GERMANO, santo
Eletto vescovo di Capua intorno al 519, non si hanno dati certi sul suo conto prima dell'ascesa al seggio episcopale: solo una tarda fonte agiografica (del sec. IX, ma anteriore secondo De Buck all'873-874, poiché omette di menzionare l'asportazione del corpo di G. da Capua) fornisce notizie sulle sue origini familiari e sociali. G. sarebbe nato a Capua da Amanzio e Giuliana, membri in vista nella comunità cittadina, forse intorno al 470-480. Morto il padre, G., con l'accordo della madre, vendette tutto il patrimonio per potersi liberamente dedicare all'ascesi e allo studio dei testi sacri. Alla morte del vescovo Alessandro, nel 519 circa, i Capuani decisero di eleggere al suo posto proprio G., che, dopo aver cercato inutilmente di rifiutare, fu persuaso ad accettare l'onore. Va ricordato che tutte queste notizie non sono riscontrabili tramite altre fonti, e lo stesso Lentini (1963), autore di una breve monografia su G., ne fa un uso più parenetico che effettivamente storico.
La stessa ascesa all'episcopato e l'esercizio della carica non sono analizzabili in relazione allo scenario storico del tempo, che coincide con la fase finale del regno di Teodorico e con quella iniziale della guerra gotica. Dunque, è difficile, allo stato attuale delle conoscenze, inquadrare effettivamente il ruolo ricoperto da G. nei confronti della propria città.
Le notizie su G. dotate di effettiva attendibilità storica sono in realtà legate a un singolo episodio della sua vita, che rivestì particolare rilevanza nei rapporti tra Papato e Impero romano nell'età teodoriciana: la sua partecipazione, in qualità di Capuanus episcopus, alla missione a Costantinopoli presso l'imperatore Giustino I, organizzata nel 519 da papa Ormisda per porre termine allo scisma acaciano. Va ricordato che il Liber pontificalis (p. 270) è la sola fonte coeva che ci permette di sapere con certezza la cattedra di cui era titolare G., mentre nelle altre fonti la carica non è specificata o G. è ricordato genericamente con il titolo di episcopus (cfr. Epistulae Romanorum pontificum, pp. 48, 50, 52, 59, 60, 64).
Lo scisma acaciano era iniziato nel 482 quando l'imperatore Zenone, dietro proposta di Acacio, patriarca di Costantinopoli, aveva promulgato un editto di unione, il cosiddetto Henotikòn, con l'intento formale di appianare i contrasti tra le tesi cattoliche e quelle monofisite. Contro l'editto, che annullava di fatto quanto promulgato nei decreti del concilio di Calcedonia (451) intorno alla natura di Cristo, si era ribellato papa Felice III, il quale in due diversi sinodi (tenutisi a Roma il 28 luglio 484 e il 5 ott. 485) aveva scomunicato Acacio e i suoi sostenitori. Lo scisma, che minava i rapporti fra Roma e Costantinopoli, si era protratto, nonostante i tentativi condotti da Felice III e dai suoi successori (Gelasio I, Anastasio II, Simmaco) fino al pontificato di Ormisda il quale, per la risoluzione dello scisma, aveva già inviato a Costantinopoli, senza però ottenerne alcun frutto, due precedenti delegazioni.
Una curiosa coincidenza relativa a un precedente momento del confronto tra Roma e Costantinopoli, sempre nell'ambito dello scisma acaciano, vale a dire la legazione inviata a Costantinopoli nel 496-497 da papa Anastasio II, ha creato parecchia confusione nella definizione del profilo biografico di Germano. Infatti, le fonti relative a questa precedente missione riportano che essa fu condotta da due vescovi, uno di nome Cresconio e un altro, appunto, di nome Germano. Una lunga querelle ha opposto i fautori dell'identità e della distinzione dei due presuli con lo stesso nome. Solo con gli studi del Lentini si è giunti a optare per la soluzione che vede nei due omonimi personaggi due distinte persone; il primo dei quali in particolare, inviato a Costantinopoli nel 496, era presule di Pesaro (Lentini, 1938, p. 389).
La spedizione del 519-520, alla quale certamente partecipò G., fu organizzata dopo l'ascesa al trono imperiale di Giustino I, quando si formò a Costantinopoli un fronte favorevole alla risoluzione della questione che annoverava, oltre allo stesso imperatore, il nipote Giustiniano e il patriarca Giovanni. Pertanto, papa Ormisda, in accordo con Teodorico, sostenne una nuova iniziativa che ebbe avvio nel gennaio-marzo del 519, quando si mosse da Roma un gruppo composto da G., da un altro vescovo di nome Giovanni, dal diacono romano Felice, dal diacono alessandrino Dioscoro, poi cooptato nel clero romano (e futuro antipapa nella crisi del 532), dal prete romano Blando e dal notaio ecclesiastico Pietro.
