GIOVANNI Battista, santo
È il profeta immediato precursore di Cristo. G. era di famiglia sacerdotale: la sua nascita fu dall'angelo Gabriele preannunciata a suo padre, il vecchio Zaccaria, mentre compiva il servizio sacerdotale al Tempio di Gerusalemme, e il padre stesso esaltò la missione del figlio in un canto ispirato (il Benedictus) al momento della sua circoncisione (Luca, I, 5-80): "E tu, fanciullo, sarai chiamato profeta dell'Altissimo; poiché procederai dinnanzi a lui a preparargli le strade, ad annunciare la salvezza di lui nella remissione dei peccati...". La vita di G. quindi, nel Vangelo di Luca che riferisce questi particolari, è collegata sino dal suo primo apparire alla vita di Gesù.
La loro giovinezza si svolge però in ambienti e direttive diverse. G. si ritirò certo in tempo notevolmente anteriore alla sua attività pubblica iniziata verso i 30 anni, in luoghi deserti (Luca, I, 80), probabilmente il deserto di Giuda a ovest del Mar Morto, dove poi cominciò ad agire (Matt., III, 1). Ivi condusse una vita eremitica, completamente isolato, perché solo agl'inizî della sua predicazione compaiono attorno a lui dei discepoli, i quali del resto non lo seguono nell'abbandono della vita familiare o civica. Vestito d'un tessuto di peli di cammello (cfr. il vestito di Elia in II [IV] Re, I, 8) e con una fascia di pelle ai fianchi, si nutriva di miele selvatico e di cavallette. Anche prima di ritirarsi nel deserto era stato votato al nazireato (v.), che imponeva l'obbligo di non tagliarsi i capelli, di astenersi dal vino e da ogni bevanda inebriante. Tutto quindi, nell'aspetto stesso, lasciava presagire il "profeta" (v.); e tale egli si rivelò raggiunta l'età matura.
I Vangeli riconoscono nella sua predicazione l'ultima preparazione alla salvezza messianica cristiana. La sua predicazione, come pure il battesimo (v.) da lui istituito, non s'intendono appieno se si vogliano diretti solo a una riforma dei costumi individuali: a tale riforma altri non aveva mancato di lavorare, e frequenti e usati erano i battesimi o i lavacri simbolici. La predicazione e il battesimo di G. se ne distinguono in quanto intendono essere la preparazione nazionale all'atteso avvento messianico. Questo carattere messianico è compreso a Gerusalemme. Con ogni probabilità la missione dei Giudei a G., riferita in Giovanni, I, 19-27, la quale lo interroga circa la sua persona e missione, fu inviata dal Sinedrio che era in obbligo d'interessarsi dei massimi problemi nazionali e religiosi. Agl'inviati G. risponde ch'egli non è il Messia, ma la voce che lo preannuncia. Quali decisioni prendesse l'autorità religiosa ebraica di fronte a tali risposte, non è riferito espressamente; ma non furono favorevoli. G. si scaglia non meno di Gesù contro i Farisei, che vantano il sangue di Abramo e sono razza di vipere avvelenatrici (Matteo, III, 7 segg.). Gesù, dopo la cacciata dei venditori, ai capi sacerdotali che gli domandano da chi abbia avuto l'autorità che accampa, risponde domandando a sua volta da chi fosse investito G. della sua missione; a tale domanda imbarazzante non rispondono, perché non avevano prestato fedea G. (;Matteo, XXI, 23-27).
I primi contatti di G. con Gesù avvengono quando questi vuole ricevere il battesimo giovanneo. All'immediata preparazione messianica, Gesù, Messia, non poteva essere indifferente: vuole anch'egli essere battezzato, malgrado la riluttanza di G. che conosce la sua santità e missione. Nell'iniziare "il buon annuncio" del Regno di Dio, Gesù si riporta al messaggio di G. e intensifica il suo movimento, poiché del battesimo di G. sembra doversi intendere quel battesimo dato da Gesù (o meglio nel nome suo "dai discepoli suoi", come precisa l'evangelista stesso) nelle prime settimane della vita pubblica, secondo una precisa notizia del IV Vangelo (IV, 1-3); quel rito non è ancora il battesimo "in Spirito Santo e fuoco" (Matt., III, 11), in acqua e Spirito Santo (Giov., I, 26-33), che il Battista stesso preannunzia, e che sarà poi istituito da Gesù per dare la piena santificazione.
