GIOVANNI Scriba, santo
Quarto vescovo di Napoli di questo nome, nacque da famiglia di umili origini presumibilmente verso la fine dell'VIII secolo. Studioso delle Sacre Scritture e dei testi dei Padri della Chiesa, di testi profani, conoscitore del latino e del greco, le fonti ne ricordano anche l'attività di amanuense che gli valse l'appellativo di scriba. Avviato alla carriera ecclesiastica, divenne diacono della cattedrale di Napoli.
Nel periodo che precedette la sua nomina vescovile, la vita politica del Ducato di Napoli era scossa da violenti scontri per il potere. Nell'831 il console e duca di Napoli Bono era entrato in conflitto con il vescovo Tiberio, lo aveva dichiarato decaduto e lo aveva posto agli arresti nello stesso episcopio (non, come riferisce Giovanni Diacono nei Gesta episcoporum Neapolitanorum, in carcere). L'ostilità del duca dovette essere rivolta al solo vescovo e non a tutto il clero, come si evince dal fatto che il suo intervento contro Tiberio non incontrò l'ostilità del clero napoletano. Esautorato il vescovo, all'interno delle candidature dei chierici che vennero proposti per sostituire Tiberio la scelta cadde su G., persona bene accetta allo stesso duca.
Chiamato alla guida della Chiesa napoletana, G., come informano i Gesta, fu costretto ad accettare l'incarico offertogli, lasciando però l'effettiva guida della diocesi a Tiberio, presso il quale egli ottenne libero accesso. La narrazione dei fatti offerta dai Gesta riprende in realtà uno schema della letteratura agiografica che vede opposti il sant'uomo e il malvagio uomo di potere: G. avrebbe infatti rifiutato l'incarico se non vi fosse stato costretto dalle minacce di Bono di rappresaglie contro il clero napoletano e contro il presule stesso, e dalla minaccia di confisca dei beni della Chiesa napoletana: "totius episcopii servos possesionesque infiscari". Le giustificazioni offerte dai Gesta lasciano intendere come l'elezione di G. non fosse legittima; la lettura degli avvenimenti - con l'omissione delle vittorie di Bono sui Longobardi contrapposta alla descrizione dell'ascesa al potere del duca e del successivo arresto del vescovo (sempre tacendo sui fatti che avevano portato al contrasto seguito alle ingerenze di Tiberio all'interno della vita politica del Ducato) - offre deliberatamente una visione di parte delle vicende che portarono G. sul soglio vescovile.
Così Bono, una volta assicurata la non ingerenza politica di G. nelle vicende del Ducato, poté proseguire la lotta intrapresa contro i Longobardi, certo di non dover affrontare un secondo scontro con il vescovo. Dopo la morte di Bono (9 genn. 834) gli successe il figlio Leone, che fu deposto dal suocero Andrea nel settembre dello stesso anno. Sotto il nuovo duca, G. mantenne lo stesso atteggiamento nei confronti del vescovo imprigionato, come testimonia il trasferimento, voluto dal duca Andrea, di Tiberio dall'episcopio (sede del domicilio coatto del vescovo) a uno degli edifici della basilica di S. Gennaro extra moenia; episodio questo estremamente illuminante della voluta estraneità di G. dalle vicende legate al presule imprigionato, considerato anche il fatto che la nuova sede cui venne destinato il vescovo Tiberio era esposta alle scorrerie dei Longobardi. La mancata presa di posizione da parte di G. nei confronti di Tiberio tradisce da una parte la condanna della linea politica assunta dal vescovo Tiberio, e dall'altra evidenzia la sostanziale condiscendenza di G. nei confronti delle scelte dei duchi. "Sotto questo aspetto, estremamente significativo è […] il fatto che Giovanni Diacono abbia sentito il bisogno di concludere la tormentata biografia di Tiberio con l'episodio del discorso da lui pronunciato "residens in pontificali cathedra", per attestare pubblicamente la stima e l'ammirazione che egli sentiva per Giovanni lo scriba, e per l'opera da lui svolta" (Bertolini, 1970, p. 427 n. 262).
