PIETRO Pappacarbone, santo
PIETRO Pappacarbone, santo. – Nato probabilmente intorno agli anni Quaranta dell’XI secolo, salernitano di origine, era nipote del primo abate e fondatore dell’abbazia di Cava de’ Tirreni, Alferio, e della stessa abbazia fu terzo abate.
Tra i primi quattro abati di Cava, tutti canonizzati, la figura di Pietro è indubbiamente rilevante; gli va attribuito il merito di aver consolidato la congregazione cavense, sia nei caratteri peculiari legati alla vita spirituale, che nelle basi di potere patrimoniale ed economico.
Il principale nucleo d’informazioni sulla sua vita è costituito dalle Vitae Quatuor Priorum abbatum cavensium, scritte intorno alla metà del XII secolo da Pietro II, monaco a Cava e abate della SS. Trinità di Venosa. Nelle fonti coeve non si fa mai riferimento all’appellativo Pappacarbone, che si trova per la prima volta in alcune opere del sedicesimo secolo e che dunque può considerarsi un’invenzione erudita, peraltro ormai consolidata nella tradizione storiografica.
Attirato precocemente dalla vita monastica sull’esempio probabile dello zio, Pietro chiese all’abate Leone, successore di Alferio, di poter vestire l’abito e dedicò i primi anni della sua vocazione alla vita eremitica sul monte S. Elia (nelle vicinanze di Cava de’ Tirreni) dove poi si fece edificare un oratorio e una celletta per la preghiera. La fama di Cluny lo condusse in giovane età a intraprendere il viaggio verso il noto cenobio di Borgogna, dove fu accolto dall’abate Ugo.
La notizia della permanenza a Cluny di Pietro è unanimemente riconosciuta sicura, ma non c’è accordo sulla durata di tale soggiorno. In passato si ritenne che l’espressione contenuta nelle Vitae «cum in claustro Cluniacensi quinquennium atque in cappella abbatis triennium complevisset» indicasse un totale di otto anni; prevale ora l’ipotesi di un quinquennio (Vitolo, 1985).
Dopo il soggiorno a Cluny, Pietro tornò al monastero cavense e fu nominato vescovo della città di Policastro dall’arcivescovo di Salerno Alfano, su richiesta del principe di Salerno Gisulfo. Ma secondo le Vitae Pietro, non sopportando la vita secolare, tornò a dedicarsi alla preghiera e allo studio a Cava.
La veridicità della notizia della nomina vescovile è indubbia, e l’identificazione del monaco cavense con il Pietro cui si riferisce il documento relativo alla nomina vescovile alla cattedra di Policastro (una lettera, sulla cui autenticità gli studiosi hanno lungamente dibattuto; la copia più antica, del XII sec., è conservata nel ms. vat. Patetta 1621) risale già al XVIII secolo. La cronologia di tale nomina costituisce però una questione storiografica. Nel 1079 – la data riportata dalla lettera – Pietro risulta da altre fonti (cfr. infra) già essere stato designato abate di Cava da un anno, e di ciò non si fa menzione nel testo. Ritenendosi poco probabile un doppio incarico, la lettera è stata spesso interpretata come un falso, pur se esemplato sull’originale (o come la copia di un falso originale secondo Maria Galante). Recentemente Biagio Moliterni ha sostenuto che il Pietro a cui si riferisce la copia della lettera del 1079 potrebbe essere stato un omonimo vescovo di Policastro successore di Pietro: se così fosse non risulterebbe più inverosimile la datazione al 1079.
Alla rinuncia all’episcopato di Policastro seguì per Pietro la responsabilità della guida dell’abbazia di Cava, affidatagli dall’abate Leone, che lasciò il cenobio indicandolo dunque come suo successore e ritirandosi presso la chiesa da lui fondata a Vietri in onore di S. Leone papa. Pietro impose subito ai monaci, abituati a un controllo meno rigido da parte di Leone, una più stretta disciplina. Secondo il biografo, fu per questo motivo che Pietro venne cacciato dai suoi stessi confratelli (Vitolo, 1985), e non per la volontà di plasmare la congregazione cavense a modello della cluniacense. Sta di fatto che Pietro si allontanò da Cava e gli studiosi concordano nel riconoscerlo in quel Pietro, che tra il 1067 e il giugno 1072 fu abate nel monastero di S. Arcangelo sul monte Corace nel Cilento (Loré, 2008, p. XXIV). Qui diede inizio a un rilancio del monastero basato su una fruttuosa gestione del patrimonio monastico tramite acquisti di terre e concessioni a lunga durata, facendo inoltre di S. Arcangelo un polo attrattivo per le donazioni di terre.
Ma nel corso degli anni Settanta (probabilmente è lui il decano citato in un documento cavense del 1073) Pietro fu richiamato a Cava dai suoi confratelli: dai documenti risulta essere abate già nel 1078, un anno prima della morte di Leone. Rimase in carica fino al 1123, data della sua morte, dispiegando eccellenti doti politico-amministrative, ottenendo l’immunità da parte dei duchi per l’abbazia e la parziale esenzione dalla giurisdizione dell’arcivescovato salernitano.
