Matteo, santo
Autore del primo Vangelo che da lui prende il nome, è da considerarsi, al pari degli altri evangelisti, una delle ‛ fonti ' o ‛ auctoritates ' fondamentali in D. della tradizione scritturale.
D. menziona M. e attinge ampiamente al Vangelo volgendo il testo latino, direttamente assunto o da vicino elaborato, ad altissima poesia e, insieme, offrendo prova sapiente della sua padronanza delle norme della tradizione e dell'esegesi scritturale che gli meritarono il giusto titolo di " theologus nullius dogmatis expers " (Giovanni del Virgilio). Tale sicura padronanza chiaramente risalta quando si considerino attentamente i risultati del simbolismo tipologico e allegorico a cui D. perviene accogliendoli direttamente dalla lunga tradizione e, spesso, mirabilmente mutandoli innovando.
Si pensi alla definizione simbolica che s. Isidoro, sulla scorta di s. Vittorino e di s. Ambrogio (" Animalia quatuor sunt quatuor Evangelia ", Patrol. Lat. V 324, XV 1253), ha, per primo e in generale, postulato per gli evangelisti (" Evangelistae quatuor, sub quatuor animalibus vultibus figuraliter Christum exprimunt ", LXXXIII 116), ulteriormente circoscritta speciatim per M. in " Matthaeus Redemptorem natum et passum annuntians in similitudinem Hominis comparat " (LXXXIII 117).
Simbolismo zoologico, questo degli evangelisti, suggerito dalla concordanza prefigurale ricavata dal testo di Ezechiele che s. Gregorio Magno rielaborava: " Singula Ezechielis animalia ad unumquemque evangelistam recte conveniunt " (Patrol. Lat. LXXVI 625, 803) e consegnava alla tradizione esegetica fino a Rabano Mauro (CX 505, CXII 859), a s. Bruno d'Asti (CLIV 969), a Garnerio da San Vittore (CXCIII 93). Tradizione, quest'ultima, destinata a essere ulteriormente e internamente arricchita da Alcuino (" Evangelistae quatuor animalibus significantur, quia Evangelium per quatuor mundi partes erant divulgaturi ", CI 1120, 1133), fino a Rabano Mauro che formulava sui postulati dell'ecumenismo alcuiniano e della teologia-politica carolingia il simbolismo allegorico della " quadriga Domini " di cui gli evangelisti costituivano le ruote (" Per quatuor rotas Ezechielis quatuor Evangelistae designantur ", CX 635). L'immagine della " quadriga Domini " era destinata al più immediato e diffuso successo in ogni genere di scrittura sacra e profana, e, coinvolgendo per analogiche ‛ contaminationes ' i padri della Chiesa e gli auctores con i ‛ sensi ', ad arrivare fino a D. che, a sua volta, innovò trasformando la ‛ quadriga ' in carro.
Per la tradizione scritturale basterà il riferimento ai testi liturgici e in particolare alla descrizione del " char de l'Écriture traîné par les quatre docteurs " comparati a uno degli animali " qui désignent traditionnellement les quatre évangélistes " (De Lubac) come nella Prose de l'abbaye de Marmoutiers e in tutti gli altri autori da Onorio d'Autun fino a Innocenzo III; per la tradizione profana basterà ricordare l'elaborazione analogica dell'anonimo autore del Roman de Thèbes (sec. XII).
L'innovazione dantesca della " quadriga " in carro (Pg XXIX) - contaminando l'immagine tradizionale con quella più remota risalente a s. Eucherio, " currus Dei " come " sedes Dei " (Patrol. Lat. L 738), e incrociandola con quella del ‛ carro ' dei trionfi romani e del ‛ sole ' nelle Metamorfosi - trainato dal grifone-Cristo, e moventesi non su ‛ quattro ' ma su due rote (simbolismo allegorico rispettivamente di s. Domenico e di s. Francesco, e circondato dai quattro animali (simbolismo allegorico degli evangelisti, descritti contaminando Ezechiel con Giovanni; cfr. Pg XXIX 91-106), complica e allarga - sulla scorta della teologia-politica - il significato di quella che è stata ripetutamente e tradizionalmente definita una ‛ processione mistica ' che noi, invece, altrove, abbiamo chiamata " Processione del Sacro Romano Impero e della Chiesa militante ".
