GIUSEPPE, santo (ebr. Yóseph, Yehôseph, gr. 'Ιώσηπος, 'Ιωσήϕ; lat. Ioseph, Iosephus)
Sposo di Maria, madre di Gesù. Discendente diretto di David (Matt., I, 1-16; Luca, I, 27; III, 23-31), è detto figlio di Giacobbe (Matt., I, 16) e di Heli (Luca. III, 23), dei quali, secondo la spiegazione di Giulio Africano, il primo fu padre per sangue, l'altro per la legge del "levirato". Secondo Egesippo, G. sarebbe anche fratello di Cleofa; perciò Cleofa era pure chiamato "zio" di Gesù. (Eusebio, Hist. eccl., IV, 22, 4.
Nel racconto dell'Annunciazione, quando l'angelo Gabriele si presenta a Maria, essa è detta vergine sposa promessa a Giuseppe (Matt., I, 18; Luca, I, 27); costui però non l'aveva ancora introdotta nella sua casa (Matt., I, 18), quindi erano uniti da vincolo senza coabitazione. I Vangeli non dicono altro del luogo d'origine né dell'età di Giuseppe all'atto di chiedere la mano di Maria, mentre mettono in pieno risalto la verginità di lei e il fatto che Giuseppe non ebbe alcuna parte nella concezione di Gesù: "da Spirito Santo" (Matt., I, 18-21; Luca, I, 34-37). Tuttavia, prima di conoscere il carattere prodigioso della maternità di Maria, Giuseppe, nella sua giustizia (Matt., I, 9, δίκαιος ὢν), pensò di scindere il contratto (Matt., ἀπολῦσαι αὐτήν) senza denunziare la gestante.
I vangeli apocrifi, nel desiderio di salvaguardare la perenne verginità di Maria, crearono la leggenda, accettata da molti scrittori cristiani e penetrata poi nell'arte, di un'età molto avanzata di G., per giunta convolato a seconde nozze con Maria; così, primo fra tutti, il Protovangelo di Giacomo (IX, 2), vuole che G. appunto sia stato indiziato dalla verga fioritagli prodigiosamente, e che abbia esclamato: "Ho figlioli e son vecchio, mentre ella è una fanciulla". A tale preoccupazione si aggiunse l'altra di dare spiegazione dell'appellativo "fratelli del Signore", "sorelle del Signore" dato ad alcuni personaggi dai Vangeli canonici (cfr. Matt., XII, 46; XIII, 55-56; Marco, VI, 3; Giov., II, 12; VII, 3, 5, 10); scartata l'ipotesi d'una successiva maternità di Maria, si suppose che questi personaggi fossero nati da un precedente matrimonio di G. In tal modo l'apocrifa Storia di Giuseppe il falegname, giunta in bohairico e arabo, assegna a G. come figli, Giuda, Giusto, Giacomo, Simone, Asia, Lidia; Iacopo di Varazze, nella sua Leggenda aurea accolse l'invenzione, fantasticandovi parecchio ancora.
Il censimento indetto da Augusto obbligò G. a recarsi da Nazaret, sua dimora abituale, a Betlemme, paese d'origine, giacché questa era stata la patria di David (Luca, II, 1-5), e ivi nacque Gesù. La persecuzione di Erode lo costrinse con la sposa e il bambino a rifugiarsi in Egitto, donde ritornò con essi dopo la morte del re, a Nazaret; ivi restò forse fino alla fine della vita, probabilmente accaduta prima dell'inizio del ministero di Gesù.
Sul mestiere esercitato da G. non dice nulla di preciso il termine usato dagli evangelisti, τεκτων e il faber della Volgata; ma già la versione siriaca Pescitta interpretava il termine come "falegname", al pari dei Padri greci a partire dal sec. II.
Le prerogative di G., risultanti già nel racconto stesso dei Vangeli, furono riconosciute ed esaltate occasionalmente già dai Padri (ad es., pietro Crisologo, Sermo XLVIII, in Patrol. Lat., LII, 333-337), tuttavia il suo culto ufficiale si sviluppò relativamente tardi. Le prime tracce sicure se ne hanno in Oriente presso i Copti, al sec. IV, e il suo nome appare in sinassarî del secolo VIII-IX. In Occidente procede anche più lentamente; G. è nominato in martirologi locali del secolo IX-X, e nel 1129 si trova una chiesa dedicata in suo onore a Bologna (fuori porta Saragozza), che sembra il più antico esemplare. Ma subito dopo, in Occidente, si diffonde enormemente, grazie alla propaganda di S. Tommaso, S. Gertrude, S. Brigidȧ e a quella fatta nel sec. XV I da S. Teresa di Gesù, ecc. Nel 1538 era fondata a Roma la confraternita di S. Giuseppe dei Falegnami, che erigeva nel 1596 una chiesa al suo patrono presso al Mamertino.