Nel frattempo i Napoletani, approfittando della crisi che si era aperta a Benevento per la successione nel Principato, avevano cessato di pagare il tributo ai Longobardi; le ostilità con questi ultimi, peraltro mai sopite, avevano trovato rinnovato vigore con la successione di Sicardo al padre Sicone. Ma nell'836 il duca Andrea, allorché Napoli, cinta d'assedio da Sicardo, era sul punto di capitolare, riuscì, grazie a una nuova alleanza con gli Arabi di Sicilia, a indurre Sicardo a porre fine all'assedio e a stringere una tregua quinquennale. L'armistizio fu il risultato dell'intercessione tra i due contendenti attuata dal clero napoletano, alla cui funzione mediatrice probabilmente partecipò anche G., che compare tra i contraenti del patto stipulato il 4 luglio 836, quando il principe longobardo Sicardo promise al vescovo G. ("electo sancte ecclesie neapolitane", Capasso, II, p. 149) e al duca Andrea, nonché a tutto il popolo del Ducato napoletano e ad altri soggetti ancora, la pace per terra e per mare.
Morto il vescovo Tiberio, tra il 28 e il 31 marzo 839, seguì un lungo periodo di vacanza del seggio vescovile napoletano. L'incarico assunto da G. alla guida della Chiesa partenopea mentre era ancora vivo il vescovo titolare non era regolare dal punto di vista del diritto canonico e di conseguenza l'ordinazione di G. dovette essere sottoposta a procedimento di verifica; a creare ulteriori perplessità concorsero anche i buoni rapporti che lo stesso G. aveva intrattenuto con Bono prima e con i successori di questo poi (Leone, Andrea, Contardo e Sergio I). Così, quando Sergio I inviò una legazione a Roma per richiedere la consacrazione di G., ricevette in risposta da Gregorio IV una commissione con l'incarico di accertare che l'elezione di G. si fosse svolta in conformità alle norme canoniche e senza l'opposizione del clero. L'inchiesta durò ben due anni e mezzo e solo il 26 febbr. 842 G. venne consacrato vescovo di Napoli.
Nei primi mesi seguiti alla consacrazione di G., Sergio I gli affidò il proprio figlio Atanasio affinché approfondisse gli studi delle Sacre Scritture e degli usi liturgici, nonché l'insegnamento del greco (secondo le prescrizioni del concilio di Nicea del 787 che prevedevano, per l'elezione a vescovo, la conoscenza di tali materie). Si attuava così, consenziente G., il disegno di Sergio I che avrebbe visto Atanasio vescovo e che avrebbe confermato la sottomissione della Chiesa di Napoli al potere ducale (con un processo già ben attestato sotto Giovanni).
G. morì il 17 dic. 849, come riferiscono i Gesta episcoporum Neapolitanorum; venne sepolto nell'oratorio di S. Lorenzo all'interno della catacomba di S. Gennaro, e poi traslato prima nella Stefania e quindi nella basilica di S. Restituta, dove le reliquie furono poste nella cappella di S. Maria del Principio. Nel Martirologioromano la festa di G. viene posta al 22 giugno, in concomitanza con quella di s. Paolino, per assimilazione della notizia relativa a Giovanni (I), vescovo di Napoli, con la vita di G. narrata da Giovanni Cimeliarca (cfr. Bibl. hagiografica Latina, I, n. 4417).
