PIETRO Orseolo, santo
PIETRO Orseolo, santo. – Pietro I Orseolo nacque probabilmente alla fine del terzo decennio del X secolo, secondo la testimonianza del cronista contemporaneo Giovanni diacono, apertamente favorevole alla famiglia Orseolo, che gli attribuisce non più di cinquant’anni di età allorché rinunciò alla sua carica nel 978 (Giovanni Diacono, 1890, p. 143).
La prima notizia su Pietro di cui si dispone risale al giugno del 960 quando sottoscrisse un divieto di commercio degli schiavi emanato dal doge Pietro IV Candiano da poco tempo salito al potere.
Nel luglio del 971 il medesimo doge, su pressione degli imperatori bizantini Giovanni I, Basilio II e Costantino VIII che stavano preparando una campagna contro i Fatimidi d’Egitto, inibì ai suoi concittadini il commercio di armi e legname con i saraceni.
Anche questo documento reca la sottoscrizione dell’Orseolo, segno che egli rivestiva già una certa importanza nella società lagunare del tempo.
Fu eletto doge nel 976, presumibilmente il 12 agosto. Il giorno prima, Pietro IV Candiano era stato ucciso dagli aderenti a una fazione ostile che gli rimproverava di avere ancorato la politica veneziana a quella degli imperatori tedeschi Ottone I e Ottone II di Sassonia, trascurando i tradizionali interessi marittimi del Ducato e la sua posizione di oculata equidistanza fra l’Impero germanico e quello bizantino. Pietro Orseolo apparteneva evidentemente al partito avverso ai Candiano e quindi non stupisce la sua elezione, avvenuta a seguito di un’assemblea di venetici riuniti nella cattedrale di S. Pietro di Castello, essendo rimasti danneggiati sia il Palazzo ducale che la chiesa palatina di S. Marco dall’incendio con il quale i rivoltosi avevano costretto il vecchio doge a un disperato quanto inutile tentativo di fuga.
La prima preoccupazione di Pietro I fu di regolare i rapporti patrimoniali con la moglie del Candiano, Waldrada, figlia di Uberto marchese di Toscana, imparentata con l’imperatrice Adelaide vedova di Ottone I.
L’operazione ebbe successo e nel settembre del 976 la donna rinunciò a ogni sua possibile rivendicazione, confermando tale scelta di lì a poco, in un placito tenutosi a Piacenza il 25 ottobre di quello stesso anno. Non fu invece possibile risolvere allora la questione dei beni confiscati ai Candiano, di cui Vitale, figlio del defunto doge e patriarca di Grado, rivendicava la restituzione, forte del sostegno di Ottone II presso la cui corte in Germania si era recato appositamente.
In seguito il doge provvide ad avviare i lavori di restauro o ricostruzione degli edifici rimasti danneggiati o distrutti durante la sommossa del 976, commissionò inoltre a Costantinopoli la celebre Pala d’oro che tutt’oggi si conserva nella basilica marciana, e cercò con elargizioni di denaro di guadagnarsi il favore dei concittadini. Il 17 ottobre 977 stipulò ancora un trattato con Sicardo conte d’Istria che garantiva libertà di commercio e altri vantaggi per i mercanti veneziani nell’intera penisola adriatica.
I sostenitori dei Candiano rimanevano tuttavia ancora molto forti, al punto da attentare alla vita del doge e progettare complotti, che per il momento non ebbero seguito. Essi potevano continuare a contare sull’appoggio imperiale, che forse ispirò l’arrivo in laguna di Guarino, abate del monastero di S. Michele di Cuxà nei Pirenei orientali (allora in Catalogna, ora nella regione francese della Linguadoca-Rossiglione), il quale, di ritorno da un pellegrinaggio a Roma, cercò di convincere Pietro I Orseolo a rinunciare alla carica e a ritirarsi dal mondo, facendo leva sui suoi sentimenti religiosi.
In quella circostanza il tentativo fallì, ma nell’estate del 978 Guarino tornò a Venezia e, sostenuto dal giovane s. Romualdo e da un eremita di nome Marino, riuscì questa volta nel suo intento, al quale non furono forse estranee velate minacce ottoniane. Così, nella notte fra il 30 agosto e il 1° settembre, Pietro lasciò di nascosto Venezia, tenendo forse all’oscuro della sua scelta parenti e sostenitori, accompagnato dai tre religiosi, dal genero Giovanni Morosini e da Giovanni Gradenigo, diretto al monastero pirenaico.
L’abbandono della funzione dogale è stato oggetto di interpretazioni non univoche già da parte dei contemporanei, attenti a privilegiare ora le motivazioni spirituali (come Giovanni diacono) ora quelle politiche (come Pier Damiani biografo di s. Romualdo) e tuttora dividono gli studiosi. Sta di fatto che, fuggito il doge, al suo posto tornò al potere la fazione a lui contraria, nella persona di Vitale Candiano, omonimo del patriarca gradense, che resse il Ducato per un solo anno, prima di rinunciare anch’egli alla carica.
Morì il 10 gennaio 987 o 988 e venne sepolto nel monastero presso il quale aveva trascorso l’ultimo decennio della sua esistenza.
Fu proclamato santo da papa Clemente XII il 18 aprile 1731. La sua ricorrenza si celebra in occasione del giorno della morte.
Aveva sposato Felicia, da cui ebbe un figlio anch’egli chiamato Pietro, che fu doge di Venezia dal 991 al 1009, e almeno una figlia, di cui non è noto il nome, che andò sposa a Giovanni Morosini, compagno dell’Orseolo nella sua fuga verso i Pirenei.
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