Una lettera di papa Ormisda a Giustiniano, allora investito della carica di comes, dichiara esplicitamente che la legazione era stata formata dal papa con membri convenientes causae qualitati: il che consente di arguire che le doti spirituali, intellettuali e diplomatiche di G. fossero tenute in alta considerazione. Questa impressione è confermata dal fatto che, quando la delegazione è citata al completo (Liber pontificalis, p. 270; Epistulae Romanorum pontificum, epp. 50, 52), G. è nominato sempre per primo: il che consente di affermare che egli fosse il capogruppo della delegazione.
Della missione a Costantinopoli conosciamo, attraverso le fonti epistolari, una serie di dettagli rilevanti, relativi sia al viaggio, sia alla permanenza nella capitale imperiale. I delegati papali, dopo aver attraversato l'Adriatico, sbarcarono a Valona, in Epiro. Di qui si diressero verso Tessalonica, attraverso Ocrida (Lignido), ove G. celebrò messa. Particolarmente importante è la cronaca dell'arrivo a Costantinopoli - all'inizio della settimana di Pasqua, compresa tra il 24 e il 31 marzo - e dell'accoglienza ricevuta dai legati presso la corte imperiale. G. stesso riferisce a papa Ormisda (ibid., ep. 64, del 22 apr. 519) che Giustiniano, in compagnia di alti funzionari, andò incontro ai delegati 10 miglia fuori Costantinopoli e che il popolo della capitale accolse la delegazione con grandi espressioni di giubilo. Il lunedì santo il gruppo fu ricevuto dall'imperatore in persona con tale affetto che anche un eventuale scacco della missione - commenta G. - sarebbe stato consolato da tanta esplicita buona disposizione. Nello stesso giorno i delegati incontrano anche il Senato. Solo il giovedì santo, però, fu discusso in palatio, alla presenza dell'imperatore, del Senato e di Giovanni patriarca di Costantinopoli, il libellus che papa Ormisda aveva affidato alla delegazione per la risoluzione dello scisma e che è considerato una pietra angolare nella definizione della primazia pontificia tra le Chiese cristiane. La debita preparazione dell'incontro fece sì che il successo della delegazione papale fosse pieno. G., insieme con i suoi compagni, si trattenne in Oriente per oltre un anno, impegnandosi a estendere alle altre Chiese d'Oriente l'accordo che di fatto ne riaffermava l'allineamento alle decisioni del concilio di Calcedonia.
Alla fine della permanenza, un encomio scritto dell'imperatore sull'opera dei legati, indirizzato al papa (ibid., ep. 116, del 9 luglio 520) suggellò il successo della missione. Sappiamo da una successiva lettera di Ormisda ai legati, datata 15 luglio 520 (ibid., ep. 123), che il papa si preoccupava della loro prolungata permanenza a Costantinopoli. Tale permanenza, nelle parole della succitata lettera di Giustino a Ormisda, si giustificava per la particolare delicatezza della seconda fase del lavoro dei legati, quella di far accettare a tutti i termini dell'accordo tra papa e imperatore.
Dell'attività episcopale di G. quasi nulla è conosciuto. Sappiamo solo dal Chronicon Salernitanum (una fonte quindi assai più tarda) che G. modificò l'intitolazione della basilica costantiniana degli Apostoli, mutandola in quella dei Ss. Stefano e Agata, in seguito alla deposizione al suo interno di reliquie che G. aveva forse ottenuto dall'imperatore Giustino, nel corso del suo soggiorno a Costantinopoli (Lentini, 1963, pp. 34 s.).
G. è ricordato inoltre in due diverse occasioni nei Dialogi di Gregorio Magno. Una prima volta (II, 35) quando Benedetto, in preghiera sulla sommità del monte Cassino, vide l'anima di G. che saliva al cielo sotto il sembiante di un globo di fuoco, trasportata dagli angeli. Poco dopo, tramite suoi emissari inviati a Capua, Benedetto venne a sapere che quella sua visione si era verificata al momento del trapasso di Germano. Una seconda volta (IV, 42) come intercessore, con le sue preghiere, per la liberazione dalle pene espiatorie dell'anima di un tale Pascasio, diacono romano.