La teofania su Gesù al Giordano rappresenta la solenne unzione messianica, che il nome stesso di messia e la tradizione esigevano. Lo Spirito Santo scende e si posa su Gesù: e come Messia lo designa da allora G. Se la sua predicazione anteriore ha un contegno di austero richiamo alle leggi della giustizia e alla schiettezza dei rapporti d'ogni coscienza con Dio, dopo il battesimo di Gesù essa è diretta alla manifestazione di lui. I Vangeli sinottici passano sotto silenzio questa fase della vita di G., che d'altronde derivava logicamente dalla rivelazione avuta.
Il IV Vangelo riferisce che i primi discepoli di Gesù, cioè Pietro e Andrea, Giacomo e il "discepolo diletto" (Giovanni l'evangelista), anteriormente erano stati alla scuola di G., che li aveva indirizzati al nuovo maestro. Svela anche un certo antagonismo formatosi tra i discepoli di Gesù e quelli di G., i quali vedono diminuire le folle e l'onore attorno al loro maestro a profitto di Gesù. G. espone la convenienza del suo tramontare. Egli non è lo sposo, ma l'amico dello sposo - il "paraninfo" delle feste nuziali ebraiche - il quale gode di veder festeggiato lo sposo. La parabola verrà ricordata da Gesù ai Farisei, i quali mettono in contrasto l'austerità di Giovanni con i costumi più miti seguiti da Gesù e dai suoi (Marco, II, 18-20). Quest'umiltà reverente di fronte a Gesù traspare da tutte le parole di G.
L'invio di due suoi discepoli dalla prigione di Macheronte a Gesù con la domanda: "Sei tu quel che viene o dobbiamo attendere un altro?" (Matt., XI, 2-19; Luca, VII, 18-35) è stato diversamente interpretato. Il ritardo che subiva la gloria del regno messianico atteso, l'abbattimento prodotto dai patimenti fisici e morali, avevano offuscato la fede di G. con un dubbio sulla messianità di Gesù? Ovvero, come intendono di consueto gli esegeti cattolici e come suggerisce la lode di fermezza data proprio in quel momento da Gesù a G., volle egli indirizzare i proprî discepoli, ancora titubanti, a Gesù stesso perché si convincessero della sua messianità? Fatto è che Gesù in quella stessa occasione, come poi la tradizione cristiana, diede la massima importanza alla figura di G. come precursore del regno messianico (Matt., XI, 11-12). Anche l'oscuro aforisma: "dal tempo di Giovanni sino ad ora il Regno soffre violenza e i violenti lo rapiscono", nonché tutto il discorso in cui è compreso (Matt., XI, 10-14) mostrano non solo che Gesù vedeva nel suo avvento un'era nuova, ma che essa era preparata da G.; si può già intravedervi la distinzione tra l'Antico e il Nuovo Testamento. Tale rapporto è pure nell'identificazione, istituita da Gesù, di G. con Elia (v.) che doveva venire avanti il regno messianico.
Non molto tempo dopo l'inizio della predicazione di Gesù, G. fu arrestato da Erode Antipa (v.), il quale ebbe a minacciare anche Gesù. La motivazione è diversa presso Flavio Giuseppe e i Sinottici. Per i Sinottici G. fu imprigionato per il rimprovero fatto, sembra pubblicamente, a Erode per aver preso in moglie Erodiade, sua parente in grado proibito e già sposata a suo fratello Filippo. Per Flavio Giuseppe l'arresto, cui viene unita senza intervallo la morte, fu dovuto al timore di rivolgimenti popolari. Il fermo non licet pronunciato da G. riguardo al matrimonio regale poteva effettivamente produrre contro Antipa, se non una rivoluzione, almeno un forte alienamento del popolo dalla dinastia. Il timore, prevalente nella condanna di Gesù, che il movimento messianico iniziato dovesse travolgersi in moto politico e produrre una ribellione contro Roma, sarebbe più verosimile da parte dei procuratori romani di Giudea che non di Antipa. Ma occorre anche notare che l'abbandono da parte di Antipa della legittima moglie, figlia di Areta re dei Nabatei, e la fuga di essa al padre, fu origine di una gravissima inimicizia dei due re: inimicizia che, anche per motivi di confini, si mutò in guerra disastrosa sei anni dopo. Forse fin dal tempo della fiera rampogna di G. vi poterono essere minacce di guerra suscitate da tale capriccio. La morte di G., estorta a Erode da Erodiade, è narrata dai Sinottici (Matt., XIV, 3-12; Marco, VI, 14-29).
