FREDIANO (Fridianus, Fricdianus, Frygianus, Frigdianus, Frigidianus), santo
Irlandese, vescovo di Lucca nella seconda metà del sec. VI, è venerato come confessore e patrono di quella città e di quella diocesi.
Le vicende della sua vita, quali ci sono state conservate dalla tradizione manoscritta e quali sono spesso state accolte nella letteratura storica, sono il frutto di un intricato filone agiografico, che ha costruito la figura e le opere di F. sulla base di una contaminatio dei modelli rappresentati da altri eminenti irlandesi, divenuti famosi per la loro santità e per le loro azioni nel corso di quel medesimo sec. VI o in tempi immediatamente successivi.
Attestato quale irlandese nella seconda e nella terza recensione della Vita (l'una compilata tra i secc. IX e X; l'altra nel sec. XI), identificato in un secondo tempo con il conterraneo s. Finniano di Moville (cfr. Passionario G.I.5 della Biblioteca comunale di Siena dei secc. XII-XIII e il suo apografo conservato dal ms. 880 della Biblioteca statale di Lucca), F. dovette appartenere a quella diaspora di pellegrini irraggiatisi sul continente dall'isola di origine. La più autorevole notizia sul suo conto ci viene dal papa Gregorio Magno che lo ricorda nei Dialogi (III, 9) per il grandioso miracolo della deviazione di un tratto del fiume Auser (l'attuale Serchio), miracolo che il pontefice affermava essergli stato riferito dal vescovo di Luni, Venanzio.
La moderna critica colloca il magistero di F. in tempi piuttosto vicini allo stesso Gregorio Magno, come del resto voleva, sia pure con qualche oscillazione, una tradizione erudita comunemente accolta, di ascendenza secentesca (Franciotti), che stabiliva la data del trapasso del santo al 588, dopo un episcopato protrattosi dalla dominazione bizantina sino all'inizio di quella longobarda, per 28 anni. Ciò premesso, bisogna sottolineare che, per ricostruire la biografia di F., data la mancanza di notizie sicure, è giocoforza procedere per giudizi induttivi più che per dati certi.
Determinare la cronologia dell'episcopato di F. diviene un problema cruciale, ove si cerchi di renderne conto alla luce del Catalogo dei vescovi lucchesi, tradito nel codice 124, del sec. XII, della Biblioteca capitolare di Lucca. Convinto della bontà di tale fonte, uno studioso del primo Novecento, il Pedemonte, giunse ad anticipare il governo episcopale del santo a un'epoca molto anteriore a quella di Gregorio Magno - addirittura al sec. III, con grave pregiudizio per la ricostruzione storica. Però il Catalogo, almeno allo stato attuale delle indagini, risulta tutt'altro che degno di credito: per larga parte esso non riproduce, infatti, l'ordine di successione genuino, ma uno deteriore, esito di vicissitudini a noi sconosciute e puramente ipotizzabili.
I dati più autentici su F. sembrano essere quelli forniti dalla scarna citazione contenuta nei Dialogi di Gregorio Magno. A essi si sovrapposero successivamente, sino al sec. XIII, progressivi ampliamenti dovuti a una continua stratificazione agiografica. A causa di essi la tipologia cristiana di F. come confessore della fede e modello di carità si trasformò in quella di prodigioso taumaturgo e, infine, di fondatore della Congregazione dei canonici regolari da lui denominati, come appare, rispettivamente, dalle recensioni I e II, III e IIa della Vita Sancti Fridiani secondo l'edizione critica di recente fornita da G. Zaccagnini, giunta a colmare un vuoto ecdotico di più di tre secoli dall'inadeguata editio princeps del Colgan.