Entro l'arco di fonti così auliche e di così diffusa tradizione, D. menziona l'evangelista come Matteo, in Cv IV XVI 10 E però si legge nel Vangelio di santo Matteo - quando dice Cristo: " Guardatevi da li falsi profeti " -: " A li frutti loro conoscerete quelli " (che è traduzione puntuale, anche se parziale, di Matt. 7, 15-16), ancora in Cv IV XXII 15 secondo la testimonianza di Matteo e anche de li altri, era angelo di Dio. E però Matteo disse: " L'angelo di Dio discese di cielo, e vegnendo volse la pietra e sedea sopra essa. E 'l suo aspetto era come folgore, e le sue vestimenta erano come neve " (che è traduzione puntuale di Matt. 28, 2-3), e infine nel Fiore: né non creder... né Matteo (V 13); come Mathaeus, in Mn III III 13 e 15 " Ecce ego vobiscum sum in omnibus diebus usque ad consummationem saeculi ", ut Mathaeus testatur, e Cristus eis [ai sacerdoti], Mathaeo testante, respondit: " Quare et vos transgredimini mandatum Dei propter traditionem vestram? " (che sono trascrizioni fedeli dei passi di Matt. 28, 20 e 15, 3); in Mn III IV 11, VII 1-2, VIII 2 (che è trascrizione puntuale di Matt. 16, 19 e rinvio al passo parallelo di Ioann. 20, 23); e ancora in Mn III IX 18 (che è trascrizione puntuale di Matt. 10, 34); ancora in Mn III X 14 (che è trascrizione puntuale e volutamente ridotta di Matt. 10, 9, per mettere in maggiore evidenza la proibizione del possesso dell'oro e dell'argento, specifica in M. e non nei passi paralleli dei sinottici: cfr. Marc. 6, 8-11; Luc. 9, 3-5; 10, 4-12; 22, 35); e infine in Ep XIII 80 che è libera riduzione e contaminatio dell'episodio della trasfigurazione, Matt. 18, 1-9, e i sinottici Marc. 9, 1-7 e Luc. 9, 28-36, dal momento che la formula " ceciderunt in faciem suam " è tratta da M., e il " nichil postea recitantes " da Luca. Episodio e passi tanto più notevoli perché sono impiegati quale exemplum del senso morale nella discussione sul modo di intendere e esponere per quattro sensi le scritture in Cv II I 2-5, e da considerare, tra le molte altre, riprova dell'autenticità di Ep XIII, se conoscenza così puntuale dell'episodio e dei passi paralleli può valere, come crediamo, quale principium individuationis.
Ma la citazione forse più importante è quella di Mn III IV 11 O summum facinus, etiamsi contingat in sompniis, aecterni Spiritus intenzione abuti! Non enim peccatur in Moysen, non in David, non in Iob, non in Mathaeum, non in Paulum, sed in Spiritum Sanctum qui loquitur in illis, ove, come si vede, M. è citato quale portavoce dello Spirito Santo.
Numerosissime sono le citazioni e quindi l'impiego del Vangelo di M. in D., e massime nella Commedia e nella Monarchia. Esse vanno dal richiamo generico anche se puntuale prima, alla diretta traduzione poi, di Matt. 16, 19 e 4, 19 (cfr. anche Marc. 1, 17) in If XIX 90-93 Deh, or mi dì: quanto tesoro volle / Nostro Segnore in prima da San Pietro / ch'ei ponesse le chiavi in sua balia? / Certo non chiese se non ‛ Viemmi retro '. Similmente ancora dalla libera elaborazione - un'opima amplificatio - del Pater noster (Matt. 6, 9-13) in Pg XI 1-24, all'impiego diretto dei passi - le Beatitudini - da cantarsi a mo' di inni e quindi a segnare il grande tempo liturgico nel corpo della Commedia (come in Pg XII 110-111; cfr. anche XV 38-39, XVII 68-69, XIX 50-51, XXII 4-6, XXIV 151-154, XXVII 8-9): tali ‛ beatitudini ' sono ricavate da Matt. 5, 3, 7, 9, 5, 6, 10 e 8, ma rivoluzionato rispetto all'ordine del testo evangelico, e lasciando aperto il problema quanto alla libera parafrasi Godi tu che vinci di Pg XV 39, apparsa ad alcuni interpreti seconda parte della stessa ‛ beatitudine ', ad altri invece formula conclusiva di tutte le beatitudini: " gaudete, et exsultate, quoniam merces vestra copiosa est in caelis " (Matt. 5, 12). Ma poiché chiaramente manca un diretto riferimento alla seconda delle beatitudini (" Beati mites, quoniam ipsi possidebunt terram ", Matt. 5, 4), non escluderemmo che attraverso un processo mentale di equazione simbolica - mites = Agnus Dei -, D. pensasse qui proprio alla seconda beatitudine.
