DOMENICO Savio, santo
Nacque a Riva presso Chieri (Torino) il 2 apr. 1842, secondogenito di Carlo Savio e di Brigida Gaiato.
Il padre, un contadino originario di Mondonio in provincia di Asti (oggi Mondonio San Domenico Savio), si era trasferito nel 1841 a Riva, dove esercitò il mestiere di fabbro (in particolare di maniscalco), arrotondando il reddito familiare lavorando talvolta come bracciante nelle campagne. Nel 1844 la famiglia, per trovare migliori occasioni di lavoro, si stabili a Murialdo, a pochi chilometri di distanza.
D. crebbe in un ambiente fervorosamente religioso e fin dai cinque anni cominciò a frequentare la locale cappellania retta da don Giovanni Zucca, poi suo maestro di scuola nelle due classi elementari (prima inferiore e prima superiore) uniche esistenti nella frazione. Oltre che per la religiosità (gli fu permesso di accostarsi alla prima comunione a sette anni, mentre allora era uso non farla prima dei dieci-dodici), si distinse per il profitto. Poiché era di gracile complessione fisica, e quindi inadatto ai lavori manuali, i genitori decisero di fargli continuare gli studi: dapprima ripetette a Murialdo la classe gia superata, poi cominciò a frequentare la scuola municipale di Castelnuovo d'Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco), percorrendo giornalmente a piedi - tra andata e ritorno - circa 20 chilometri.
All'inizio del 1853 la famiglia Savio ritornò a Mondonio. Qui D. poté frequentare le scuole locali, dove ebbe per maestro Giuseppe Cugliero. Questi, compaesano di don Giovanni Bosco, pensò di presentarlo all'educatore salesiano. L'incontro avvenne ai Becchi di Murialdo il 2 ott. 1854: don Bosco fu favorevolmente impressionato da D. tanto da farlo entrare pochi giorni dopo (29 ottobre) nell'oratorio di Valdocco, alla periferia di Torino, ove venivano raccolti ragazzi di famiglia povera: chi non mostrava grandi attitudini (la maggior parte) era avviato a imparare un mestiere, gli altri potevano frequentare la scuola di latino per essere eventualmente destinati al sacerdozio. D. fece parte di questo secondo gruppo e fu inviato alla scuola del prof. Giuseppe Bonzanino. nel centro di Torino, frequentata anche da allievi appartenenti alle famiglie più ragguardevoli della città.
Negli studi e nella vita di relazione con i compagni, tanto a scuola quanto nell'oratorio, D. si segnalò per la sua condotta esemplare, ma, soprattutto, assorbi la spiritualità di don Bosco, rimanendo influenzato dalle sue prediche e anche dagli scritti che il suo educatore pubblicava sulle Letture cattoliche: in particolare quelli sull'Immacolata Concezione e la Vita di Luigi Comollo; altri libri che ebbero un forte influsso su D. furono Il giovanetto ben provveduto dello stesso don Bosco, Il tesoro nascosto nella S. Messa di Leonardo da Porto Maurizio e L'imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis. Iniziò ben presto un'opera di apostolato fra i compagni, condotta con carità ma con rigore, pur svolta sempre secondo le regole non scritte dell'oratorio che raccomandavano la semplicità di vita e l'allegria. Qualche momento di misticismo estatico rimase allora noto soltanto a don Bosco, che dirà poi di aver scorto in D. segni di doni carismatici straordinari. L'unico avvenimento esterno degno di nota fu l'aver promosso la costituzione - insieme con i compagni G. Bongioanni, G. Cagliero, C. Durando e M. Rua - della Compagnia di Maria Immacolata, una sorta di associazione segreta con il fine di esercitare un'opera di apostolato fra i compagni, tanto con l'esempio quanto con l'opera di convinzione individuale. D. ne compilò il regolamento, sottoposto poi a don Bosco per l'approvazione, che aveva al primo punto "una rigorosa obbedienza ai superiori": la compagnia sarà il primo nucleo della Congregazione salesiana.
La salute di D. non resse a lungo. Gia nell'estate del 1856 si ebbero i primi segnali della oscura malattia (un medico diagnosticò: "La sua gracile complessione, la cognizione precoce, la continua tensione di spirito, sono come lime che gli rodono insensibilmente le forze vitali": in Salotti, p. 172) che doveva condurlo a morte precoce.