Durante la prigionia di G. avvenne che nel giorno natalizio di Antipa la figlia di Erodiade danzasse davanti ai convitati in onore del festeggiato, e con tanta grazia che costui le promise di concederle qualunque cosa gli avesse chiesta. La danzatrice consultò la madre, la cui posizione in corte era minacciata dall'atteggiamento di G., la madre le impose di chiedere come premio la testa del prigioniero. Antipa fu contrariato dalla richiesta; ma, volendo tener fede al giuramento, mandò un boia a tagliare la testa a G. in prigione; la testa fu portata in un piatto, consegnata alla danzatrice e da costei a Erodiade.
Si è voluto sospettare che l'odio popolare e cristiano contro Antipa ed Erodiade abbiano qui creato una leggenda. Ma l'episodio non supera il livello di altre tragedie di palazzo che avevano insanguinato la casa di Erode. La chiesa onora S. Giovanni Battista nel dì natalizio (costume riservato a lui solo e alla Vergine) perché venne consacrato e santificato dal seno materno secondo le tradizioni relative alla sua nascita. Per i rapporti tra G. e i Mandei, v. mandei.
Folklore. - Nella festa di S. Giovanni Battista si vedono concentrate credenze e pratiche dell'antichissima festa del solstizio estivo. Come in quella del Natale, anche nella notte del 24 giugno, che si passa vegliando, si crede avvengano meraviglie e prodigi. La felce fiorisce e sfiorisce, fornendo a chi sappia impossessarsi dei fiori un potente talismano; le acque si tramutano in sostanze preziose, gli animali favellano, ecc. Momento solenne è l'aurora, quando il sole danza tre volte sul mare o altrettante vi si tuffa. se si mostra con la faccia chiara, l'annata sarà buona. Come l'astro, così si lavano gli uomini, avendo l'acqua in quell'ora qualità mirabili. Anche la rugiada di quella notte ha effetti salutari, epperò la si raccoglie. Mirabile pure contro i malefici è "l'erba di S. Giovanni" (iperico, verbena, artemisia, ecc.; talora anche un complesso di erbe). Giornata di pronostici, quella del 24 giugno offre alle fanciulle il mezzo di praticarne in maniere svariate, con le pianticelle, i fiori, le foglie, per conoscere la loro sorte amorosa. Di buon augurio si ritengono le infiorate che i giovani fanno sui davanzali e alle porte dell'amata, con rami, fiori e frutti. Chi nasce in quel giorno, "nasce in punto di stella" e non vedrà i fantasmi; chi vi è battezzato o divezzato avrà fortuna. Uno dei riti più diffusi e quasi inderogabile in quella data, è l'accensione dei falò o "fuochi di S. Giovanni" (v. fuoco). V. anche comparatico.
Bibl.: T. Innitzer, Johannes der Täufer, Vienna 1908; M. Dibelius, Die urchristliche Überlieferung von Johannes der Täufer, Gottinga 1911; C. A. Bernouilli, Johannes der Täufer und die Urgemeinde, Lipsia 1918; D. Buzy, Saint Jean Baptiste, études historiques et critiques, Parigi 1922; M. Goguel, Au seuil de l'Éangile: Jean-Baptiste, Parigi 1929.
Per il folklore v.: E. Razy, Saint J.-B., Parigi 1880; G. Pitré, Bibliogr. delle tradizioni popolari italiane, Torino 1894; E. Hoffmann-Krayer, Volkskundliche Bibliographie, Berlino-Lipsia 1922-1931; id., Handwörterbuch des deutschen Aberglauben, Berlino-Lipsia 1928-1931; A. Van Gennep, La Saint-Jean dans... la Savoie, in Journal de psychologie normale et patholog., XXIV (1927).