A questi passi andranno aggiunti, ancora, Pg XIII 35-36 (tratto sia da Matt. 5, 44 che da Luc. 6, 27-28); XIX 136-138 (tratto sia da Matt. 22, 30 che dagli altri sinottici: cfr. Marc. 12, 18-25 e Luc. 20, 27-35; la formula ridotta neque nubent è infatti comune ai tre evangelisti, e quindi l'impiego del singolare santo evangelico suono assume qui certo un più alto valore emblematico); XXIII 74-75 (tratto sia da Matt. 27, 46 che da Marc. 15, 34); XXIX 51 (che è quasi certa allusione alla formula di saluto trionfale con cui il Cristo fu accolto al suo ingresso in Gerusalemme: " Hosanna, filio David; benedictus qui venit in nomine Domini; hosanna in altissimis ", Matt. 21, 9; formula ripetuta con alcune varianti significative dagli altri tre evangelisti: cfr. Marc. 11, 10, Luc. 19, 38, Ioann. 12, 13-15). La formula era destinata a diventare tradizionale soprattutto nel periodo carolingio quando venne impiegata nella teologia-politica e nella cerimonia liturgica dell'incoronazione. La scoperta concordanza, infatti, tra l'ingresso trionfale del Cristo in Gerusalemme e quello di Salomone, come narrato in III Reg. 1, 32-34, s'inseriva analogicamente sul filone del simbolismo tipologico, creando l'equazione: Imperator (o Rex) = (novus) David o Salomon = Christus, codificata nei Pontificali ed esaltata nelle cosiddette Laudes Regis. Impiegata nel canto della processione mistica, per la presenza degli evidenti simboli del grifone-Cristo e del carro (su due ruote) = Chiesa, la formula diventa in tal modo emblematica. Ancora Pg XXX 19 è nuovamente ricavato dai passi già enucleati, con cambio significativo dalla terza persona " venit " alla seconda venis. La lezione tramandata da tutta la tradizione manoscritta (cfr. Petrocchi, ad l.) è stata considerata una delle molte cruces e perfino suscettibile di un emendamento quale quello proposto dal Porena (" io credo che Dante, avendo rinunziato a citare esattamente il testo evangelico col mutare il venit in venis per far inneggiare direttamente a Beatrice, debba avere anche mutato il Benedictus in Benedicta ", il che implicherebbe anche l'integrazione di un quae per qui). La proposta non convincente del Porena si basa sulla presunzione che la formula sia diretta a Beatrice, in quanto personificazione della teologia, ma (anche se lo scambio del maschile per il femminile poteva essere giustificato con il ricorso alle Regulae dell'Ars praedicandi di cui D. mostra di conoscere la tecnica) qui invece il riferimento è valido per il grifone-Cristo ed è da inserire nella serie simbolica trinitaria che si esalta nell'impiego di ben tre citazioni latine: " Veni sponsa de Libano ", il già citato " Benedictus " e il verso (da Virg. Aen. VI 883) Manibus, oh, date lilïa plenis, che, proprio per la presenza di quella oh conclude con una sigla trinitaria la serie innologica incentrata nel Vecchio Testamento (" Veni sponsa "), nel Nuovo (" Benedictus ") e nell'Eneide (" Manibus "). Essa è richiamata proprio per mezzo di quella oh alla grande liturgia dell'Avvento, di cui i cosiddetti salmi della " O " erano da considerarsi emblematici. Il Benedictus non va quindi riferito a Beatrice ma al grifone-Cristo: Beatrice, infatti, qui non è sic et simpliciter personificazione della teologia né typus Christi, come han sostenuto e sostengono altri, ma typus Trinitatis (e speciatim dello Spirito Santo), come conclamato dal cromatismo trinitario - il bianco della Fede, il verde della