Luca, santo
Evangelista, compagno e amico di s. Paolo, come leggesi nelle epistole paoline - " Salutat vos Lucas, medicus carissimus " (Coloss. 4, 14); " Lucas est mecum solus " (II Tim. 4, 11); " Salutat te Epaphras... Demas et Lucas adiutores mei " (Philem. 23-24) -, autore del terzo Vangelo che da lui prende nome, e, sulla scorta del Canone muratoriano, anche degli Atti degli Apostoli. D. lo menziona come Luca, in Fiore V 13 né non creder né Luca, né Matteo, / né Marco, né Giovanni (insieme con gli altri evangelisti ma impiegandolo in prima istanza per ragioni che crediamo siano da ricercare non sic et simpliciter nelle necessità metriche ma in quelle più pregnanti, e che illustreremo, di una preminenza di L. sugli altri evangelisti nel problema della concordantia temporum quanto all'ora della morte del redentore e nell'impressione, facilmente rilevabile dai testi danteschi, che proprio L. - medico - sia l'evangelista preferito dal poeta); in Pg XXI 7 Ed ecco, sì come ne scrive Luca / che Cristo apparve a' due ch'erano in via / ... ci apparve un'ombra, ove troviamo non solo la libera ed efficacissima riduzione ai metri danteschi del bellissimo passo del Vangelo di L. (24, 13-53), ma anche la reductio ad Christum quanto alla salvezza di Stazio, sottolineata dalla non casuale ma causale circolarità realizzata con la traduzione letterale dei due momenti, iniziale - " Et ecce " - e finale - " Pax vobis " - del passo scritturale; in Cv IV XVII 10 E Cristo l'afferma con la sua bocca, nel Vangelio di Luca, parlando a Marta, e rispondendo a quella: " Marta, Marta, sollicita se' e turbiti intorno a molte cose: certamente una cosa è necessaria ", cioè ‛ quello che fai '. E soggiugne: " Maria ottima parte ha eletta, la quale non le sarà tolta ". E Maria, secondo che dinanzi è scritto a queste parole del Vangelio (cfr. Luc. 10, 38-42), ove D. non solo traduce direttamente dal testo evangelico ma addirittura avanza una sua chiosa - cioè ‛ quello che fai ' - ulteriormente elaborando quello che la tradizione esegetica aveva consegnato a s. Tommaso e che l'Aquinate aveva compendiato nella Catena Aurea, e, ancora, in Cv IV XXIII 11 E ciò manifesta l'ora del giorno de la sua [di Cristo] morte, ché volle quella consimigliare con la vita sua; onde dice Luca che era quasi ora sesta quando morio, che è a dire lo colmo del die. Onde si può comprendere per quello ‛ quasi ' che al trentacinquesimo anno di Cristo era lo colmo de la sua etade (cfr. Luc. 23, 44-45), ove, nel dibattuto problema della concordantia temporum circa la morte di Gesù, problema che tanto aveva turbato s. Agostino, sulla scorta di L., ma forte anche dello spiraglio offertogli dal santo di Ippona, D. non esita, contro la tradizione comunemente accettata della ‛ hora nona ', a far morire il Cristo alla sesta, cioè al colmo del die, dialetticamente volgendo in categoria universale il contingente temporale, creando una circolarità che congiunge l'ora del peccato di Adamo a quella della redenzione, e soprattutto a far certi i dantologi che D. proprio alle ‛ horae ' attribuisce un valore emblematico come può facilmente vedersi nella scelta dell'ora nel canto XXX di Paradiso (Forse semilia miglia di lontano / ci ferve l'ora sesta, vv. 1-2), e in quelle delle ‛ parousie ' di Beatrice (Vn III 1-2) e della sua morte (Vn XXIX 1). Lo ricorda come Luca evangelista, in Cv IV V 8 (cfr. Luc. 2, 1) - cfr. anche Mn II VIII 14, ove il passo evangelico è letteralmente trascritto: Hoc etiam testimonium perhibet scriba Christi Lucas, qui omnia vera dicit, in illa parte sui eloquii: ‛ Exivit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis ', - che è passo fondamentale nel sistema dantesco non solo per la forte affermazione dell'orosiana dottrina della provvidenzialità della storia ma anche e soprattutto per la derivata tesi della provvidenzialità del popolo romano come elaborata in Mn III II ss.; come Lucas nel lungo passo di Mn III IX 1, ove, impiegando puntualmente i passi dell'evangelista (Luc. 22, 38, 7, 14 e 35-36) D., con una delle più serrate explications du texte basata sulle formule consacrate dell'esegesi scritturale, scende in campo contro i decretalisti e la tradizione ierocratica denunciandoli di essere ‛ come spade alla Scrittura ' o peggio ancora, con più forte immagine, diretta contro Bonifacio VIII, per bocca di Niccolò III, di non temere di tòrre a 'nganno / la bella donna [la Chiesa], e poi di farne strazio (If XIX 56-57). Lotta, denuncia e magistrale impiego della tecnica esegetica che nel nome di L. ricomparirà sempre in Mn III X 14-15, cit., ove la donatio Constantini viene controbattuta con l'impiego della stessa tecnica dei campioni di parte avversa; in Mn II XII 6 ut Lucas in evangelio suo tradit. Come scriba Christi L. è ricordato in Mn I XVI 2 Et quod hoc tunc humanum genus fuerit felix in pacis universalis tranquillitate, hoc ystoriographi omnes, hoc poetae illustres, hoc etiam scriba mansuetudinis Christi testari dignatus est, ove troviamo impiegato quel termine ‛ mansuetudo ' che denota in modo aperto la conoscenza della duplice tradizione allegorica che nel simbolo zoologico del bove, a partire da s. Isidoro - " Lucas, per mysticum vituli vultum, Christum pro nobis immolatum praedicat " (Patrol. Lat. LXXXIII 117; che riprendeva del resto s. Agostino: " Christus comparatur vitulo " e " Lucas annuntiatur in vitulo ", Patrol. Lat. XXXVII 1153, XXXV 1665) - fondeva le figurae e offriva il modulo alla tradizione iconografica esaltantesi in Alcuino, e negli stupendi codici miniati, fino ai vittorini, Garnerio e Riccardo; in Mn II VIII 14 e XI 6. Come bos evangelizans, in Ep VII 14 Et cum universaliter orbem describi edixisset Augustus, ut bos noster evangelizans accensus Ignis aeterni flamma remugit: qui il simbolo zoologico è impiegato ed elaborato perfino nel verbo ‛ remugire ' ma in passo altamente allusivo perché compare subito dopo i versi messianici virgiliani Nascetur pulcra Troyanus origine Caesar, imperium Occeano, famam qui terminet astris, introdotti da un lapidario Scriptum etenim nobis est che l'accostamento voluto consacra.
