PETRONIO, santo
PETRONIO, santo. – Nell’Elenco renano (cod. membranaceo di inizio XIV secolo, BUB 2251, c. 27, proveniente dalla canonica di S. Salvatore di Reno) viene indicato come ottavo vescovo di Bologna con la qualifica di sanctus.
Le notizie certe sulla sua vita sono scarsissime; al contrario, la mitizzazione della sua figura dal XII secolo in poi fu tanto ricca da integrare con falsificazioni dettagliate un vuoto altrimenti incolmabile, per giustificarne il culto e il patronato su Bologna. Ancor oggi la storiografia locale cerca invano di sopperire all’esiguità delle fonti coeve con nuove ipotesi indimostrabili, anche se plausibili.
La prima e più importante testimonianza ci è fornita dal contemporaneo Eucherio vescovo di Lione, che mostra di avere conoscenza diretta di Petronio. In una lettera al cognato Valeriano (Epistola parenetica de contemptu vanitatum et mundanae philosophiae, PL, 50, Parigi 1846, coll. 718 s.) lo esorta a seguire l’esempio (oltre al suo, sottinteso) di insigni personaggi del passato (Clemente, Cipriano, Basilio, Gregorio di Nissa, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Paolino di Nola), che avevano rinunciato a ricchezza, scienza e potere per una scelta di perfezione. In questa straordinaria rassegna include anche due esemplari figure di vescovi viventi: «Poco tempo fa (nuper) Ilario [vescovo di Arles dal 430 al 449, al quale Eucherio aveva affidato i suoi due figli quando era monaco a Lérins] e ora (nunc) in Italia il vescovo Petronio, entrambi sono saliti, uno allo stato religioso, l’altro all’ordine sacerdotale, da quella condizione ove risiede la pienezza, come dicono, del potere mondano». Quando Eucherio scriveva (432 circa), Petronio era già vescovo, dopo aver, molto probabilmente, abbandonato alte cariche civili («ex illa plenissima… mundanae potestatis sede»). L’appartenenza, infatti, alla famiglia Petronia, di aristocrazia senatoria, non sarebbe stata una condizione sufficiente perché il vescovo di Lione lo inserisse in quell’ultima sequenza omogenea – «unito in quella triade gloriosa con Paolino di Nola e Ilario di Arles» (Testi Rasponi, 1912, p. 132) –; per di più omologata, già in vita, da una comune fama di santità vescovile, tale da costituire un modello. È il vescovo di Nola, Paolino (m. 431), a fornire la misura e la qualità di vita santa, partecipata con Ilario e Petronio: «Paulinus… peculiare et beatum Galliae nostrae exemplum». Il vescovo di Bologna, ora, sarebbe l’unico in Italia a fornire quelle prerogative, di rinuncia al potere e di santità.
La seconda testimonianza, di Gennadio di Marsiglia nel De viris illustribus (PL, 58, coll. 1082 s.), di oltre quarant’anni dopo la morte di Petronio (intorno al 492), integra – benché fra le due Testi Rasponi (1912, p. 125) abbia visto «una così insanabile contraddizione» – quella di Eucherio, non senza qualche travisamento. Conferma esplicitamente la fama di santità («Petronius Bononiensis Italiae episcopus, vir sanctae vitae»); ricorda la sua formazione di studio di tipo monastico («monachorum studiis ab adulescentia exercitatus»), senza fare, pensiamo, alcuna professione monastica – non pochi vescovi del tempo, per esempio, si erano formati nel centro monastico di Lérins –; gli attribuisce erroneamente, scambiandolo forse con l’abate omonimo, successore di Pacomio alla guida dei cenobi egiziani, l’opera Vitae patrum Aegypti monachorum, senza averne neppure certezza (putatur). Trova inoltre («Legi sub eius nomine») che gli viene attribuito un tractatus, cioè un’omelia (Lanzoni, 1932, p. 31), De ordinatione episcopi, che per lo stile molto elegante è più propenso a ritenere (ma anche questa è opinione d’altri: «ut quidam dicunt») opera di suo padre, che nel testo dice essere stato prefetto del pretorio (sottintendendo, delle Gallie). Da ultimo, fornisce la data di morte di Petronio: «Moritur Theodosio et Valentiniano regnantibus», cioè non oltre il 28 luglio 450, data di morte di Teodosio II. Nel suo complesso la testimonianza di Gennadio va utilizzata con prudenza perché impiega pareri indiretti e rispecchia aspetti deformati della tradizione di fine V secolo relativa a Petronio.
