GIOVANNI (Giovanni Bono, Giovanni il Buono), santo
L'unica notizia storicamente accertata riguardante questo vescovo di Milano è relativa alla sua sottoscrizione degli atti del concilio Lateranense del 649.
Il concilio, convocato da papa Martino I e articolatosi in cinque sessioni nell'ottobre 649, vide la partecipazione dei vescovi della Tuscia longobarda, di 37 monaci e abati greci, in rappresentanza della Chiesa orientale, pur se residenti in Roma, e del vicario apostolico di Palestina.
Altre informazioni su G. si ricavano, pur con una certa cautela, da un inno redatto in suo onore, databile a non prima della fine dell'XI secolo e pubblicato da B. Oltrocchi. Secondo tale composizione poetica, il G. sarebbe nato a Camogli, da una nobile famiglia originaria della valle di Recco, nella diocesi genovese; in seguito, sarebbe stato portato dai genitori a Milano dove, inizialmente come chierico, divenne protagonista della vita religiosa fino a giungere, probabilmente intorno all'anno 641, al soglio episcopale dopo la morte del suo predecessore Forte.
In quegli stessi anni la Liguria marittima, conquistata da Rotari, veniva annessa al Regno longobardo. Veniva così a cadere il principale motivo del volontario esilio dei vescovi milanesi, iniziatosi nel 573 col vescovo Lorenzo III e che, da circa ottanta anni, aveva visto il metropolita ambrosiano trasferito a Genova insieme con il suo clero e ordo.
Nella sede milanese G. sarebbe rimasto in carica per circa dieci anni, ovvero fino al 651. Secondo la fonte poetica egli stesso avrebbe trasportato da Genova a Desio le reliquie di s. Siro e avrebbe edificato una chiesa dove pose, oltre alle reliquie del santo, anche quelle degli apostoli e della Vergine. Inoltre, G. avrebbe interamente lasciato alla Chiesa ambrosiana i suoi possedimenti nel Genovese. Secondo il ritmo, G. sarebbe morto nell'anno 669, all'epoca del papa Vitaliano e dell'impero di Costantino IV. Questa data, però, è difficilmente sostenibile; essa appare piuttosto un maldestro tentativo del compilatore della lista episcopale presente nello stesso manoscritto che conserva l'inno, di assestare le cifre del catalogo dei vescovi del VII secolo sulla base delle poche fonti a sua disposizione; il decesso di G. dovette avvenire, invece, a Milano, probabilmente intorno al 651, in coincidenza con la fine del suo episcopato.
Certamente il merito principale di G. è stato quello di aver posto fine, nel corso della prima metà del VII secolo, all'esilio genovese dei vescovi milanesi e di aver operato per la ricostruzione e la stabilizzazione della sede vescovile, da lui avviate al momento del suo rientro in Milano. Per questi motivi G. divenne oggetto di grande considerazione, e poi di vera e propria venerazione da parte dell'intero corpo episcopale milanese.
Proprio perché in esilio, i vescovi milanesi erano stati a lungo distaccati dai loro suffraganei e così, cedendo al papa, già nel 573 erano stati costretti a ricusare la dottrina dei Tre Capitoli, in palese contrasto con i vescovi e le rispettive diocesi che vivevano sotto il dominio longobardo ed erano ancora fermi nella loro protesta contro il pontefice romano. La Chiesa milanese a metà del VII secolo presentava diverse anomalie rispetto alla sua primitiva costituzione, risultando dal confluire di diversi elementi, ossia il vescovo e il clero de ordine, reduce da Genova, il clero e i fedeli scismatici tricapitolini rimasti in loco, i Longobardi convertiti dall'arianesimo (con il loro clero) e dal paganesimo, e infine i missionari, in gran parte d'origine orientale, che a quelle conversioni dovettero adoperarsi con maggiore efficacia di quanto non potesse fare il clero di origine genovese, considerato un corpo estraneo da chi per ottanta anni lo aveva osservato attraverso l'ottica longobarda.
A G., dunque, spettò per primo il compito di ricomporre le tante smagliature del tessuto ecclesiastico milanese. Egli inoltre, approfittando della presenza della corte longobarda a Milano e del prestigio della sede episcopale milanese, inaugurò la stagione della collaborazione fra i regnanti longobardi e Roma che, con alterne vicende, caratterizzò la seconda metà del VII secolo.
Inoltre, è da sottolineare il tentativo effettuato dall'episcopato milanese di giustificare il possesso di territori in Liguria, acquisiti nella maggioranza dei casi assai di recente, attraverso l'attribuzione delle donazioni a un personaggio di rilievo quale era Giovanni.
