando la sua Summa theologiae fu introdotta come libro scolastico in luogo delle Sentenze di Pietro Lombardo. Dopo lezioni tenute da domenicani tedeschi su quest'opera già nel secolo XV, il cardinale Gaetano scrisse il suo commentario classico alla Summa theol., mentre Francesco Silvestri pubblicava contemporaneamente il suo commento, non meno classico, alla Summa contra Gentiles. In Spagna dall'unione dell'umanesimo con il tomismo risultava una nuova fioritura della scolastica presso i domenicani di Salamanca, dove Francesco da Victoria inaugurò l'uso della Summa come testo ufficiale per l'insegnamento della teologia. Con ciò incomincia l'epoca dei grandi commentarî alla Summa; non solo i domenicani, ma anche altri teologi scrissero commenti voluminosi e corsi sia teologici sia filosofici Ad mentem S. Thomae. Anche i gesuiti seguirono la dottrina di san T. nella ratio studiorum, e il loro più insigne teologo Francesco Suárez espose il proprio sistema in forma di commento alla Summa. La decadenza della scolastica nel sec. XVIII e l'illuminismo portarono una restrizione nello studio e nell'influenza del pensiero tomistico. Col sec. XIX torna l'antica tradizione. L'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (4 agosto 1879), che innalzò san T. a patrono delle scuole cattoliche e ordinò un'edizione critica delle sue opere (editio Leonina), le notificazioni di Pio X e Benedetto XV, le prescrizioni del Codice di diritto canonico riguardo allo studio di san T. (can. 589 e 1366), e il riordinamento degli studî ecclesiastici per opera di Pio XI nella costituzione Deus scientiarum Dominus (1931), hanno collocato ufficialmente lo studio di san T. al centro della filosofia e teologia cattolica (v. anche scolastica; neoscolastica).
Bibl.: Biografia: Guglielmo di Tocco, Vita di S. Thomae, in Acta Sanctorum, marzo, I, 657-86; Processus inquisitionis, ibid., 686-723; Tolomeo da Lucca, Historia ecclesiastica, l, 22, c. 20-22, 38; l. 23, c. 8-15, in L. A. Muratori, Scriptores rerum italicarum, XI, coll. 1151-53, 1162, 1168-73; B. Guidonis, Vita S. Thomae Aquinatis, in B. Mombritius, Sanctuarium, II, Parigi 1910, pp. 565-88. Una ristampa delle vite di Pietro Calo, Guglielmo di Tocco, Bernardo Guidonis e del processo di canonizzazione a Napoli e a Parigi, appare dal 1911 come supplemento della Revue Thomiste, ma non è ancora terminata. Sulle varie biografie, cfr. F. Pelster, Die älteren Biographien des hl. Thomas von A., in Zeitschr. für kath. Theol., XLIV (1920), pp. 242-274, 366-397; Denifle-Chatelain, Chartularium Universitatis Parisiensis, I, Parigi 1889, nn. 270, 307, 317, 366, 335, 385, 447, 504, 518, 624, 523, 634. Una grande biografia moderna del santo non esiste ancora. Utili sono: M. Grabmann, Thomas von A., 6a ed., Monaco 1935; A. D. Sertillanges, Saint Thomas d'A., Parigi 1931; ricerche relative a singoli punti: F. Scandone, Documenti e congetture sulla famiglia e sulla patria di S. T. d'A., Napoli 1901; Ancora nuovi documenti per S. T. d'A., in Rivista di scienze e lettere, II (1901), pp. 267-79; F. Pelster, La giovinezza di S. T. d'A., in Civiltà cattolica, LXXXIV, i (1923), pp. 385-400; La famiglia di S. T. d'A., ibid., II, pp. 401-10; I parenti prossimi di S. T. d'A., ibid., IV, pp. 299-313; P. Mandonnet, Thomas d'A., lecteur à la Curie Romaine, in Xenia Thomistica, III, Roma 1924, pp. 9-40; Thomas d'A., novice prêcheur, in Revue Thomiste, VII, (1924), pp. 243-67, 370-90, 529-47; VIII (1925), pp. 3-24, 222-49, 396-416, 489-533.