Su queste esigue notizie, neppure coerenti, i biografi hanno costruito svariate ipotesi, a partire da una presenza prolungata in Gallia, dove fu conosciuto e apprezzato da Eucherio e dove lasciò una buona fama raccolta da Gennadio. Per alcuni (Filippini, 1948, pp. 11-20) appartenne di certo alla famiglia consolare romana dei Petronii, nella cui genealogia lungo il V secolo almeno sei membri ricoprirono più volte alte cariche nell’impero: di consoli e prefetti di Roma, di proconsoli in Africa, di prefetti del pretorio in varie località (compresa la Gallia), di vicari in Spagna, di magistri scrinium e di questori. Identificato ora con il figlio del celebre Sesto Petronio Probo, ora con Petronio prefetto del pretorio della Gallia dal 402 al 408, o con suo figlio. In realtà, a quale ramo della famiglia il vescovo Petronio appartenesse non ci è dato sapere; né la provenienza, se bolognese, milanese, veronese – tredicesimo vescovo di Verona (412-429) e poi ottavo vescovo di Bologna (430-450) –, né la connection provenzale (Neri, 2005, p. 702), dove la città di Arles era divenuta per merito di un Petronio sede del prefetto del pretorio delle Gallie, possono avere una conferma probatoria: origine italica o gallo-romana. Non sappiamo neanche da quale metropolita e dove Petronio fu consacrato vescovo: il suo immediato predecessore sulla cattedra bolognese, Felice, apparteneva al clero milanese e sarebbe ragionevole pensare – senza, però, alcuna documentazione – che anche Petronio provenisse da quella metropoli; anche se la diocesi di Bologna era in fase di passaggio dalla giurisdizione della Chiesa di Milano a quella di Ravenna, il cui primo metropolita fu Pier Crisologo dal novembre 431. Alla sua morte, nel 450 o poco dopo, fu sepolto in S. Stefano.
L’attribuzione al nostro vescovo di due sermoni, Sermo in natale sancti Zenonis e Sermo in die ordinationis vel natali episcopi, editi dal Morin nel 1897, è stata a lungo dibattuta, in quanto le due omelie sono state trasmesse da un codice di probabile origine veronese (München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm., 14386, cc. 31-33) sotto il nome di Petronio episcopus Veronensis. Oggi le argomentazioni, filologiche interne (Lodi, Melli) e tipologiche su una campionatura di sermoni/panegirici del V secolo (Mirri), sono a favore di una paternità petroniana bolognese, in quanto, soprattutto, l’autore nella prima omelia si propone come estraneo all’ambiente veronese: «Sono meravigliato, fratelli santissimi e carissimi, e voi popolo santo del Signore, che vi aspettiate di dissetarvi ai rigagnoli disseccati della mia pochezza, quando più abbondantemente potreste attingere alle vostre (propriis) sorgenti. Perché cercate una goccia, voi che siete inondati dall’acqua di fluenti torrenti?». Della seconda, tuttavia, non si può dire con certezza – a meno che non sia stata modificata o interpolata – che sia quella cui alludeva Gennadio (De ordinatione episcopi), perché manca ogni riferimento alla prefettura del pretorio.
