PIER DAMIANI (Petrus Damiani), santo
Monaco, cardinale e dottore della Chiesa. Nacque a Ravenna nel 1007 da una famiglia estremamente povera, tanto che la madre, in un primo momento, l'abbandonò. Orfano, fu iniziato da un fratello a un dura vita di lavoro e di privazioni alla quale fu sottratto da un altro fratello, Damiano, arciprete di Ravenna, che inviò P. a studiare prima a Faenza, quindi a Parma. Da allora in poi, per riconoscenza verso il fratello, P. aggiunse al proprio il nome di lui. Ben presto egli divenne, giovanissimo, professore a Parma, ma, noncurante della brillante carriera che gli si schiudeva, si ritirò a vita cenobitica prima nel monastero di Santa Maria "sul lido Adriano" (cfr. Dante, Paradiso, XXI, 121-23; e v. pietro degli onesti), quindi (verso il 1035) nel monastero dei camaldolesi di Fonte Avellana (Gubbio), fondato da Landolfo, discepolo di S. Romualdo. Quivi si segnalò per l'estrema austerità della sua vita e per l'opera di apostolato esercitata nei conventi vicini. Salito al trono pontificio Leone IX, fu da questo nominato priore del convento di Ocri. Dal tono di una lettera di P. D. al nuovo pontefice sembra lecito dedurre che egli fosse stato messo in cattiva luce presso il papa: e certo P. D. doveva essersi procurato non poche inimicizie a seguito del suo Gomorrhianus, contra quatrimodam carnalis contagionis pollutionem che con violenza e realistica crudezza aveva denunciato i vizî che contaminavano la maggior parte del clero secolare e dei monaci. Altri invece interpreta la sua lettera come un abile tentativo per sottrarsi alle cure d'una carica ecclesiastica. Certo è che durante il pontificato di Leone IX P. D. non sembra avere goduto di molta considerazione presso il pontefice. Stefano IX nominò P. D. cardinale-vescovo di Ostia e dovette far uso della sua autorità apostolica per indurlo ad accettare. Consacrato nel novembre 1057, P. D., che ricopriva così una delle dignità ecclesiastiche più elevate, ebbe parte notevolissima, insieme con Ildebrando, il futuro Gregorio VII, nell'elezione di Nicolò II contro Benedetto X fatto eleggere papa dai conti di Tuscolo alla morte (1058) di Stefano IX. Vinto lo scisma, P. D., insieme con Anselmo di Baggio, il futuro Alessandro II, fu inviato a Milano quale legato della Santa Sede per regolare la questione della pataria (v. pataria e patarini), ma praticamente i risultati della sua missione (vedine la relazione di lui stesso: Actus Mediolani de privilegio Romanae ecclesiae), condotta con grande zelo apostolico, ma con scarsa energia e minore senso diplomatico, furono pressoché nulli. Ciò nonostante, l'influenza di P. D. rimane notevole durante il pontificato di Nicolò II e non si può negare che gli atti più significativi di questo pontificato riflettano spesso le idee di P. D. Morto Nicolò II, egli, non solo favorì l'elezione di Alessandro II, ma fu il principale artefice della lotta contro Cadalo, il candidato imperiale eletto papa col nome di Onorio II, e, con l'aiuto di Annone, arcivescovo di Colonia, riuscì a guadagnare alla causa di Alessandro II lo stesso imperatore. Nel 1063 P. D. fu inviato in Francia per risolvere una controversia giurisdizionale tra il vescovo di Mâcon e l'abbazia di Cluny, che rivendicava il privilegio di essere sottomessa direttamente alla giurisdizione della Santa Sede. Conclusa la faccenda (concilio di Chalon-sur-Saône) con la sottomissione dell'arcivescovo, P. D. dovette occuparsi della grave situazione della chiesa fiorentina, dove il popolo e un forte gruppo di monaci capeggiati da Teuzone accusavano di simonia il vescovo Pietro: P. D. credette di dover giustificare la condotta del vescovo e non riuscì ad appianare la situazione (cfr. l'opuscolo di P. D.: De sacramentis per improbos administratis, diretto al popolo e ai monaci di Firenze). Inviato nel 1069 a presiedere il concilio di Magonza radunatosi per decidere in merito al divorzio da Berta di Savoia richiesto da Enrico IV, P. D. (che peraltro non ci ha lasciato alcuna relazione diretta della sua legazione), riuscì, sembra, ad aver ragione della volontà di Enrico IV. Frattanto Alessandro II e Ildebrando avevano accordato a P. D. il permesso di ritirarsi a Fonte Avellana ed egli che l'aveva più volte insistentemente richiesto ad onta delle ripulse (cfr. i due opuscoli De abdicatione episcopatus e Apologeticus ob dimissum episcopatum) non celerà la sua gioia. Nel 1072 P. D. esce nuovamente dal suo eremo per ricondurre all'obbedienza della Santa Sede la chiesa di Ravenna parteggiante per il papa imperiale. P. D. si accingeva a ritornare a Fonte Avellana quando la morte lo colse nel monastero di Santa Maria degli Angeli (Faenza) il 22 febbraio 1072. Leone XII lo proclamò dottore della chiesa il 1° ottobre 1828.