Pio IX, con decreto della Congregazione dei Riti, Quemadmodum Deus (8 dicembre 1870), dichiarava S. Giuseppe patrono della Chiesa universale. La sua festa, dì precetto, cade ai 19 marzo.
Iconografia. - G. appare sempre nelle rappresentazioni della Natività o dei fatti dell'infanzia di Gesù, almeno fino dal sec. V: in bassorilievi di sarcofagi, nei mosaici dell'arco trionfale di S. Maria Maggiore a Roma, negli avorî della cattedra di Massimiano a Ravenna. Dal tipo idealistico che il santo mantiene in quest'arte si va ben presto fissando quello che rimarrà poi il suo tipo caratteristico, di vecchio barbato. L'arte bizantina trasse da vangeli apocrifi nei tempi più antichi anche la suspicio virginis, poi scene riguardanti la sua elezione fra i pretendenti alla mano della Vergine, il miracolo della verga fiorita, lo sposalizio, soggetti su cui l'arte in seguito da Giotto a Raffaello si esercitò largamente. Dal Rinascimento in poi il santo figura sempre nella Sacre Famiglie. Più recente è la scena della sua morte. Nei quadri di devozione o nelle statue egli mantiene quel suo tipo di vecchio barbato e regge quasi sempre la verga fiorita di gigli e talvolta anche arnesi da falegname.
Bibl.: Oltre ai commenti ai singoli Vangeli, cfr. Le développement hist. du culte de Saint Joseph, in Revue bénédictine, XIV (1897), p. 106 segg.; G. de Saint Laurent, Étude sur l'icon. de Saint Joseph, in Rev. Art. Chrét., XXVI (1883); M. Flunk, Eine archäol.-exeget. Studie über die Vermählung der heil. Jungfrau mit Joseph, in Zeitschr. für kath. Theol., XII (1888), pp. 656-686; J. Seitz, Die Verehrung des hl. Joseph in ihrer geschichtlichen Entwickelung bis zum Konzil von Trient dargestellt, Friburgo in B. 1908; O. Baldi, L'infanzia del Salvatore, Roma 1925; W. Rothes, Jesus Nährvater St. Joseph in der bildenden Kunst, in Allgemeine Rundchau, 1925; K. Künstle, Ikonographie der Heiligen, II, Friburgo in B. 1928, pp. 352 segg.; H. Höpfl, Nonne hic est fabri filius?, in Biblica IV (1923), pp. 41-55; F. Prat, La parenté de Jésus, in Rech. scienc. relig., XVII (1927), pp. 127-138; M. Cordovani, La paternità di S. G., in Scuola Catt., 1928, II, pp. 3-8; A. Vitti, Recenti studi sul Natale del Signore, in Civ. Catt., 1930, IV, pp. 518-530. Dal punto di vista della critica razionalista: L. Coulange, La Vierge Marie, Parigi 1925.
Le suore di S. Giuseppe.
La congregazione delle suore di S. Giuseppe sotto la protezione dell'Immacolata Madre di Dio, ebbe a fondatore il missionario gesuita Gian Paolo Medaille (1618-1689), formato alla scuola di S. Giovanni Francesco Regis. Da Puy nel Velay, si propagò durante i secoli XVII e XVIII nelle diocesi di Clermont, Vienne, Lione, Grenoble, Enbrun, Cap, Viviers, Sisteron, Uzès. Dispersa durante la rivoluzione francese, venne ricostituita dalla ven. Madre di San Giovanni Fontbonne. La congregazione ha per scopo l'istruzione e l'educazione della gioventù, il sollievo spirituale e corporale del prossimo mediante le opere di carità, quali ospedali, lebbroserie, ospizî, asili d'infanzia, orfanotrofî, ecc. Trapiantata in Italia nella prima metà dell'Ottocento, Pio IX l'approvò il 23 luglio 1875. Le suore sono ora circa 4000. Fuori d'Italia hanno parecchie case in Francia, Svizzera, Belgio, Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda, Stati Uniti e Brasile. La casa generalizia risiede a Chambéry.
Bibl.: J. M. Prat, Le disciple de Saint Jean François Régis: Notes supplément, Lione 1850, p. 180 segg.