Nulla è documentato della sua azione pastorale bolognese, ma il contesto sociale e politico di così profonda crisi della città (Brizzi) ci suggerisce di pensarlo intraprendente nella tutela della città materiale e della comunità dei fedeli, con iniziative civili, di carità verso i poveri, di potenziamento e diffusione del recente culto dei protomartiri Vitale e Agricola, secondo il modello diffuso del vescovo del Tardoantico (Orselli, 2001). Così, molto probabilmente, fu Petronio a concedere al vescovo Naumasio di Clermont-Ferrand le reliquie dei suddetti martiri per la sua cattedrale appena conclusa e a loro dedicata, come ricorda Gregorio di Tours. E così anche a lui viene comunemente attribuito – con il prudente sostegno delle indagini archeologiche (Budriesi) – il nucleo iniziale del complesso di S. Stefano, cioè la basilica martiriale di Vitale e Agricola (già documentata nel VI secolo da Gregorio di Tours) e la Rotonda (non certamente nella forma bassomedievale); il che comproverebbe l’aspirazione di esservi in seguito sepolto ad martires, come tradizionalmente si usava.
Quasi sette secoli di silenzio intercorsero fra la sua morte (450) e il ritrovamento del suo corpo (4 ottobre 1141) nella chiesa del Santo Sepolcro in S. Stefano, a opera del vescovo Enrico, dell’abate e dei monaci. L’immediata istituzione di una festa cittadina perpetua ristabilì d’autorità una santità dimenticata e senza culto. Il 13 maggio 1144 il neoeletto papa bolognese Lucio II lo confermò come sanctissimus: «… il monastero di Santo Stefano, che è chiamato Gerusalemme, e che il santissimo vescovo Petronio edificò per l’utilità della Chiesa bolognese». La promozione papale, vescovile, monastica e il sostegno dei «consoli e dei cives» conferì al culto pubblico un’importanza particolare e sollecitò l’‘invenzione’ ex novo della figura del santo, che su Bologna potesse vantare straordinarie ed esclusive benemerenze in funzione di un futuro ruolo patronale. Nel Sermo de inventione reliquiarum (BHL 6643) e nella Vita sancti Petronii (BHL 6641, scritta da un anonimo monaco stefaniano fra il 1177 e il 1180; una seconda Vita in volgare fu scritta tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo) – comprese nel leggendario-passionario BUB 1473 (Biblioteca Universitaria di Bologna), proveniente dal monastero di S. Stefano – in pochi decenni dal ritrovamento, egli divenne il simbolo prevalente della libertà bolognese nelle sue istituzioni di vertice (Comune, Chiesa, scuole dello Studio). Il contesto storico del terzo quarto del XII secolo, caratterizzato dalla lotta politica e militare fra le città comunali e l’Impero, divenne lo scenario della biografia di Petronio: primo fra tutti, il profilo di ‘ricostruttore’ della città e delle sue chiese, dopo la falsa distruzione a opera di Teodosio I e il decreto di ricostruzione ottenuto da sant’Ambrogio – «san Petronio, vedendo la sua città da poco distrutta… e le mura e i palazzi demoliti dalle fondamenta, con cura cominciò a ricostruirli… attingendo (i denari) dalle imposte imperiali» –; poi, il ruolo di defensor civitatis contro la prepotenza imperiale, e di campione dell’autonomia istituzionale politica ed ecclesiastica; infine la garanzia di ‘procuratore’ del privilegium Studii, che consentiva il vanto legittimo di avere, in quanto civitas regia (dopo la presunta ricostruzione), proprie scuole universitarie. Il pius pater e patronus, nascondendo molte reliquie in S. Stefano «aveva risparmiato la città di Bologna dalla ferocia dei nemici; cosicché fra tutte le città vicine rimane sempre più libera e più amata, in propizia tranquillità, senza provare il morso del duro potere».