La centralità della figura di G. tra quelle dei grandi vescovi italiani del VI secolo, fortemente impegnati sul piano politico e religioso, sembrerebbe confermata anche dalla possibilità di una reciproca conoscenza tra lo stesso G. e Sabino, vescovo di Canosa, che fu legato a Costantinopoli insieme con papa Agapito nel 535-536, conoscenza asserita nella Vita altomedievale (VIII-IX secolo) del presule canosino. Sabino, a sua volta, risulta essere stato a stretto contatto di Benedetto.
La morte di G. è stata collocata all'inizio del 541, poiché sopravvive l'epitaffio del vescovo Vittore, suo successore, che resse la sede capuana dal 541 al 554 (Corpus inscriptionum Latinarum, X, 4503). Il collegamento tra la visione di Benedetto, ormai anziano, e la data di inizio dell'episcopato di Vittore avvalorano l'ipotesi che G. possa effettivamente essere morto nel 541 e aver retto quindi la cattedra capuana per oltre un ventennio, da poco prima del 519 sino al 541.
Di particolare interesse è la storia del culto tributato a G. nell'Alto Medioevo, fortemente legata alla vicenda del cenobio cassinese. Sepolto a Capua, il corpo di G. fu traslato nella nuova Capua, fondata nell'849 da Landone sulle rovine dell'antica Casilinum. Apparentemente, Ludovico II, nel corso di un suo passaggio a Capua (alla fine dell'873, di ritorno dalla campagna antiaraba nel Meridione, secondo il Chronicon monasterii Casinensis, I, 38; Lentini, 1963, pone erroneamente l'evento in relazione alla discesa dell'imperatore nell'866), si sarebbe impadronito delle reliquie di Germano. Una parte di queste fu poi lasciata dal sovrano a Cassino: dal che la zona pedemontana del monastero, che occupava l'area dell'antica Casinum, avrebbe preso il nome di San Germano. Un'altra parte fu in seguito portata a Piacenza (probabilmente da Engelberga, moglie di Ludovico II) e deposta nella cripta della chiesa del monastero di S. Sisto, che l'imperatrice aveva fondato nell'874.
Fonti e Bibl.: Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffmann, in Mon. Germ. Hist., Script., XXXIV, Hannover 1980, p. 106;Historia vitae, inventionis, translationis s. Sabini ep. ab anonymo scripta sec. VIII, in Acta sanctorum febr., II, Antverpiae 1658, p. 324; Epistulae Romanorum pontificum genuinae et quae ad eos scriptae sunt…, I, A s. Hilaro usque ad s. Hormisdam, ann. 461-523, a cura di A. Thiel, Braunsbergae 1867, pp. 843, 846, 849 s., 918 s., 925 s., 938; Vita s. Germani episcopi Capuani, in Acta sanctorum oct., XIII, Parisiis 1883, pp. 363-366; Ph. Jaffè, Regesta pontificum Romanorum, a cura di G. Wattenbach [e altri], Lipsiae 1885, nn. 805 s., 810, 815 s., 818, 822, 827, 834, 838, 840, 845, 847-849; Liber pontificalis, I, a cura di L. Duchesne, Paris 1886, pp. 270, 273; Chronicon Salernitanum, a cura di U. Westerbergh, Lund-Stockholm 1956, p. 23; Gregorius Magnus, Dialogi, a cura di U. Moricca, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LVII, Roma 1924, pp. 129 s., 240, 299; C. Baronio, Annales ecclesiastici, IX, Lucae 1741, pp. 240, 262, 288; R. De Buck, De s. G. confessore pontifice Capuae in Campania, in Acta sanctorum oct., XIII, Parisiis 1883, pp. 358-363; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604), I, Roma 1927, p. 203; A. Lentini, Due legati papali a Costantinopoli nel secolo VI: G. di Capua e Sabino di Canosa, in Atti del IV Congresso nazionale di studi romani, a cura di C. Galassi Paluzzi, I, Roma 1938, pp. 384-391; Id., San G. vescovo di Capua, Montecassino 1963; Id., Il "libellus" portato a Bisanzio da G. di Capua, in Atti del Convegno nazionale di studi storici promosso dalla Società di storia patria della Terra di Lavoro, Roma 1966, pp. 343-349; Id., G., vescovo di Capua, in Bibliotheca sanctorum, VI, Roma 1966, coll. 237-240; Id., Sabino, vescovo di Canosa, ibid., XI, ibid. 1968, col. 553; F. Bougard, Engelberga, in Diz. biogr. degli Italiani, XLII, Roma 1993, p. 674; Bibliotheca hagiographica Latina, I, Bruxellis 1898, p. 517; Supplementum, ibid. 1911, p. 147; Novum supplementum, a cura di H. Fros, ibid. 1986, p. 390.