Riuscì pertanto a compiere opere di consolidamento della rupe sulla quale sorge l’abbazia e a condurre opere di irreggimentazione delle acque; costruì inoltre una nuova chiesa abbaziale, poi consacrata nel 1092 da Urbano II.
Proprio durante l’abbaziato di Pietro la struttura della congregazione cavense si modificò da uno sperimentale multiabbaziato delle prime fasi a una quasi assoluta centralità del monastero della Trinità in termini di iniziativa e capacità economica, e a una più evidente distinzione in senso gerarchico dei monasteri e delle chiese dipendenti tramite l’istituzione dei preposti (Loré, 2008).
L’esperienza di un’estasi e di una morte apparente, che nel 1118 Pietro avrebbe avuto (secondo gli Annales cavenses), è da interpretare come un malore che lo invalidò fortemente; gli fu infatti affiancato Costabile, futuro abate, in qualità di abbas constitutus (cfr. il doc. gennaio 1119, edito da Pietro Ebner, 1979).
Al momento della morte di Pietro, il 4 marzo del 1123, il compilatore degli Annales cavenses che ne registrò il trapasso lo definì «constructor atque institutor»: parole che suggeriscono due primati e che sarebbero opportune per un primo abate, ma che a Pietro, pur essendo il terzo della serie, indubitatamente spettano.
È ricordato negli Acta sanctorum alla data del 4 marzo; il titolo di santo e il culto ab immemorabili tempore furono riconosciuti ai primi quattro abati di Cava da Leone XIII nel 1893.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Fondo Patetta, ms. 1621, cc. 30r s.; Archivio dell’Abbazia della Ss. Trinità di Cava, XX 97 (1119); Acta Sanctorum martii, I, Venetiis 1668, pp. 328-335; Vitae Quatuor Priorum abbatum Cavensium Alferii, Leonis, Petri et Constabilis, auctore Hugoni abbate Venusino, in RIS2, VI, 5, a cura di L. Mattei Cerasoli, Bologna 1941, pp. 16-28; Codex Diplomaticus Cavensis, a cura di S. Leone - G. Vitolo, Badia di Cava 1984, IX, n. 28, 46, 47, 88, 90, 106, 109, 119, 129, X, n. 1, 104 s.; Annales cavenses, a cura di F. delle Donne, Roma 2011, pp. 36-45, sub ann. 1097, 1106, 1110, 1118, 1123. P. Guillame, L’ordine cluniacense in Italia, ossia, Vita di S. Pietro Salernitano, primo vescovo di Policastro, fondatore del corpo di Cava e istitutore della Congregazione Cavense, Badia della SS. Trinità 1876; Id., Essai historique sur l’abbaye de Cava, Cava dei Tirreni 1877, pp. 44-81; Acta Sanctae Sedis, XXVI, Roma 1893-94, pp. 369-371; P. Ebner, Pietro da Salerno e il monachesimo italo-greco nel Cilento, in Scritti in memoria di Leopoldo Cassese, Napoli 1971, pp. 3-32; Id., Economia e società nel Cilento medievale, II, Roma 1979, pp. 243 s.; G. Vitolo, Cava e Cluny, in L’Italia nel quadro della espansione europea del monachesimo cluniacense. Atti del Convegno internazionale di storia medioevale (Pescia... 1981), Cesena 1985, pp. 199-220, stampato anche in G. Vitolo - S. Leone, Minima Cavensia. Studi in margine al IX volume del Codex diplomaticus Cavensis, Salerno 1983, pp. 35-44; H. Houben, L’autore delle Vitae quatuorum priorum abbatum cavensium, in Studi medievali, s. 3, XXVI (1985), pp. 871-879 poi ristampato in Medioevo monastico meridionale, Napoli 1987, pp. 167-175; G. Vitolo, La badia di Cava e gli arcivescovi di Salerno tra XI e XII secolo, in Rassegna storica salernitana, VIII (1987), dicembre, pp. 9-16; M. Galante, La documentazione vescovile salernitana: aspetti e problemi, in Scrittura e produzione documentaria nel mezzogiorno longobardo. Atti del convegno internazionale di studio (Badia di Cava... 1990), a cura di G. Vitolo - F. Mottola, Badia di Cava 1991, pp. 223-253; J.M. Sansterre, Figures abbatiales et distribution des rôles dans les Vitae quatuorum priorum abbatum Cavensium (milieu du XII siècle), in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen Age, CXI (1999), 1, pp. 61-104; V. Loré, Monasteri principi e aristocrazie. La Trinità di Cava nei secoli XI e XII, Spoleto 2008, pp. XXIV, 29-35, 141-151; B. Moliterni, Alfano, Pietro e la diocesi di Policastro, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, LXXXIX (2013), pp. 5-36.