La concordia civica, consolidata lungo il secolo XII, sembrò aver trovato, a tutti gli effetti un santo vescovo patrono, ma le forti tensioni del primo Duecento (fino agli anni Trenta) fra le istituzioni cittadine causarono l’abbandono della proposta del patronato petroniano. Il culto, tuttavia, lentamente si consolidò in prospettiva municipalistica. Nel 1205 è attestata la processione dei canonici della cattedrale, con o senza il vescovo, a S. Stefano per celebrare la festa di san Petronio. Negli Statuti cittadini del 1253, per iniziativa quindi del Comune, la sua festa fu inserita fra i giorni festivi della città (dies feriati) e venne stabilita un’offerta pubblica, per mano di un procuratore o del massaro del Comune, di quaranta ceri all’altare del santo. Ma più esplicitamente in una riformagione annessa agli Ordinamenti sacrati e sacratissimi del 1284, fu indicato fra i compatroni della città e con Ambrogio definito suo defensor: «ad honorem… et beatorum sanctorum deffensorum huius civitatis Petronii et Ambroxii». Sempre più spesso venne menzionato in coppia con Ambrogio, come in una provvigione del 1299, che stabilì che il vessillo comunale recasse le immagini dei santi Petronio e Ambrogio. Un’altra provvigione del 1301 ordinò che alla festa del santo dovessero partecipare in processione il vescovo con il clero, le autorità comunali con il vessillo del carroccio, la società delle armi e della arti, e offrire i quaranta ceri già stabiliti. Le offerte raccolte durante la festa dovevano servire a fondare un ospedale dei poveri intitolato al santo. Con vero entusiasmo si rievocavano i suoi meriti nei confronti della città: «si mantenga la sua festa come fosse la nostra pasqua… durante il suo felice episcopato dotò la sua città di molteplici reliquie di molti santi, e, distrutta dai persecutori della libertà, la rimise in piedi, la costruì mirabilmente e la fortificò e la riscattò dai vincoli di schiavitù e la coronò dell’onore dello Studio e delle altre immunità… il suo corpo sta nel monastero di Santo Stefano, che egli edificò, come una colonna del nostro valore». Una riformagione del 1306 lo riconfermò fra i compatroni, definiti «patroni, difensori e governatori ed anche salvatori del popolo, del Comune e della città di Bologna». L’indirizzo dei vertici politici fra XIII e XIV secolo per un culto civico petroniano, con un ruolo di patronato sempre più preminente rispetto a san Pietro e agli altri compatroni, fu condiviso da non poche società delle arti, dalla stessa Chiesa bolognese che nelle Costituzioni sinodali del 1310 ne estese la festa a tutte le chiese della città e della diocesi. E della sua figura se ne appropriò anche la parte geremea al potere, nel 1315, che, nel momento di stanziare l’offerta pubblica di 25 lire di bolognini per la sua festa, lo dichiarava «protettore e difensore della città e della parte guelfa e dei Geremei».
Dopo la parentesi delle signorie trecentesche, durante le quali il culto petroniano non fu mai sostenuto, con la rivolta al governo papale e l’affermazione del Governo del popolo e delle arti (‘secondo Comune’) il culto civico di san Petronio ebbe una forte ripresa e una svolta decisiva. In uno Statuto dell’anno della rivolta (1376) furono date nuove disposizioni pubbliche per la festa del santo: fu destinato un fondo specifico per la realizzazione di un reliquiario per il capo del patrono – opera compiuta dall’orafo bolognese Iacopo Roseto –, fu istituita la fiera di san Petronio di ben diciassette giorni. Fra le maggiori benemerenze del patrono, lo Statuto indica il privilegium Studii: «hanc civitatem et populum… decoravit, maxime privilegio Studii, quod est principale membrum huius civitatis». Nel 1388 (provvigione del 28 dicembre, entrata negli Statuti del 1389) il Comune decise di costruire una basilica intitolata a san Petronio, «affacciata alla piazza di questa nostra città». La costruzione iniziò nel 1390 su progetto dell’architetto Antonio di Vincenzo e si protrasse per più di un secolo e rimase incompiuta. Da allora san Petronio fu assunto definitivamente come patrono e simbolo dell’identità bolognese, civica e religiosa. Nel 1743, per disposizione del papa bolognese Benedetto XIV, il reliquiario con il capo del santo fu traslato nella basilica. Nel 1918 Benedetto XV compì la riposizione delle sue ossa in un’urna d’argento in S. Stefano. Solo nel 2000, il resto del corpo venne trasferito nella basilica di Piazza Maggiore. Questa era stata consacrata al culto dal cardinal Lercaro il 3 ottobre 1954.