Opere: Per gli incunaboli di singole opere, v. L. Hain, Repertorium Bibliographicum, I, Stoccarda, 1826, nn. 1328-1543; B. Konitwagen, S. Thomae de Aquino Summa Opusculorum anno circiter 1485 typis edita, Le Saulchoir (Kain) 1925; L. W. Keeler, History of the Editions of St. Thomas' De unitate intellectus, in Gregorianum, XVII (1936), 53-81. Edizioni importanti degli Opera omnia: Roma 1570-71; Venezia 1594-98; Anversa 1612; Parigi 1660; Venezia 1745-88; Parma 1852-73; Parigi 1872-80; Roma (ed. Leonina critica) dal 1882. Di questa sono stati pubblicati: I. Com. in ll. Phys.; III. Com. in ll. De Caelo et mundo, De generatione et corruptione, Meteorologica; IV-XII. Summa theologiae; XIII-XV. Summa contra Gentiles. Edizioni parziali criticamente corrette: Opuscoli e testi filosofici, ed. B. Nardi, voll. 2, Bari 1915-17; De ente et essentia, ed. R. Gosselin, Le Saulchoir (Kain) 1926; L. Baur, 2a ed., Münster 1933; Expositio salutationis angelicae, ed. I. F. Rossi, Piacenza 1931; De forma absolutionis, ed. P. Castagnoli, ivi 1933; De unitate intellectus, ed. L. Keeler, Roma 1936. Recenti traduzioni italiane: Summa contra Gentiles, ed. A. Percetti, Torino 1930; De unitate intellectus, ed. C. Ottaviano, Lanciano 1930; De ente et essentia, ivi 1930; De duobus praeceptis caritatis, ed. A. Puccetti, Firenze 1929. Per la vasta letteratura sulle questioni dell'autenticità e cronologia delle singole opere, v. la succitata letteratura bibliografica; qui menzoniamo soltanto: P. Mandonnet, Des écrits authentiques de S. Thomas d'A., Friburgo in B. 1910; M. Grabmann, Die Werke des hl. Thomas von A., 2a ed., Münster 1931.
La bibliografia più ampia riguardo a T. e alle sue dottrine è in P. Mandonnet e J. Destrez, Bibliographie thomiste, Le Saulchoir 1921; una rassegna completa con giudizî critici dal 1924 in poi è contenuta nel Bulletin Thomiste, Parigi 1924 segg. Fra le più importanti opere, specialmente sulla filosofia di S. T., vanno segnalate le seguenti: A. d'Alès, Thomisme, in Dictionnaire Apologétique de la Foi catholique, IV, 1667-1712; Cl. Baeumker, Die europäische Philosophie des Mittelalters (Kultur der Gegenwart, I, 5, 2a ed.), a pp. 386-40 si trova un'ottima esposizione della filosofia tomista; Fr. Ehrle, Die päpstliche Enzyklika vom 4. August 1879 und die Restauration der christlichen Philosophie, in Stimmen aus Maria Laach, XVII (1880); id., Der Kampf um die Lehre des hl. Thomas von Aquin, in Zeitschrift für katholische Theologie, XXXVII (1913), pp. 266-318; id. (e Fr. Pelster), Die Scholastik und ihre Aufgaben in unserer Zeit, 2a ed., Friburgo 1932; A. D. Sertillanges, S. Thomas d'Aquin, Parigi 1910; A. Malagola, Le teorie politiche di S. Tommaso d'Aquino, Bologna 1912; J. J. Berthier, Thomas Aquinas, "Doctor Communis" Ecclesiae, I, Roma 1914; M. Grabmann, S. T. d'A. Una introduzione alla sua personalità e al suo pensiero, trad. ital., Milano 1920; id., Das Seelenleben des hl. Thomas von Aquin, 2a ed., Monaco 1924; id., Der göttliche Grund menschlicher Wahrheitserkenntnis nach Augustinus und Thomas von Aquin, Münster 1924; id., Mittelalterliches Geistesleben, I, Monaco 1926, pp. 249-349; II, ivi 1936, pp. 429-623; id., Introduzione alla Summa theologiae, trad. it., Milano 1930; id., La filosofia della cultura secondo T. d'A., trad. ital., Bologna 1931; id., Die Werke des hl. Thomas von Aquin, 2a ed., Münster 1931; id., Il concetto di scienza secondo S. T. d'A. e le relazioni della fede e della teologia con la filosofia e le scienze profane, in Riv. di filosofia neoscolastica, 1934, pp. 