Come già gli altri evangelisti, anche L. è rappresentato con un simbolo zoologico, ma contaminando le descrizioni di Ezechiele (1, 10) e s. Giovanni (Apoc. 4, 8), in Pg XXIX 100-105 ma leggi Ezechïel, che li dipigne / ... tali eran quivi, salvo ch'a le penne Giovanni è meco e da lui si diparte, per cui D. pone l'accento proprio e soltanto sulle penne, innovando senza perder di vista la tradizione esegetica che aveva interpretate tali penne, sul piano allegorico, con Alano - che discendeva da Alcuino: " Alae... eloquia Testamentorum figurant " (Patrol. Lat. C 1118) -, come ‛ intellectus Scripturae ': " Alarum seraphim tria paria, tres intellectus Scripturae significant " (CCX 270) e, su quello tropologico, con Ruperto di Deutz, come ‛ opera misericordiae ': " Alae sex opera misericordiae sunt " (CLXIX 918), e la stessa innovazione allarga trasformando la " quadriga Domini ", di cui gli evangelisti costituivano le " ruote ", che Rabano Mauro aveva elaborata sui postulati dell'ecumenismo alcuiniano - " Evangelistae quattuor animalibus significantur, quia Evangelium per quattuor mundi partes erant divulgaturi " (CI 1120, 1133) - e della teologia-politica carolingia: " Per quatuor rotas Ezechielis quatuor Evangelistae designantur " (CX 635), consegnandola alla tradizione, in carro trainato dal grifone-Cristo e moventesi non su ‛ quattro ' ma su ‛ due ruote ', simboli di s. Domenico e di s. Francesco. Anche per L. sarà fatto posto nella processione del Paradiso terrestre, prima come uno dei quattro animali (Pg XXIX 92), poi come uno dei due vecchi in abito dispari, / ma pari in atto e onesto e sodo, vv. 134-135. I due vecchi, come si sa, sono appunto L., il primo, come autore degli Atti degli Apostoli, e descritto come alcun de' famigliari / di quel sommo Ipocràte (vv. 136-137), e s. Paolo, il secondo.
Oltre ai passi già evidenziati e illustrati, il Vangelo di L. è citato in Pg X 40, XVIII 100, XX 136-139, XXV 128, XXIX 85-87, Pd III 121-122, XVI 34, XXXII 95, Cv IV XI 12, Mn II III 4-5, Ep VII 7. Anche gli Atti degli Apostoli sono trascritti o assai da vicino accostati in Cv IV XX 3, Mn III IX 19, III XIII 5. Agli Atti infine si allude magistralmente nell'incipit di Pd XXVI 1-12 Mentr'io dubbiava per lo viso spento, / de la fulgida fiamma [s. Giovanni] .../ uscì un spiro.../ dicendo: " Intanto che tu ti risene / de la vista.../ perché la donna che per questa dia / regïon ti conduce, ha ne lo sguardo / la virtù ch'ebbe la man d'Anania " (cfr. Act. Ap. 9, 17), ove l'accecamento del poeta-dramatis persona e la proprietà risanatrice degli occhi di Beatrice mentre da un lato segnano il raggiunto climax nell'esame sulla carità, dopo quelli sulla fede e sulla speranza, dall'altra diventano felice anticipazione di quell'altro tanto veder di cui in Pd XXXIII 36, quando a conservar sani... li affetti suoi (vv. 35-36) di fronte alla visione della Trinità e del mistero dell'incarnazione sarà impetrata da s. Bernardo la Vergine Maria; infine in Mn II VII 9 Sorte quidem Dei iudicium quandoque revelatur hominibus, ut patet in substitutione Mathiae in Actibus Apostolorum (cfr. Act. 1, 24).
Di fronte a un numero di presenze così folto, a una conoscenza così puntuale e all'impiego così capillare che D. fa dell'Evangelista, non si può non riconoscerlo tra le fonti più utilizzate da parte del poeta. L., " scriba Christi qui omnia vera dicit ", è da considerare l'evangelista prediletto e massime se pensiamo che D., iscritto all'Arte dei medici e degli speziali, aveva forse un'ulteriore ragione per eleggere il " carissimus medicus " di s. Paolo.
Bibl. - Manca ancora uno studio sistematico su L. così come sugli altri evangelisti; ma si vedano i commenti danteschi più validi, le Letture dantesche, i commenti alla Monarchia di P.G. Ricci e al Convivio di Busnelli-Vandelli; il meditato e ricco di spunti Linguaggio biblico della D.C., di G. Marzot (Pisa 1956), la Guida a Dante di U. Cosmo, nuova ediz. a c. di B. Maier (Firenze 1962). Sul problema dell'ora sesta si veda G.R. Sarolli, Prolegomena alla D.C., Firenze 1970.