Umile, modesto, animato da uno zelo apostolico eccezionale, scarsamente dotato di senso politico sì da affrontare le più ardue missioni diplomatiche armato solo della sua candida semplicità e del fascino della sua eccezionale personalità religiosa, san Pier Damiani fu soprattutto un monaco. Irresistibilmente attratto verso la vita del chiostro, e nella sua forma più severa (vedi gli opuscoli: De perfectione monachorum, De ordine eremitarum, De perfecta monachi informatione, De suae congregationis institutione, De vita eremitica), animato dal più sovrano disprezzo per "il secolo presente" e tutto chiuso nel pensiero dell'aldilà (vedi gli opuscoli: De fluxa mundi gloria et saeculi despectione; De contemptu saeculi; Invectio in episcopum monachos ad saeculum revocantem), nemico d'ogni forma, anche larvata, di ricchezza (cfr. Contra clericos regulares proprietarios; Contra phylargiriam et munerum cupiditatem), nemico della scienza che non si limiti alla lettura della Bibbia (cfr. De sancta simplicitate scientiae inflanti anteponenda), nemico dei viaggi, desideroso di conseguire il riposo in Cristo attraverso il più duro travaglio in questa vita: penitenze, digiuni, umiliazioni, mortificazione totale dei sensi (nel De perfecta monachi informatione è fatto l'elogio della sporcizia obbligatoria per il monaco, e un intero trattato, De laude flagellorum, difende la pratica della flagellazione pubblica); san Pier Damiani difese questa che fu per lui pratica di vita, come l'ideale più alto del monaco e, in genere, dell'ecclesiastico. Monaco, e di tal fatta, questa sua mentalità portò, intera, senza infingimenti, e senza compromessi, nella lotta per la soluzione dei problemi che agitavano la Chiesa d'allora. Con la parola, gli scritti e l'azione egli si adoperò per la riforma del clero regolare e secolare (v., oltre i già citati, gli opuscoli De caelibatu sacerdotum; Contra intemperantes clericos; De dignitate sacerdotii; Contra inscitiam et incuriam clericorum; De vili vestitu ecclesiasticorum; De castitate), battendosi con ostinata fermezza contro il clero nicolaita e simoniaco, difendendo contro quello la continenza e il celibato, contro questo (si veda il suo opuscolo Contra clericos aulicos) la necessità di astenersi da ogni forma di servilismo verso le potenze di questo secolo; a tutti proponendo il modello della vita monastica, soprattutto l'esempio mirabile della propria vita. Ma P. D. sembra non avere valutato pienamente fino a che punto nicolaismo e simonia fossero gli epifenomeni d'un male più profondo contro il quale occorreva escogitare rimedî pratici, politici; contro il quale una predicazione esclusivamente religiosa non avrebbe raggiunto in pieno quei risultati concreti che si perseguivano. Egli non mostrò di comprendere che l'episcopato del sec. XI era incapace, reclutato come era attraverso la compravendita dei benefici ecclesiastici, d'intendere il suo linguaggio.
Non comprese, come del resto tutti i fautori della corrente cosiddetta "italiana" della riforma, che alla radice dei mali lamentati era la soggezione delle più alte cariche ecclesiastiche all'investitura laica, e che contro questa era necessario portare i colpi: la sua opera, che ebbe certo una reale portata morale, "quando si tratta di scongiurare il male per l'avvenire, manca di chiaroveggenza e di senso pratico" (A. Fliche). Di fronte alle teorie estreme, che, pur nell'ambiente ufficiale della Chiesa, patrocinavano l'annullamento delle ordinazioni fatte dai vescovi simoniaci, P. D. non oppone la difficoltà pratica che considerava la soluzione impossibile, dato che la grandissima maggioranza del clero era stata ordinata da vescovi simoniaci, ma oppone la difficoltà, strettamente teologica, che anche le ordinazioni fatte da vescovi simoniaci non possono non essere considerate canonicamente valide. Stesso atteggiamento nella questione dei sacramenti amministrati dal clero indegno: P. D. afferma, e la sua posizione è, teologicamente, giustissima, che i preti, in quanto "non auctores sed ministri" della grazia sacramentale, non possono in alcun caso, quale che sia la loro posizione canonica, amministrare sacramenti invalidi. Ma ciò che rivela più chiaramente l'incomprensione, da parte di P. D., dei mezzi atti a risolvere il problema del clero simoniaco, è la dottrina, da lui ampiamente sviluppata, dei rapporti fra potere religioso e potere politico. Nella