Negli anni immediatamente precedenti la consacrazione, G. aveva fatto traslare le reliquie dei vescovi suoi predecessori Aspreno, Epitimito, Marone, Efebo, Fortunato I, Massimo e Giovanni (I) dal cimitero di S. Gennaro all'interno della basilica della Stefania, dove furono collocate in tombe ad arcosolio fatte affrescare da G. con i ritratti dei vescovi. La traslazione è messa in sincronia dall'autore della biografia di G. con "gli ultimi tempi dell'imperatore Teofilo (ottobre 829 - gennaio 842 […]), con l'avvento e i primi anni di governo di Michele III (21 genn. 842 - 23 sett. 867 […]), e con lo sbarco degli Arabi a Ponza, che avvenne prima dell'agosto dell'846" (Bertolini, 1974, p. 105). Queste traslazioni all'interno della Stefania sono state interpretate come atto di difesa e di conservazione delle reliquie stesse situate nella catacomba di S. Gennaro dalle scorrerie rapinatrici dei Longobardi. Secondo una diversa lettura, invece, tale gesto da parte di G. si inquadrerebbe nell'ambito del tentativo più vasto e di portata europea, da parte dei vescovi, di affermare il proprio potere; e in tale ottica di "tendenza al potenziamento della funzione carismatica episcopale" (Cilento, La Chiesa, p. 685) dovrebbe essere letta l'azione di G.; così come "a dar prestigio alla Chiesa di Napoli e al suo vescovo concorse in maniera particolare la redazione del Liber pontificalis" (ibid.), la cui prima parte sarebbe stata attribuita (secondo una contestata ipotesi formulata da Mallardo, 1947) allo stesso Giovanni. Sempre all'attività di agiografo di G. sarebbe da ricondurre la stesura del calendario marmoreo scoperto a Napoli nella basilica di S. Giovanni Maggiore nel 1742, la cui attribuzione però rimane dubbia. Alla sua attività di vescovo è legato anche il notevole impulso che ricevette l'attività dello scriptorium e della scuola della cattedrale, attività proseguita anche dal successore Atanasio (I).
Fonti e Bibl.: Iohannes Diaconus Neapolitanus, Gesta episcoporum Neapolitanorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Script. rerum Langob., Hannoverae 1878, pp. 430-433 (capp. 56-62); A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli della Mezzana Età, XI, Napoli 1810, p. 289; D.M. Zigarelli, Biografie dei vescovi e arcivescovi della Chiesa di Napoli con una descrizione del clero… della basilica di S. Restituta…, Napoli 1861, pp. 35 ss.; B. Capasso, Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia, I, Neapoli 1881, pp. 208 ss.; II, ibid. 1892, p. 149; Bibliotheca hagiographica Latina, I, Bruxelles 1898-99, p. 654; Martyrologium Romanum, Romae 1902, p. 89; P.F. Kehr, Italia pontificia, VIII, Berolini 1961, pp. 421 n. 14, 444 n. 57; H. Delehaye, Hagiographie napolitaine, II, in Analecta Bollandiana, LIX (1941), pp. 19-21; D. Mallardo, Storia antica della Chiesa di Napoli, I, Le fonti, Napoli 1943, pp. 56 ss.; Id., S. Giovanni I e s. G. IV vescovi di Napoli (un errore del Martirologio romano e del Breviario), in Ephemerides liturgicae, LXI (1947), pp. 297-308; Id., Giovanni diacono napoletano. La continuazione del "Liber pontificalis", in Rivista di storia della Chiesa in Italia, IV (1950), pp. 343 s.; G. Mathon, G. IV lo Scriba, vescovo di Napoli, in Bibliotheca sanctorum, VI, Roma 1966, p. 938; G. Cassandro, Il Ducato bizantino, in Storia di Napoli, II, 1, Napoli 1969, pp. 56, 69, 138; N. Cilento, La cultura e gli inizi dello Studio, ibid., II, 2, ibid. 1969, pp. 549, 562, 576, 578, 582; Id., LaChiesa di Napoli nell'Alto Medio Evo, ibid., pp. 685, 697; M. Rotili, Arti figurative e arti minori, ibid., pp. 926, 928, 976; P. Bertolini, La serie episcopale napoletana nei sec. VIII e IX, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXIV (1970), pp. 349-440; N. Cilento, La storiografia nell'Italia meridionale, in Atti della XVII Settimana di studio del Centro italiano di studi sull'Alto Medioevo… 1969, Spoleto 1970, p. 538; P. Bertolini, La Chiesa di Napoli durante la crisi iconoclasta. Appunti sul codice Vaticano latino 5007, in Studi sul Medioevo cristiano offerti a R. Morghen, Roma 1974, I, pp. 104 s.; M. Rotili, L'arte a Napoli dal VI al XIII secolo, Napoli 1978, pp. 40, 57, 70; Rep. fontium hist. Medii Aevi, VI, p. 415; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVII, coll. 336 s.