L'esistenza di un rapporto diretto fra il rinvenimento della sepoltura di G., la figura del vescovo di Milano Ariberto e la supposta donazione alla Chiesa milanese dei beni liguri dello stesso G., conferma una tarda sofisticazione dei documenti che lo riguardano operata al fine di garantire, attraverso un antico titolo, l'insieme dei possedimenti della Chiesa ambrosiana in Liguria di cui, però, si ha notizia documentata solo dopo il Mille.
La localizzazione della tomba di G., connessa al ritrovamento delle sue stesse reliquie, avvenne, come già ricordato, all'epoca del vescovato di Ariberto. La tomba, posta dietro l'abside dell'altare maggiore della chiesa di S. Michele, situata presso la residenza del vescovo, vicino alla cattedrale di S. Maria, sarebbe stata rinvenuta grazie all'apparizione dello stesso G. prima a un cittadino genovese, quindi allo stesso Ariberto, al quale G. indicò la collocazione della sua tomba. Il fatto che questa scoperta sia avvenuta all'epoca di Ariberto è confermato dal fatto che la più antica copia conservata della lista con la cronologia dei metropoliti e con il loro luogo di sepoltura, fu redatta proprio durante il suo episcopato (ma un siffatto catalogo esisteva forse già dalla fine dell'VIII sec.). In questa lista la sepoltura di G. viene situata proprio a S. Michele; il 24 maggio 1582 la tomba di G. venne distrutta, e le reliquie furono trasportate da Carlo Borromeo nel duomo. Il fatto che si ignorino le reali circostanze del ritrovamento delle reliquie crea difficoltà dal momento che la tomba di G. potrebbe essere stata fra le più antiche inumazioni episcopali all'interno delle mura. Le tombe dei vescovi Castriciano, Mona, e dello stesso G., considerate le più venerabili in quanto le più antiche, furono, infatti, rinvenute soltanto fra il IX e il X secolo e la loro esatta localizzazione dovette, quindi, mancare fino a quel momento nella lista. Il carattere delle inumazioni dei vescovi ambrosiani Natale, Teodoro, e dello stesso G., mette in luce una pratica cimiteriale basata sulla sepoltura vescovile in un santuario urbano di recente fondazione, con implicazioni politiche e religiose tali da giustificare l'epiteto di "longobardo" attribuito a queste tombe, nel senso che esse iniziano un processo che, indebolendo la tradizione antica che proibiva le sepolture in città, porta, già nel X secolo, a scegliere definitivamente la cattedrale come luogo di sepoltura esclusivo dei vescovi di Milano.
Infine, occorre ricordare che benché il G. si fosse presto allontanato dalla Liguria, restò forte la venerazione per questo santo nella sua terra di origine: infatti, nel 1641 la Repubblica di Genova inviò al capitolo della Chiesa metropolitana di Milano una lampada d'argento di 544 once affinché ardesse continuamente innanzi l'ara del santo, mentre un reliquario brachiforme d'argento del 1663, sul quale un'iscrizione ricorda le origini del santo e la devozione a lui dovuta, è conservato nella chiesa parrocchiale di Recco. Viene festeggiato, secondo il Martirologio romano, il 10 gennaio.
Fonti e Bibl.: G.A. Sassi, Archiepiscoporum Mediolanensium series historico-chronologica, I, Mediolani 1755, pp. 229-232; B. Oltrocchi, Ecclesiae Mediolanensis historia Ligustica, Milano 1795, pp. 543-556; F. Luxardo, Saggio di storia ecclesiastica genovese, I, Genova 1874, pp. 53-76; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regioni. Milano, Firenze 1913, pp. 273-282; D. Cambiaso, L'anno ecclesiastico e le feste dei santi in Genova nel loro svolgimento storico, in Atti della Società ligure di storia patria, XLVIII (1917), pp. 108 s.; G.P. Bognetti, Milano longobarda, in Storia di Milano, II, Milano 1954, pp. 180 s.; M. Marzorati, Ariberto, in Diz. biogr. degli Italiani, IV, Roma 1962, pp. 146 s.; J.-C. Picard. Le souvenir des évêques: sépultures, listes épiscopales et culte des évêques en Italie du Nord des origines au Xe siècle, Roma 1988, pp. 18, 80-83, 92, 309, 353; C. Pasini, in Diz. della Chiesa ambrosiana, III, Milano 1989, pp. 1450-1452; E. Cazzani, Vescovi e arcivescovi di Milano, nuova ed. a cura di A. Majo, Milano 1996, pp. 52-54; Bibliotheca sanctorum, VI, coll. 634-636; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVI, coll. 1315 s.