La prima recensio della Vita (cui forse fa riferimento un inventario di beni del vescovado di Lucca dei secoli IX-X) può essere cronologicamente ricondotta a un'epoca anteriore all'ultimo ventennio del sec. VIII, in quanto ignora la traslazione delle reliquie del santo compiuta, il 18 novembre di un anno a noi ignoto, dal vescovo Giovanni I (780-801). Essa riprende dai Dialogi gregoriani la notizia del miracolo della deviazione del Serchio, dandole un taglio biografico e distinguendosi per la brevitas. Dopo una rapida premessa sulle virtù del vescovo, riferisce infatti dell'elezione di F. alla cattedra episcopale di Lucca e sottolinea lo spirito di cristiana dedizione che il nuovo presule dimostrò, "omnes uero diligens ut se". Accenna quindi in termini vaghi a numerosi miracoli da lui compiuti, ma si sofferma a narrare in particolare solo quello reso noto da papa Gregorio I "subsequenti… tempore".
È a questo punto, infatti, che inserisce il prodigio dell'Auser, riferendo che il fiume giungeva a quell'epoca fin nei pressi della basilica fatta erigere da F. fuori delle mura romane, a Nord della città (la basilica di S. Vincenzo) e che di frequente straripava. I Lucchesi, incapaci di deviare il corso del fiume, si rivolsero al vescovo che, toccato dalla loro afflizione, si fece portare un rastrello e, recatosi "ad alueum fluminis", dopo un'intensa preghiera, ordinò all'Auser di lasciare l'antico letto e di seguirlo lungo il percorso che egli avrebbe tracciato col rastrello.
La prima recensione si chiude con la notizia della morte del santo e dell'inumazione del suo corpo nella basilica di S. Vincenzo "a partibus aquilonis".
La testimonianza fornita da questa fonte concorda con altre di età tardoromana accertandoci del persistere, in quel settore del bacino idrografico del Serchio di una condizione a rischio di antica data, di cui parla tra gli altri anche Rutilio Namaziano nel De reditu suo (417). Il fiume scorreva ancora con un regime incontrollato e impetuoso confluendo a Pisa nell'Arno. Per attenerci alla Vita, l'intervento prodigioso di F. interessò un ramo che si spingeva presso le mura cittadine, così che l'alveo antecedente venne del tutto abbandonato.
Alla riconoscenza del popolo lucchese fece tuttavia riscontro il risentimento degli abitanti di un borgo, Lunata, posto sull'ansa formata dal ramo orientale del fiume. Come riferiscono la II e la III recensione, alcuni Lunatesi, proprio in seguito al miracolo, aggredirono il vescovo, mentre questi si trovava nel loro territorio e lo scacciarono a bastonate, ma Dio, per punizione, cancellò persino le tracce dei reprobi.
Secondo lo Zaccagnini dev'essere stata "la diminuzione della portata del ramo orientale del fiume, e quindi il suo esaurimento, a generare la protesta" (p. 52).
Rispetto alla I, la II e la III recensione aggiungono inoltre un preciso dato biografico, quello dell'origine irlandese del santo. Stando alla III recensione, egli sarebbe venuto pellegrino in Italia, come altri suoi connazionali, e si sarebbe ritirato, a un certo momento, nei pressi di Lucca per servire Dio in solitudine. La notizia è stata a buon diritto messa in discussione, ma essa non crea particolari difficoltà, date le consuetudini ascetiche proprie dei peregrini irlandesi e data l'antica tradizione di eremitismo radicata nell'area montana tra Lucca e Pisa. Nell'esperienza religiosa di F., dunque, la pratica dell'ascesi solitaria precedette la sua elezione alla cattedra episcopale. Anzi, stando a quanto riferisce la III recensione, proprio nel periodo in cui visse da anacoreta nei pressi di Lucca egli si acquistò quella fama di particolare santità che indusse i Lucchesi a pensare di accaparrarselo, obbligandolo a lasciare il suo eremitaggio e a venire in città, dove in un secondo tempo, su istanza del clero e con il consenso dei cittadini, egli sarebbe stato eletto vescovo.