127-155; O. Lottin, La morale naturelle et loi positive d'après S. Thomas d'Aquin, Lovanio-Bruxelles 1920; id., La théorie du libre arbitre depuis S. Anselme jusqu'à St. Thomas d'Aquin, Saint-Maximin 1929; id., Le droit naturel chez Saint Thomas d'Aquin et ses prédécesseurs, 2a ed., Bruges 1931; R. Garrigou-Lagrange, Perfection chrétienne et Contemplation selon St. Thomas d'Aquin et S. Jean de la Croix, Saint-Maximin 1923; id., Dieu. Son Existence et sa Nature. Solution thomiste des antinomies agnostiques, Parigi 1929; A. Masnovo, Il Neotomismo in Italia, Milano 1923; F. Olgiati, L'anima di San T., Milano 1923; J. Maritain, Réflexions sur l'intelligence et sur sa vie propre, Parigi 1924; id., Distinguer pour unir ou les degrés du saovir, ivi 1932; P. Rousselot, L'intellectualisme de Saint Thomas, 2a ed., ivi 1924; S. Deploige, Le conflit de la morale et de la sociologie, 3a ed., ivi 1925; E. Gilson, Saint Thomas d'Aquin (Les Moralistes chrétiens), ivi 1925; id., Le Thomisme. Introduction au système de Saint Thomas d'Aquin, 3a ed., ivi 1927; J. 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Albert le Grand, Thomas d'Aquin, Parigi 1933; L. Lachance, Le concept de droit selon Aristote et St. Thomas, ivi 1933; A. Mitterer, Mann und Weib nach dem biologischen Weltbild des hl. Thomas und dem der Gegenwart, in Zeitschrift für kath. Theologie, LVII (1933), pp. 491-556; C. Patterson, The Conception of God in the Philosophy of Aquinas, Londra 1933; E. Benz, Joachimstudien, III: Thomas von Aquin und Joachim von Fiore, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, LIII (1934), pp. 52-116; H. Meyer, Die Wissenschaftslehre des Thomas von Aquin, Fulda 1934; A. C. Pegis, Saint Thomas and the problem of the soul in the thirteenth Century, Toronto 1934; P. Descoqs, Thomisme et Scolastique à propos de M. Rougier, ivi 1935; G. Manser, Das Wesen des Thomismus, 2a ed., Friburgo 1935.
Riviste e opere d'insieme: Jahrbuch für Philosophie und spekulative Théologie (1887 segg.; dal 1922 Divus Thomas), Friburgo; Divus Thomas, Piacenza 1880 segg.; Revue Thomiste, Saint-Maximin 1892 segg.; Revue néo-scolastique de philosophie, Lovanio 1894, segg.; Revue des sciences philosophiques et théologiques, Le saulchoir 1904 segg.; Rivista di filosofia neo-scolastica, Milano 1909 segg.; Ciencia Tomista, Madrid 1909 segg.; Gregorianum, Roma 1920 segg.; Archives de philosophie, Parigi 1923 segg.; Bulletin Thomiste, ivi 1924 segg.; Angelicum, Roma 1924 segg.; E. Gilson e G. Théry, Archives d'histoire littéraire et doctrinale du Moyen Âge, Parigi 1926 segg.; New Scholasticum, Washington 1927 segg.; Scholastik, Friburgo 1926 segg.; Acta Pont. Academiae Romanae S. Thomas Aquinatis, n. s. I, Torino 1934, II, ivi 1936.
Opere in occasione del centenario della canonizzazione di S. Tommaso: Mélanges Thomistes, Le Saulchoir 1923; S. T. d'A., Pubblicazione commemorativa del sesto centenario della canonizzazione, Milano 1923; Scritti varî nel VI centenario della canonizzazione, ivi 1923; S. T. d'A. miscellanea storico-artistica, Roma 1924; Acta hebdomadae thomisticae, ivi 1924; Xenia Thomistica, voll. 3, ivi 1925; Miscellanea tomista, Barcellona 1925. Per l'edizione di opere inedite dell'antica scuola tomista è di gran pregio P. Mandonnet, Bibliothèque thomiste. Altro materiale si trova in: Mélanges Mandonnet, Parigi 1936; Hommage à Maurice De Wulf, Lovanio 1934; Aus der Geistewelt des Mittelalters. Festschrift M. Grabmann, Münster 1935; Indirizzi e conquiste della filosofia neo-scolastica italiana, Milano 1934.