Tornato a Valdocco nell'autunno 1856 per frequentare il corso di umanità (IV ginnasio), alla fine del febbraio seguente la malattia aveva fatto ancora progressi, tanto da consigliare il suo ritorno in famiglia a Mondonio. Qui morì il 9 marzo 1857.
Se il comportamento edificante tenuio sempre da D. continuò a essere ricordato dopo la sua morte da parenti e conoscenti, la fama presso un più vasto pubblico si dovette alla biografia che don Bosco scrisse subito dopo la sua morte e che venne pubblicata nel 1859 nelle Letture cattoliche. La Vita era fin dall'inizio costruita sullo schema agiografico in uso nei lavori preparatori dei processi di canonizzazione: non mancava una rassegna di eventi miracolosi verificatisi post mortem in favore di quanti avevano chiesto l'intercessione di Dornenico. Giovanni Bosco - che, in un periodo in cui in Italia aveva avuto inizio la rivoluzione industriale, aveva creato una sorta di "pedagogia del proletario" adatta alle nuove esigenze della società - riteneva importante proporre ai giovani un esempio di santità non straordinaria, facilmente imitabile, secondo il principio della "via della santità vissuta nella vita reale e per mezzo di essa"; in questo progetto D. diventava il modello ideale per chi insegnava "a farsi santi in una vita d'intenso lavoro e di dedizione quotidiana alle opere di minore appariscenza, agli obblighi di una vita che non conosce quasi nulla dell'apparato della grande ascesi" (Caviglia, p. 101).
Per molti anni il culto verso D. rimase confinato in ambito locale e negli oratori salesiani. Dopo la morte di don Bosco, nel 1895, il salesiano Stefano Trione richiamò l'attenzione su questa figura, adoperandosi per l'apertura della causa di beatificazione. Nel 1908 fu iniziato a Torino il processo ordinario informativo sulla vita, virtù, fama di santità e miracoli; il 10 febbr. 194, con il favore di Pio X, ebbe inizio il processo apostolico, ma dopo la morte di questo papa la causa non fece grandi progressi. Soltanto dopo la beatificazione di Giovanni Bosco (1929), sotto il pontificato di Pio XI, il 9 luglio 1933 D. fu proclamato venerabile.
Dopo un altro periodo di stasi, nell'ultimo dopoguerra, in un contesto storico che richiedeva un modello di apostolato da offrire alla gioventù cattolica, in anni in cui la mobilitazione dei giovani era attivamente perseguita contro la diffusione delle organizzazioni di massa di movimenti giudicati antireligiosi (si pensi alle adunate dei "berretti verdi" in piazza S. Pietro), la causa di D. fece progressi rapidissimi: il 5 marzo 1950 Pio XII lo proclamava beato e il 12 giugno 1954 santo.
Fonti e Bibl.: Acta Apostolicae Sedis, VI (1914), pp. 14 ss.; XXV (1933), pp. 349 ss.; XLII (1950), pp. 242-247; XLVI (1954), pp. 335 s.; G. Bosco, Vita del giovanetto S. D. allievo dell'oratorio di S. Francesco di Sales..., Torino 1859; C. Salotti, D. s., Torino 1915; A. Caviglia, S. D. e don Bosco..., in G. Bosco, Opere e scritti editi e inediti, IV, Torino 1942 (il volume contiene con numerazione a parte anche l'edizione critica della Vita di S. D....); Il ragazzo santo. S. D. S. visto da oratori, scrittori, giornalisti, Colle Don Bosco 1954; L. Castano, S. D. S. allievo di s. Giovanni Bosco, Torino-Milano-Genova 1954; A. Murari, D., l'eroe della volontà, Colle Don Bosco 1957; G. Alessi, S. D. s., in Discorsi religiosi, Palerino 1959, pp. 10-131; E. Valentini, in Bibliotheca sanctorum, IV, Roma 1964, coll. 742 s.; L. Aubry, Come essere educatori cristiani. L'arte di far rivivere D. S. nei ragazzi di oggi, Torino [1976]; Enc. cattolica, ad vocem.