Crea confusione nella biografia di F. una tarda Epitome metrica in esametri leonini, attribuibile al sec. XII, conservataci da alcuni manoscritti contenenti la Vita. Essa accenna infatti a un periodo di vita eremitica trascorsa da F. in Lunata, nel corso del quale egli sarebbe stato oggetto della già ricordata blasfema aggressione da parte dei locali. Il Pedemonte, che colloca F. all'inizio del sec. III, nega l'esistenza di una fase eremitica nell'esperienza religiosa di F. anteriore al suo episcopato e attribuisce il ritiro in Lunata a una sorta di fuga dinnanzi a persecuzioni anticristiane.
L'origine irlandese di F. ha dato luogo a una contaminatio della Vita di F. con la Vita di s. Finniano di Moville (sec. VI), come già riconobbero i bollandisti. Equivoci dovuti a tale contaminatio persistono ancor oggi nella letteratura storica e agiografica, nella quale, ad esempio, si continuano ad attribuire a F. una formazione e una preparazione tecnicoscientifica per aver studiato a Roma i principî dell'ingegneria idraulica (Chierotti), dato, questo, che rientra invece nella biografia di Finniano.
Che la fusione tra le due Vitae sia avvenuta in epoca piuttosto tardiva si trae agevolmente dal rifacimento della Vita di F. conservatoci dal codice senese che aggiunge, rispetto alle recensioni più antiche, il racconto dei miracoli compiuti da F. in Irlanda, facendolo precedere da una premessa preziosa per i riferimenti cronologici in essa contenuti. Questi dati ci permettono infatti di stabilire che questa rielaborazione agiografica fu composta tra il 1171, data dell'invasione normanna dell'Irlanda e il 1249, quando cessò di esistere il monastero romano della S. Trinità degli Scotti, che viene citato nel testo, invece, come ancora attivo.
L'anonimo estensore riferisce infatti di aver appreso le gesta e la genealogia di F. da dotti venuti dall'Irlanda in pellegrinaggio a Roma: tra costoro egli ricorda Malachia, priore del monastero della Trinità degli Scotti, cui appunto facevano capo gli irlandesi in visita a Roma.
Questo ampliamento della Vita è da porsi in rapporto con l'espansione del culto di F. al di là della diocesi di Lucca.
È interessante come l'agiografo dia una spiegazione linguistica dei due nomi Frediano e Finniano, che si richiamano tra loro per assonanza e che egli cerca di attribuire a un'unica persona. Afferma infatti che F. era figlio di Ultach, re dell'Ulster e che aveva ricevuto due nomi, Findbar, "quod in lingua eorum album sonat" e Fignanus, "quia corpore totus speciosus fuit".
In realtà il nome di F. è tradito con numerosissime varianti - Fricdianus, Frigdianus, Fragidianus, Frigidianus, Fridianus (la forma più diffusa), Phrigianus, Frigianus, Frygianus, Fridrianus, Fredrianus - tutte riconducibili a diverse radici, di cui ovviamente non si può stabilire quella originaria.
Di F. la Vita segnala in modo generico un'intensa attività edilizia ma, se si guarda allo specifico, si limita poi, di fatto, a ricordare unicamente la costruzione di una basilica in onore dei Ss. Vincenzo, Lorenzo e Stefano eretta nel borgo dove viene localizzato il "trebium Hebraeorum". Un artificioso dato fornito dalla II e dalla III recensione istituisce una precisa corrispondenza tra il numero di anni dell'episcopato di F., 28, e quello delle pievi da lui dedicate. Anche se una tardiva tradizione è giunta a elencare i nomi delle pievi, la notizia va intesa nel senso che F., negli sconvolgimenti provocati all'assetto ecclesiastico della regione dall'invasione longobarda, si fece carico di organizzare e di rendere efficiente una rete plebanale nella diocesi lucchese. Il suo nome risulta peraltro collegato alla cattedrale di S. Martino da un passo dell'anonima Translatio s. Reguli - che la dice da lui edificata "a fundamentis" - come anche da una iscrizione che si trovava sulla "pietra consagrata dell'altare di S. Stefano", oggi perduto, insieme con una croce gemmata, scomparsa anch'essa, concordemente attribuita, in base alle descrizioni (cfr., in primo luogo, quella di B. Baroni: Bibl. statale di Lucca, Mss. 1014, f. 7v), ai secc. VI-VII.