Speranza, il rosso della Carità - con cui D. la ‛ veste '. Si aggiungano i passi di Pd VIII 29-30 e XX 94-96, che è parafrasi di Matt. 11, 12-15, da leggersi in toto perché s'inserisce in più allusiva speranza del poeta dal momento che la parafrasi è affidata al simbolo aperto dell'aquila e dei suoi campioni. Il brano latino di Vn XXIV 4 è trascrizione di Matt. 3, 3 e dei sinottici Marc. 1, 3, Luc. 3, 4, ricalcato sulla formula di Is. 40, 3 ma con l'aggiunta di quel sintomatico ed enfatico Ego che nei testi scritturali non appare e che è da considerarsi, perciò, voluta aggiunta dantesca. A M. vengono fatti risalire inoltre Cv I IV 11 (ma è formula tuttavia ripetuta anche in Marc. 6, 4 e in Ioann. 4, 44, per contaminazione incrociata); Il 5-7 (Mart. 18, 15); II V 4-5, libera riduzione di Matt. 26, 53 e 4, 6-11 con la fondamentale soppressione del numero specifico delle legioni angeliche nel capitolo ove il problema dell'angelologia è per la prima volta trattato con il ricorso ai testi medievali, e soprattutto a s. Gregorio Magno. In Pd XXVIII 98-139 le gerarchie angeliche saranno descritte secondo il testo dello pseudo-Dionigi Areopagita. Ancora in Cv IV IX 15 (il passo lacunoso della dantesca del '21 è stato con ragione completato da Busnelli-Vandelli ricorrendo al celeberrimo passo dei Vangeli sinottici Matt. 22, 21; Marc. 12, 17; Luc. 20, 25); XXVII 8 (che è voluta traduzione parziale di Matt. 10, 8); XXX 4 (che è traduzione puntuale e insieme libero adattamento del passo notissimo dal discorso della Montagna, Matt. 7, 6). In VE I XII 5 l'esclamazione di condanna Racha, racha! è tratta dal notissimo passo del discorso della Montagna (Matt. V 22) e proprio perché usata in forma indipendente sembra ben allusivamente suggerire l'aperta conseguenza contenuta nell'intero passo. Ep V 27 è libero adattamento di Matt. 22, 21, già fruito per Cv IV IX 15; Ep VII 14 è passo elaborato su Matt. 3, 15; la formula puntualmente trascritta diventa imperativo categorico allusivamente diretto a Enrico VII perché al modo del Cristo, di cui in terra secondo la teologia-politica egli come imperatore raffigurava il ‛ typus ', si accingesse all'azione liberatrice e facesse trionfare la giustizia. Ancora in Ep XI 10 è elaborato Matt. 21, 14-16 con Ps. 8, 3, con la citazione puntuale ma volutamente scambiata più per motivi di efficacia o di cursus che per lapsus memoriae. Inserita nell'epistola ai Cardinali (XI), l'espressione del Cristo tratta dal capitolo e dall'episodio della profanazione del tempio assume un valore di fermissimo e tremendo monito.
Altri passi riferibili a M. sono Mn I V 8 (Matt. 12, 25), III III 13, 15 (Matt. 28, 20;15, 2 e 3), VIII I (Matt. 16, 19), IX 10-13 e 18 (Matt. 16, 15-16, 21, 22 e 23; 14, 28; 17, 4; 26, 33 e 35; 10, 34-35), X 14 (Matt. 10, 9), infine XIII 3 (Matt. 16, 18); Ep XIII 80 (Matt. 5, 45).
Bibl. - Manca ancora uno studio sistematico su M., come del resto sugli altri evangelisti. Per i rapporti tra M. e D. si consultino i commenti danteschi (in particolare quelli del Sapegno e del Grandgent per la Commedia, di Busnelli-Vandelli per il Convivio). Si vedano inoltre: H. De Lubac, Exégèse médiévale. Les quatre sens de l'Écriture, I I, Parigi 1959, 30. Per i problemi relativi alla teologia-politica e ai simbolismi tipologici e allegorici della Commedia: G.R. Sarolli, Prolegomena alla D.C., Firenze 1971. Di qualche utilità, inoltre, G. Marzot, Linguaggio biblico della D.C., Pisa 1956.