Disceptatio synodalis e nel Liber gratissimus, egli, pur affermando nettamente la primazia della Chiesa romana, sostiene che il re di Germania e patrizio dei Romani ha un diritto indiscutibile nell'elezione del pontefice. E poiché fra sacerdozio e Impero deve regnare un'intesa perfetta, l'intervento dell'imperatore negli affari della Chiesa, per ciò che riguarda il temporale, è necessario. Nel Liber gratissimus (38) P. D. giunge ad affermare "ad eius (dell'imperatore) nutum Sancta Romana Ecclesia nunc ordinetur ac praeter eius auctoritatem apostolicae sedi nemo prorsus eligat sacerdotem". Proprio la partecipazione del potere secolare nelle cose della Chiesa permetterà di realizzare la riforma. L'unione dei due poteri salverà la Chiesa. È indiscutibile che queste idee di P. D., che riflettono del resto il programma "italiano" della riforma, hanno guidato di fatto la politica religiosa di Alessandro II. Ma è anche indiscutibile che nella storia della lotta condotta dalla chiesa medievale, da Leone IX a Gregorio VII, per risollevare le istituzioni cristiane da quel naufragio morale in cui erano precipitate, il pontificato di Alessandro II segna una battuta d'arresto sulla via della riforma quale l'aveva tracciata, con realismo e chiaroveggenza, Leone IX, deciso fautore del cosiddetto "programma lorenese" (netta separazione dei due poteri) e quale l'aveva battuta Nicolò II. Il cardinale Umberto di Silvacandida e Ildebrando dovettero comprendere che, qualunque potesse essere stata l'influenza esercitata sulla Chiesa dalla personalità morale e religiosa di Pier Damiani, la via da lui seguita non avrebbe mai portato a una soluzione del problema. Se nei primi atti del suo pontificato Gregorio VII s'ispirerà chiaramente alle idee e ai metodi "italiani" esposti da P. D., opererà presto un netto cambiamento di rotta per lavorare all'affrancamento completo della gerarchia ecclesiastica dalla tutela laica.
Le opere di P. D. (edizione in Migne, Patrol. Lat., CXLIV-CXLV: la Disceptatio Synodalys e il Liber gratissimus anche nel vol. I dell'ed. dei Libelli de lite, in Mon. Germ. Hist.) comprendono una raccolta di 150 lettere, raggruppate in otto libri, e di 75 sermoni. Diciannove lettere sono indirizzate ai papi che si sono succeduti da Gregorio VI ad Alessandro II. Tutte hanno notevolissimo interesse per la storia dell'epoca. Dei settantacinque sermoni, una ventina appartengono a Nicola segretario di S. Bernardo. Di P. D. rimangono inoltre una sessantina di opuscoli (oltre quelli già citati si ricordano: De parentelae gradibus e De eleemosyna), alcune vite di santi (fra le quali notevole la Vita S. Rodulphi et S. Dominici Loricati), preghiere, inni, ecc. Da un punto di vista più strettamente teologico vanno ricordati gli opuscoli De fide catholica; Contra graecorum errores de processione Spiritus Sancti; Antilogus contra Judaeos; De bono suffragiorum. P. D. è un testimonio della fede tradizionale in favore del Purgatorio. A proposito della teologia sacramentaria di P. D. va ricordato che egli intende la parola "sacramentum" non nel senso tecnico di segno visibile ed efficace della grazia, ma nel senso etimologico di "mistero"; pertanto qualifica come sacramenti anche la consacrazione del pontefice, l'unzione dei re, la dedica di una chiesa, ecc. La vita di P. D. fu scritta dal suo discepolo Giovanni da Lodi ed è edita in testa all'ed. cit. delle opere.
Bibl.: A. Capecelatro, Storia di San Pier Damiano, Firenze 1862; Fr. Neukirch, Das Leben des Peters Damiani nebst einem Anhange: Die Schriften chronologisch geordnet, Gottinga 1875; A. Wambera, Der h. P. D., Breslavia 1875; M. J. Kleinermanns, Der h. P. D., Steyl 1882; F. W. E. Roth, Der h. P. D., in Studien und Mittheilungen aus dem Benediktiner und dem Cistercienser Orden, VII e VIII (1886-1887); C. Mirbt, Die Publizistik im Zeitalter Gregors VII., Lipsia 1894; R. Biron, S. P. D., Parigi 1908; P. Lanzoni, S. P. D. e Faenza, Faenza 1898; J. A. Endres, P. D. und die weltliche Wissenschaft, in Beiträge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, VIII (1910); G. Bareille, S. P. D., in Dictionnaire de théologie catholique, IV, Parigi 1920, coll. 40-54; H. von Schubert, Petrus Damiani als Kirchenpolitiker, in Festgabe von Fachgenossen und Freunden Karl Müller, Tubinga 1922, pp. 83-102; A. Fliche, La réforme grégorienne, I, Lovanio 1924, pp. 175-264, e passim; II, Lovanio 1926, passim.