Fonti e Bibl.: F. Lanzoni, San Petronio vescovo di Bologna nella storia e nella leggenda, Roma 1907; A. Testi Rasponi, Note marginali al “Liber Pontificalis” di Agnello Ravennate, IV, Vita sancti Petronii episcopi et confessoris, in Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria per le province di Romagna, s. 4, II (1912), pp. 120-262; F. Lanzoni, Cronotassi dei vescovi di Bologna dai primordi alla fine del secolo XIII, Bologna 1932 (op. postuma a cura di G. Cantagalli), pp. 30-33; F. Filippini, S. Petronio vescovo di Bologna. Storia e leggenda, Bologna 1948; M. Corti, Vita di san Petronio con un’appendice di testi inediti dei secoli XIII e XIV, Bologna 1962; E. Lodi, Le due omelie di san Petronio vescovo di Bologna. Saggio critico-storico, in Miscellanea liturgica in onore di S. E. il card. Giacomo Lercaro, II, Roma 1967, pp. 263-301, ora in Id., San Petronio. Patrono della città e diocesi di Bologna, Bologna 2000; G.D. Gordini, Petronio, vescovo di Bologna, santo, in Bibliotheca Sanctorum, X (1968), coll. 521-530; A.M. Orselli, Spirito cittadino e temi politico-culturali nel culto di San Petronio, in La coscienza cittadina nei Comuni italiani del Duecento, Atti dell’XI Convegno del Centro di studi sulla spiritualità medievale, Todi 1972, pp. 283-343; A.I. Pini, Origine e testimonianza del sentimento civico bolognese, ibid., pp. 137-193; M. Fanti, La fabbrica di S. Petronio in Bologna dal XIV al XX secolo. Storia di una istituzione, Roma 1980; 7 colonne e 7 chiese. La vicenda ultramillenaria di Santo Stefano in Bologna, Bologna 1987; L. Mirri, Petronio omileta nell’elogio di S. Zenone, in E. Lodi, San Petronio. Patrono della città e diocesi di Bologna, Bologna 2000, pp. 54-71; L. Paolini, Chiesa, città e Studio: l’“invenzione” dell’identità bolognese, in Vitale e Agricola sancti doctores. Città Chiesa Studio nei testi agiografici bolognesi del XII secolo, a cura di G. Ropa - G. Malaguti, Bologna 2001, pp. 85-102; Petronio e Bologna. Il volto di una storia. Arte storia e culto del Santo Patrono, Ferrara 2001; G. Brizzi, Bologna e l’Aemilia tra IV e V secolo, ibid., pp. 25-28; A.M. Orselli, Il vescovo del Tardoantico, ibid., pp. 29-32; L. Paolini, Un patrono condiviso. La figura di San Petronio: da “padre e pastore” a simbolo principale della religione civica bolognese (XII-XIV secolo), ibid., pp. 77-83; E. Melli, Sull’attribuzione di due sermoni a San Petronio. La documentazione storica dopo il V secolo, in Atti e Memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, LIII (2003), pp. 59-68; V. Neri, Bologna tardoantica, in Storia di Bologna, 1, Bologna nell’antichità, a cura di G. Sassatelli - A. Donati, Bologna 2005, pp. 701-705; R. Budriesi, La forma urbis dal tardoantico al Medioevo: i monumenti cristiani, ibid., pp. 748-755; M. Fanti, Petronio! Chi era costui?, in Strenna storica bolognese, LVII (2007), pp. 115-136.