L'iscrizione ricordava F. come colui che aveva disposto la costruzione dell'altare, assegnando l'esecuzione dell'opera a quel prete Valeriano, che gli sarebbe succeduto come vescovo di Lucca.
La prima recensio ricorda in particolare che il santo accoglieva "in suum… hospitium" "illos quos bonis operibus intentos videbat" (ed. cit., p. 156). Questa notizia potrebbe forse riferirsi alla istituzione della comunità monastica dei Ss. Vincenzo e Frediano, che ci è nota da due documenti datati al 685 e al 688, rispettivamente emessi dal vescovo Felice II e dal re Cuniperto.
Per quanto riguarda i miracoli, il racconto della deviazione dell'Auser è preceduto, nella seconda e nella terza recensione della Vita, dalla narrazione di un altro straordinario episodio: durante la costruzione della basilica di S. Vincenzo F. sarebbe riuscito da solo a estrarre da una cava in località San Lorenzo e a caricare su di un carro un monolito calcareo di eccezionale grandezza, che doveva essere utilizzato per la pavimentazione della basilica stessa.
La terza recensione riferisce altri due miracoli, di cui uno è sempre connesso con la costruzione di S. Vincenzo (miracolo del pesce), l'altro riguarda invece l'attraversamento dell'Arno in piena, compiuto una volta in cui F. aveva in animo di rendere visita alla tomba del martire s. Miniato, nei pressi di Firenze.
Quando F., ormai in fama di santità, morì, il suo corpo venne inumato nella basilica dei Ss. Vincenzo, Lorenzo e Stefano, dove rimase sino alla fine del sec. VIII, quando il vescovo Giovanni I lo fece traslare - secondo la testimonianza della seconda recensione - nella splendida cripta che aveva fatto costruire.
Nel racconto della traslazione delle reliquie di F. contenuto nella tardiva recensio III, è stata interpolata una inventio miracolosa delle reliquie avvenuta durante la sepoltura dei resti mortali di una fanciulla. Questo testo ha indotto in errore alcuni studiosi, i quali hanno attribuito la traslazione stessa al vescovo di Lucca Giovanni II (1023-56), anziché a Giovanni I (780-801). All'inventio è ispirata un'epigrafe tardiva, databile tra i secoli XI e XII, incisa sul coperchio dell'urna della seconda sepoltura (della prima non v'è traccia), oggi in S. Frediano, collocato in posizione verticale accanto al monolito. Di maggior rilevanza è, sul piano storico, un'altra più antica epigrafe, pure incisa sul coperchio dell'urna, in caratteri attribuibili al sec. VIII: essa costituisce infatti una conferma dell'epoca in cui avvenne la traslazione.
La recensio III dà inoltre notizia di cinque prodigiose guarigioni avvenute per intercessione di F., dopo la sua morte. Ciò sta a indicare che, nell'epoca in cui fu redatto quel testo, la pietà dei fedeli vedeva nel santo vescovo di Lucca soprattutto il taumaturgo.
Il dies natalis di F., che ricorre il 18 marzo nei martirologi di Beda, di Notkero, di Usuardo e nel Martirologio romano, venne festeggiato dalla Chiesa lucchese sino al sec. XIV. Tuttavia quella solennità fu affiancata, dalla fine del sec. VIII, dall'altra del 18 novembre, anniversario della traslazione delle reliquie. Come attesta un contratto di livello dell'857, ricordato dal Guidi, già allora si tenevano a Lucca, "in mese Novembrio", solenni celebrazioni annuali in onore del santo.
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